Roma, 11 March, 2015 / 12:58 AM
Per “aspirare alla pace non basta, come non è sufficiente l’intenzione di operare per la pace: occorrono comportamenti concreti e coerenti, azioni mirate e, soprattutto, la piena coscienza che ognuno nel suo piccolo o grande mondo quotidiano è “costruttore di pace”, pur nei diversi compiti, incarichi e funzioni”. Secondo il cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, nello scenario mondiale è fondamentale il compito della diplomazia vaticana, che “ha una chiara funzione ecclesiale: se è certamente lo strumento di comunione che unisce il Romano Pontefice ai Vescovi a capo delle Chiese locali o che consente di garantire la vita delle Chiese locali rispetto alle Autorità civili, oserei dire che è anche il veicolo del Successore di Pietro per “raggiungere le periferie”, sia quelle della realtà ecclesiale che quelle della famiglia umana”.
Perché al di là delle forme e dei nomi, che danno luogo ad interpretazioni distorte del “potere”, soprattutto quando si parla di nunzi apostolici e di rappresentanze diplomatiche pontificie, le funzioni “non esprimono posizioni di riguardo o di chissà quale esercizio di potere, ma piuttosto l’evidenza di un’ampia dimensione di lavoro quotidiano, complesso e sovente difficile il cui obiettivo rimane ad intra la suprema legge della salus animarum, mentre ad extra l’ordinata convivenza tra i popoli che per la visione cristiana è il vero presupposto alla pace”.
Il cardinale Pietro Parolin ha parlato de “L’attività diplomatica della Santa Sede a servizio della Pace” durante il “Dies academicus” della Pontificia Università Gregoriana di Roma, che si è svolto oggi, partendo dal tema: ”La pace: dono di Dio, responsabilità umana, impegno cristiano”.
Durante la sua Lectio Magistralis, il Segretario di Stato ha tratteggiato lo storico impegno della Santa Sede in vari conflitti e scenari: “Mi sia permesso di ricordare come, anche in questo momento, le esperienze della diplomazia pontificia in proposito sono tante e diverse; basti pensare alla sorte delle antiche comunità cristiane in Medio Oriente la cui difesa vede il ruolo attivo delle Rappresentanze Pontificie nell’area”, oltre al “recentissimo avvio di una nuova relazione tra Cuba e Stati Uniti dopo decenni di sola contrapposizione”.
“A chi volesse leggere questi fatti slegati dalla dimensione ecclesiale – ha aggiunto Parolin -, basta ricordare che nei casi richiamati sono stati gli Episcopati locali e comunque la presenza e il ruolo della Chiesa in quei Paesi a ritenere essenziale un intervento diplomatico della Santa Sede”.
I legati del papa, insomma, quotidianamente affrontano “un mosaico di situazioni che gli avvenimenti di cui siamo protagonisti o a cui ogni giorno assistiamo, colorano di contrasti, di diffidenze che giungono anche a quella «violenza fratricida» che provoca disastri umanitari di vaste proporzioni”.
L’obiettivo finale di ogni azione, tuttavia, è raggiungere anche “il bene comune”, che “con la pace ha più di un legame”: “la Santa Sede, in sostanza, opera sullo scenario internazionale non per garantire una generica sicurezza – resa più che mai difficile in questo periodo dalla perdurante instabilità –, ma per sostenere un’idea di pace frutto di giusti rapporti, di rispetto delle norme internazionali, di tutela dei diritti umani fondamentali ad iniziare da quelli degli ultimi, i più vulnerabili”.
“Se giungere al traguardo della «vera pace sulla terra» - dice il cardinale - significa per la Chiesa dare compimento alla storia della salvezza, per la diplomazia pontificia vuol dire operare facendo come strumento di pace, attenendosi, conseguentemente, alla perseveranza, al rispetto delle regole, a quella lealtà che il diritto internazionale esprime nel ben noto principio di buona fede”. Ma per fare ciò, “le condizioni di pace si costruiscono affrontando le questioni dello sviluppo mondiale e della cooperazione internazionale, iniziando dall’orientare programmi e piani di azione verso le legittime aspirazioni di quanti sono costretti a vivere la povertà e il sottosviluppo”.
Bisogna invertire logiche sbagliate, quali l’”ineguale distribuzione degli alimenti, mancato accesso ai mercati, ingiuste regole imposte al commercio internazionale, mancata coscienza ecologica e danni all’ambiente sono alcuni dei fattori che domandano un’effettiva solidarietà tra gli Stati, se si vuole garantire un futuro di pace”. Perché, “che i conflitti nascono ormai dagli spostamenti forzati di popolazione a causa dei cambiamenti climatici o dell’insicurezza alimentare è un dato reale con cui la diplomazia quotidianamente si confronta”.
“Ma – spiega Parolin - solo un’azione coerente, sorretta da altrettante norme, dal trasferimento di tecnologie e di risorse può avere un’influenza decisiva, facendo della pace il primo tra i nuovi Obiettivi di sviluppo”.
Insomma, il tema è ovviamente complesso, e “nella word cloud del termine pace ci sono anche altre situazioni e questioni. E queste interessano l’azione diplomatica della Santa Sede, quando si fa presente nel contesto delle Istituzioni internazionali”. Che poi, “sono i luoghi si lavora non solo per raggiungere la pace, ma anche per far maturare una cultura della pace attraverso i diversi settori delle relazioni internazionali. Si tratta di un processo interessante che la Santa Sede segue fin dagli albori”.
Ma ”per la diplomazia della Santa Sede la sfida è duplice. Da un lato essa si sente obbligata ad uno sforzo di formazione e preparazione, riconoscendo che non si può operare nelle Istituzioni intergovernative senza la necessaria competenza, la capacità tecnica e una vera professionalità. Dall’altro, quale strumento ecclesiale, essa deve valutare “se e come” quanto emerge in quei contesti risponde al bene della famiglia umana e non è limitato ad interessi particolari che possono facilmente sconvolgere gli stessi orientamenti e programmi in funzione della pace”.
“Una tale road map – dice Parolin - si lega necessariamente alla richiamata prevenzione non solo dei conflitti e della guerra, ma sempre più della tutela della dignità umana e dei diritti ad essa connessi. Diventano allora prioritari fattori come la povertà, il sottosviluppo, le catastrofi naturali, le crisi economiche e altre situazioni che possono turbare o rendere impossibile la pace”.
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