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Un servizio di EWTN News

Cristiani in Iraq, è davvero genocidio. Una testimonianza

Una famiglia di profughi nello Shari'a refugee camp a Duhok, Iraq

Le ragioni del perché quello che avviene in Iraq e in tutto il Medioriente sta nelle parole appassionate di padre Rebwar Basa, un sacerdote che è andato a parlare di quello che vivono i cristiani laggiù al meeting di Rimini. È uno dei sette testimoni che Aiuto alla Chiesa che Soffre ha voluto al padiglione da essa curato al Meeting di Rimini. Un percorso esperienziale, perché non basta far vedere. Occorre far vivere. Con ACI Stampa, padre Basa dà voce ai cristiani dell’Iraq che non sempre hanno davvero voce.

La persecuzione dei cristiani in Medio Oriente è diventata un tema più o meno da quando è cominciata l’avanza dell’auto-proclamato Stato Islamico. Eppure l'Iraq viveva un esodo di cristiani da tempo, direi da subito dopo la Seconda Guerra del Golfo. Come è nato questo esodo silenzioso?

C’è un passo in avanti nella percezione della persecuzione: oggi se ne parla, prima era appunto un esodo silenzioso. Speriamo che al “parlare” facciano seguito delle azioni, prima che sia troppo tardi. Azioni in grado di salvare e salvaguardare la minoranza cristiana in Iraq. Chi conosce la storia della Chiesa in Iraq, sa benissimo che è una chiesa martire dalla sua nascita, dai tempi della predicazione di San Tommaso Apostolo. E dalla sua nascita fino ad oggi ha sempre vissuto questo esodo silenzioso.

Perché c’è questa persecuzione?

È come chiedere: perché ci sono l’odio, le guerre, la violenza, la discriminazione? Non lo so! Ma so che il Signore Gesù ha detto: “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome” (Lc 21,17). Per noi è una beatitudine di essere perseguitati. Si legge ancora nel Vangelo: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia” (Mt 5,11).

Come mai questo martirio costante è allora rimasto nascosto agli occhi del mondo?

Perché i figli del mondo concentrano l’attenzione su cose per loro più interessanti, come il denaro, gli interessi economici e politici… ma soprattutto perché chi commette dei crimini fa di tutto per nasconderlo, e lo fa ad ogni costo. E qualora venga scoperto, giustifica questi crimini con false scuse.

In che cosa i cristiani in Iraq possono dare il loro contributo?

Nonostante questa situazione di sofferenza e persecuzione, i cristiani in Iraq hanno avuto lungo tutta la loro storia – e anche oggi – un ruolo molto importante, così come importante è il contributo che hanno dato al territorio. Innanzitutto, i cristiani in Iraq danno un esempio molto concreto di come bisogna seguire il Signore Gesù, rinnegando se stessi e prendendo la loro croce e seguendolo (Mc 8,34). Inoltre, i cristiani dell’Iraq, con la loro presenza millenaria nelle terre delle nostre radici di fede, continuano a proteggere, conservare e mantenere viva la memoria fisica di questi luoghi sacri. infine, vivendo come minoranza in questi luoghi attraversati da grandi conflitti politici e militari, danno un grande esempio di come vivere la nostra fede cristiana, cercando di essere un strumento di pace e di amore in mezzo all’inferno delle guerre e odio.

E poi c’è il lavoro del dialogo…

Certamente. Quello di fare da ponte tra le diverse civiltà è un ruolo indispensabile dei cristiani iracheni, e in generale dei cristiani in Medio Oriente. Per esempio: i cristiani hanno fatto conoscere al mondo arabo la filosofia greca traducendola dal greco all’aramaico e dall’aramaico all’arabo. Ed oggi più che mai hanno questo ruolo di fare da ponte tra l’oriente e l’Occidente, grazie alla loro conoscenza del mondo arabo e musulmano da un lato e la loro fede e cultura cristiana condivisa con l’Occidente dall’altro lato. Insomma, i cristiani in Medio Oriente hanno dato e continuano a dare il loro prezioso contributo.

In cosa allora i cristiani vanno maggiormente aiutati?

Vanno maggiormente aiutati almeno nel riconoscere e garantire il diritto di esistere e vivere una vita dignitosa come figli di Dio e come esseri umani! Ma purtroppo, questo diritto non c’è! È solo grazie alla Chiesa locale e universale che i profughi cristiani perseguitati dall’autoproclamato Stato Islamico sono riusciti a sopravvivere in questi due anni! In particolare, vorrei menzionare il costante aiuto dato a questi cristiani da Aiuto alla Chiesa che Soffre.

Quale è la situazione dei cattolici in Iraq? I cristiani spesso sono in campi profughi, specialmente nei dintorni di Erbil: si potrà tornare alla normalità?

“Normalità” è una parola troppo grossa. Noi cristiani iracheni non conosciamo la normalità! Non c’è una normalità cui tornare, per noi! Per raggiungere la “normalità”, sono necessarie diverse tappe: va liberato il territorio invaso dall’autoproclamato Stato Islamico; rendere di nuovo agibili le città e le zone occupate e distrutte; riconoscere i crimini contro l’umanità che sono stati perpetrati nel territorio; stabilire la giustizia e garantire la sicurezza. Creare un clima di perdono e riconciliazione. Ma soprattutto, garantire che tutto questo non si ripeta più! In breve, ci vuole un grande miracolo!

C’è un futuro per i cristiani in Iraq?

Lo vedo molto difficile, se la situazione continua così! Ma per Dio non c’è nulla di impossibile. Se i diritti umani verranno rispettati, e la libertà religiosa verrà garantita per tutti, non solo i cristiani di oggi in Iraq avranno un futuro, ma in molti si convertiranno. Così il famoso detto di Tertulliano che “il sangue dei martiri è seme di cristiani” potrà realizzarsi proprio in questa terra di persecuzione.

Quello che sto accadendo in Iraq e Siria può essere definito genocidio?

Sono un sacerdote iracheno, e conosco bene la situazione dei cristiani in Iraq e le loro grandi sofferenze. Per quanto riguarda l’Iraq, confermo con fermezza che non solo “può”, ma “deve” essere definito genocidio. E sottolineo che la comunità internazionale deve fare il suo dovere per salvare quello che ancora è salvabile, garantire la sicurezza dei cristiani e difendere i loro diritti.

Perché è un genocidio?

Perché le nostre terre sono state sequestrate; perché le nostre case sono state segnalate con la lettera N/ن per etichettare la nostra identità cristiana; perché, dopo aver apposto questa etichetta, la proprietà delle nostre case è stata trasferta allo Stato Islamico, dopo che sotto la lettera N/ن: è stato scritto “Proprietà dello stato islamico”. È un genocidio perché le nostre chiese – fra le quali chiese monumentali che risalgono ai primi secoli - nel migliore dei casi sono state trasformate in moschee; in altri casi sono state distrutte, per usufruire dello spazio come parcheggio, o usate come caserme per i militati terroristi, o come luoghi in cui vengono vendute e violentate le donne rapite e trattate come schiave! Ancora: è un genocidio perché molti dei nostri fedeli fra loro vescovi, sacerdoti, seminaristi, monaci, suore, e molti laici sono stati attaccati nelle chiese da kamikaze mentre pregavano per la pace; altri sono stati rapiti e uccisi barbaramente, o rapiti e torturati e poi liberati dietro un riscatto altissimo; altri uccisi solo perché portavano la croce sul petto o nelle proprie machine; altri uccisi semplicemente per la loro identità cristiana.

I cristiani sradicati dalle loro terre…

C’è un serio tentativo di cancellare tutto quello che ci lega come cristiani e come minoranza religiosa e etnica alla nostra terra: lingua, identità religiosa; luoghi di culto, proprietà, tradizioni, cultura, teologia, liturgia, monumenti, manoscritti. I cristiani in Iraq erano più di 1 milione prima della seconda guerra del Golfo: oggi ne sono rimasti 300 mila, e circa la metà di questi sono profughi all’interno del Paese.

Si tratta di una persecuzione continua…

(La storia continua sotto)

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È una situazione drammatica. Se tutto questo non è genocidio, allora conviene cambiare la definizione del termine genocidio e definirlo in questo modo: solo in caso in cui un popolo viene attaccato con delle bombe atomiche e viene eliminato totalmente, in tal caso c’è genocidio! E in quel caso, a noi cristiani dell’Iraq, non servirà più di definirlo come genocidio! E non servirà nemmeno un monumento per onorare la memoria di tale genocidio!

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