Per la prima volta, un Papa celebrerà una Messa in rito caldeo. Peccato, però, che vi potranno partecipare solo 500 persone. Il viaggio del Papa in Iraq, che comincerà il prossimo 5 marzo, si prevede difficile anche per le restrizioni da coronavirus, ulteriormente inasprite ieri dal Consiglio dei Ministri per un nuovo picco di contagi: nessuno potrà muoversi di regione in regione, all’interno del territorio iracheno.
C’è anche una tappa a Najaf, nel programma del viaggio di Papa Francesco in Iraq. Non menzionata nel programma iniziale del viaggio, Najaf è la roccaforte dell’Islam sciita. Ed è il luogo dove vive l’ayatollah Muhammad al Sistani, diventato nel corso degli anni non solo una autorità religiosa, ma anche una autorità di riferimento cui chiedere di tutto. Da lui si va se si vuole comprendere come rispondere al terrorismo. Da lui si va se si deve legittimare il governo.
Anche nella santuario di Maria al Tahira (Maria Purissima) a Qaraqosh si sta recitando, dal 14 gennaio, una preghiera composta dal Patriarcato Caldeo per propiziare la visita di Papa Francesco in Iraq. Ma lì, tutto ha un senso più grande. Perché l’11 gennaio, su quella chiesa che i miliziani del Daesh avevano trasformato in armeria, è tornata a troneggiare una statua della Vergine Maria. E sarà quella statua ad accogliere eventualmente Papa Francesco durante il suo viaggio in Iraq.
“Siete tutti fratelli”. È questo passaggio del Vangelo di Matteo (23,8) a fare da motto al prossimo viaggio di Papa Francesco in Iraq. Il motto del viaggio è stato rivelato insieme al logo l’11 gennaio dal Patriarcato di Babilonia dei Caldei. E, sin dall’inizio, rappresenta una dichiarazione di intenti precisa: il Papa viene a sviluppare l’idea di fraternità, facendo del viaggio in Iraq una sorta di viaggio “gemello” a quello negli Emirati Arabi Uniti nel 2019.
In una situazione particolarmente critica, “il Signore ci viene incontro e ci dona la salvezza attraversando tutti i deserti. Lui può far fiorire la speranza anche in mezzo alle desolazioni di ogni genere che assediano la vita quotidiana degli iracheni e dei popoli del Medio Oriente”. Lo scrivono i vescovi cattolici di Iraq, in un messaggio diffuso al termine della loro riunione dell’11 dicembre.
Papa Francesco in Iraq a marzo 2021: lo ha annunciato la Sala Stampa della Santa Sede. Dopo un anno senza viaggi internazionali, mentre ancora non è stato designato in Segreteria di Stato chi sarà l’organizzatore dei viaggi papali a seguito del trasferimento di monsignor Rueda Beltz nella nunziature del Portogallo, Papa Francesco riprende i viaggi dall’Iraq.
Sono circa 200 le famiglie di sfollati cristiani che sono già tornate o torneranno a Mosul, da dove erano fuggite a causa delle tremenda avanzata del sedicente Stato Islamico. La notizia, data l’11 novembre da Zuhair Muhsin al Araji, sindaco di Mosul, è stata poi confermata dal governatore nel distretto.
È dallo scorso aprile che l’UNESCO ha cominciato i lavori di restauro della chiesa domenicana di Nostra Signora dell’Ora a Mosul. La chiesa, il cui nome in arabo è al-Saa’a, è situata nella città vecchia di Mosul, un luogo che da sempre è stato un crocevia di culture e religioni. Un incrocio di dialogo che è stato compromesso e parzialmente distrutto con l’invasione dei Daesh. Un dialogo di cui i domenicani sono stati protagonisti da sempre in quell’area.
Quando l’ISIS arrivò alle porte di Mosul, caricò la sua automobile di antichi manoscritti, e fece un viaggio noturno fino ad Erbil per salvare prima di tutto le radici. Poi, è diventato arcivescovo di Mosul, con il compito, appunto, di ricostruire a partire dalle radici una comunità ferita, come un novello Giona di Ninive. Quest’anno, Najeeb Michaeel, domenicano, alla guida di quella che era diventata una diocesi inesistente e annientata dall’ISIS, è stato tra i candidati al Premio Sacharov, e addirittura uno dei tre finalisti.
Non si è fermato l’esodo dei cristiani, cominciato già anni fa, dopo la Seconda Guerra del Golfo, ma ora non più nascosto dopo le violenze dello Stato Islamico e la difficile situazione. Eppure, la Piana di Ninive prova a rinascere, spinta da un vescovo che durante l’occupazione dello Stato Islamico lavorava per salvare storia e manoscritti, e aiutata da una campagna dell’UNESCO, “Revive the spirit of Mosul”, che ha trovato ingenti finanziamenti dagli Emirati Arabi Uniti. E due visite, all’inizio di giugno, hanno segnato questa voglia di rinascita: quella del premier iracheno Mustafa al Kadhimi e quella del vescovo Najib Mikhael Mousa.
Forse è il primo vescovo martire del Terzo Millennio. Ma, in fondo, non contano questi tristi primati. Il fatto è che l’arcivescovo Paul Faraj Rahho di Mosul, in Iraq, è stato trovato morto il 13 marzo 2008, dodici anni fa. Era stato rapito il 29 febbraio 2008, e nulla si sa della sua morte. Ma di certo si sa che è un martire.
Era a Mosul che si era radunato lo Stato Islamico, ingolosito anche dal fatto che il “tesoro” dei funzionari governativi fosse nella sede della Banca Centrale del Paese. E da lì sono scappati, dal giorno alla notte, migliaia di rifugiati alla volta di Erbil, dopo che lo stesso esercito aveva annunciato che avrebbe lasciato la città. Oggi, sei anni dopo la crisi, la sconfitta dello Stato Islamico, il primo lavoro è quello di ricostruire. Ricostruire non solo le case, ma anche la fiducia. E soprattutto le chiese.
Tra i nuovi martiri c’era un bambino ancora non nato. Un bambino di tre mesi. Un bambino di tre anni che, al rumore di mitra e di bombe, non si scompose, ma si limitò a dire “Basta, basta, basta” prima di essere raggiunto da una pallottola sul cuore. Una bambina di 12 anni che aveva profeticamente detto in tempo non sospetto: “Mi piace queste chiesa, vorrei morire qui”, e che, prima di morire, disse alla mamma di non preoccuparsi perché era incinta. E la mamma e il bambino che portava in grembo si salvarono dall’attacco terroristico, in maniera quasi miracolosa. Sono le storie delle vittime dell’attacco terroristico alla chiesa di Nostra Signore del Perpetuo Soccorso, cattedrale siro-cattolica di Baghdad. Era il 31 ottobre 2010.
La Biblioteca cristiana di Qaraqosh ha riaperto al pubblico la scorsa settimana. E la notizia non è di poco conto, se si conta che Qaraqosh si trova nella piana di Ninive, dove arrivarono i miliziani del sedicente Stato Islamico. E questi miliziani diedero alle famme la città, bruciando e depredando gran parte del patrimonio culturale e letterario.
Ci tiene a specificare che il viaggio di Papa Francesco in Iraq nel 2020 non è ancora ufficiale. E sottolinea che l’organizzazione del viaggio sarà una grande sfida. Ma padre Rifat Bader, direttore del Catholic Center for Studies and Media in Giordania, si mostra anche fiducioso. “Se Papa Francesco verrà – dice - sarà un segno di incoraggiamento per tutti”.
Un documento sulla Fraternità Universale, da firmare a Najaf, in Iraq, con i leader sciiti: è la proposta del Cardinale Louis Rafael Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, caldeggiata anche durante un “panel” sulla libertà religiosa organizzato dall’Ambasciata del Regno Unito presso la Santa Sede lo scorso 15 luglio.
Era una diocesi che non esisteva più, in una città fantasma da dove i cristiani se ne erano andati. Ma ora Mosul, nel cuore della Piana di Ninive, ricomincia a vivere. C’è un nuovo vescovo caldeo, Najib Mikhael Moussa, che fu anche il domenicano che salvo la cultura custodita nella città. E la cattedrale siro-cattolica di San Tommaso è stata parzialmente ricostruita. Tanto che ci si è potuta celebrare una Messa.
“Che tu sia un nuovo Giona per Ninive”. È stato questo l’augurio che il Cardinale Rapahel Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, ha fatto al domenicano Najib Mikhael Moussa, nuovo vescovo di Mosul, quando lo ha ordinato lo scorso 18 gennaio. Un compito importante. Perché a Mosul, dal 2014, non c’era più stato un vescovo, dopo che Amel Nona era stato costretto a fuggire, come tutti. Tutto era stato spazzato via, anche la diocesi. Per questo, l’arrivo di un vescovo rappresenta, sono le parole del Cardinale Sako, “un segno di speranza”.
Quattro giorni in Iraq per il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano. In attesa di Papa Francesco, invitato più volte e ancora impossibilitato ad andare per ragioni di sicurezza, l’Iraq accoglie il numero due vaticano, che trascorre il Natale tra Baghdad, Erbil e Qaraqosh, tra incontri istituzionali e visite nei campi rifugiati, lì dove ci sono ancora coloro che non hanno potuto fare ritorno nelle loro case dopo la guerra mossa dall’ISIS e dove ci sono quelli che ancora non hanno fiducia a tornare.
La Messa della vigilia di Natale a Baghdad. Il passaggio in Kurdistan. La messa a Qaraqosh, liberata dall’Isis. Sono questi gli appuntamenti principali di una densa quattro giorni che il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, avrà in Iraq. E forse, come è successo altre volte durante questo pontificato, il viaggio del Segretario di Stato vaticano sarà una sorta di prova generale per una possibile visita di Papa Francesco, per il quale c’è già un invito, e persino un itinerario.