Roma, 01 September, 2016 / 12:00 AM
C’è la Turchia improvvisamente balzata agli onori delle cronache per il tentativo del colpo di Stato dello scorso luglio. C’è la Turchia di Erdogan, dipinta come islamista dai secolarizzati media occidentali. C’è la Turchia che cerca di entrare in Europa. C’è la Turchia del supporto nascosto all’autoproclamato Stato islamico. Quale è la vera Turchia? Come si può comprendere meglio? Lo si può fare, per esempio, a partire dalla comprensione di come l’Islam si sia sviluppato in terra d’Anatolia. C’è un libro che aiuta nel percorso, ed è scritto da un domenicano che in Turchia ha trascorso molti anni e che alla Turchia ha dedicato molti studi.
Il libro si chiama “L’Islam in Turchia” (Carocci editore) ed è scritto da padre Alberto Fabio Ambrosio, che oggi insegna in Lussemburgo, ma che ha un passato accademico diviso tra Francia, Turchia, Italia. Non ci deve essere nessun fraintendimento: non si tratta di un saggio politico. Dà una panoramica di come l’Islam si è sviluppato in Turchia. Del modo in cui questo è diventato parte dell’identià nazionale. E di come l’Islam turco può influenzare anche l’Islam dei Paesi arabi.
Ma i temi sono ancora più profondi. Davvero la Turchia del presidente Recep Tayip Erdogan è un Paese islamista? A leggere la storia che si dipana dalle pagine del libro, non è proprio così. Da una parte, è vero che Erdogan ha preso possesso dello spazio pubblico, ha eliminato le leggi che imponevano la proibizione del velo, ha permesso una forma pubblica della religione. E così facendo un po’ ha contravvenuto al principio di separazione “Stato – Religione” sancito da Kemal Ataturk, il padre della Turchia moderna che costruì uno Stato impostato sulla laicità e separato da ogni vecchia istanza ottomana. Dall’alfabeto all’abbigliamento, tutto fu abbandonato del vecchio impero che allo stesso tempo si proclamava difensore dell’Islam e manteneva una politica improntata alla totale tolleranza di tute le presenze religiose.
Ma viene proprio da quell’impero l’uso politico della religione, che poi è diventato l’uso politico dell’Islam. Per quanto laico, lo Stato di Ataturk non manca di mettere la religione sotto il controllo dello Stato, creando il Dyanet, l’ufficio per gli affari religiosi nel governo che tuttora ha un controllo generale sulle moschee. E l’Islam politico si sviluppa a partire dagli anni Sessanta, fino a creare quella classe media che ora forma la Turchia di Erdogan, e che ha una forza economica tale da potersi costituire anche in una unione di industriali tipicamente islamica.
L’Islam in Turchia è un fenomeno variegato, fatto di molte sigle e varie spiritualità, e persino una ondata neo-sufi che si è sviluppata proprio a partire dalla cacciata dei sufi da parte di Ataturk. L’Islam in Turchia è anche quello tutto peculiare di Fetullah Gulen, il predicatore che vive negli Stati Uniti e che porta avanti l’idea di un Islam tollerante e aperto a tutte le religioni, almeno nelle posizioni ufficiali diffuse in lingua inglese – mentre su quelle in lingua turca si trovano maggiori accenti nazionalisti.
Va capito tutto questo particolare milieu, di cui padre Ambrosio dà una sintesi precisa ed esaustiva, lasciando comprendere quali sono le sfide in corso. In fondo, il libro di padre Ambrosio è fatto per suscitare delle domande. E queste domande restano sullo sfondo, e dalla Turchia si proiettano al modo in cui l’Europa tratta oggi le religioni. Ovvero: il modello laicista della Turchia, sopravvissuto a due colpi di Stato, è ancora valido o il nuovo corso proposto da Erdogan, più tollerante nei confronti della religione, è davvero la nuova strada? Davvero il governo turco ha una matrice islamista? Non è forse un prodotto di un lungo dibattito in Turchia che comunque ha portato alla creazione di un Islam politico legato più alla storia e al territorio di Turchia che all’Islam predicato nei Paesi arabi? E davvero l’identità islamica di Turchia è paragonabile ai criteri europei?
Sono le domande che anche la Chiesa locale si deve porsi. Completamente cambiata nei suoi ranghi (nuovo vicario apostolico in Anatolia; nuovo vicario apostolico ad Istanbul; nuovo nunzio) la Chiesa di Turchia deve comprendere la storia dietro la dialettica in corso in Turchia. È una necessità.
Parlando con ACI Stampa, padre Ambrosio ha sintentizzato così le sfide della Chiesa in Turchia. “I nuovi tre pastori e le comunità cristiane – ha detto - dovranno cercare di essere sempre lievito nella pasta, senza urtare le dinamiche in corso che talvolta oltrepassano largamente anche quello che un'eventuale critica possa dire. Quanto la Turchia vive oggi, infatti, non è nemmeno sempre il risultato di una politica interna che da varie parti è criticata, ma di una congiuntura mediorientale che vede la ricostituzione parziale o globale di interi paesi”.
La prospettiva, dal suo punto di vista, è che “la Siria e l'Iraq non usciranno da questo tunnel se non con una riconfigurazione geografica dei propri confini, delle relazioni interne di potere, di tendenze religiose. La Turchia per il ruolo che ha svolto e che svolge in termini che talvolta lasciano perplessi l'analista occidentale, si è ritrovata in un puzzle ben complesso. La chiesa ed i cristiani allora dovranno essere all'altezza di questa situazione di passaggio”.
E allora - conclude il domenicano - “i cristiani, se possono oggettivamente, dovranno far sentire prima di tutto. la solidarietà con il popolo di Turchia, dico bene il popolo di Turchia, una presenza che rinvia a Qualcosa d'altro, ad un Altro”.
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