Città del Vaticano , 10 February, 2021 / 2:00 PM
C’è anche una tappa a Najaf, nel programma del viaggio di Papa Francesco in Iraq. Non menzionata nel programma iniziale del viaggio, Najaf è la roccaforte dell’Islam sciita. Ed è il luogo dove vive l’ayatollah Muhammad al Sistani, diventato nel corso degli anni non solo una autorità religiosa, ma anche una autorità di riferimento cui chiedere di tutto. Da lui si va se si vuole comprendere come rispondere al terrorismo. Da lui si va se si deve legittimare il governo.
L’incontro di Papa Francesco con l’ayatollah al Sistani è stato fortemente voluto dal Cardinale Raffael Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei, che spera anche il Papa firmi una dichiarazione della Fraternità Umana anche con la massima autorità sciita, come lo aveva fatto con il Grande Imam di al Azhar ad Abu Dhabi, che invece è punto di riferimento per i sunniti. Così il cardinale Sako spera di quietare, in qualche modo, gli animi divisi dell’Islam, perché l’ISIS e il suo piano di espansione ora fallito sono in realtà il prodotto di una guerra tutta intestina all’Islam, come ha più volte ha spiegato padre Khalil Samir Khalin, vero esperto del Medio Oriente.
Ma perché al Sistani è cruciale? Perché è colui che porta avanti, e da tempo una interpretazione “quietista” dell’Islam, in cui religione e politica non sono unite, ma divise. È iraniano di origine, ma non ha mai appoggiato lo Stato teocratico iraniano. Per riassumere, mentre l’ayatollah Khomeini, che diede vita allo Stato teocratico dell’Iran, riteneva che “solo una buona società può creare buoni credenti”, al Sistani ritiene che “solo i buoni cittadini possono creare una buona società”.
Nato nel 1930 in Iran, al Sistani si è trasferito a Najaf negli anni Cinquanta del secolo scorso, e lì è succeduto, nel 1992, al Grande Ayatollah Mohammad Abu al Qassim al Khoeei alla guida della leadership clericale degli sciiti.
La sua voce è diventata sempre più influente, fino a quando la sua figura è comparsa sulla scena internazionale nel 2003, alla caduta di Saddam Hussein, quando si appellò ai cittadini chiedendo di non rimanere divisi in conflitti etnici e settari.
Nell’agosto del 2004, Najaf fu teatro di una serie di battaglie tra le forze USA e le milizie del Mahdi guida dal leader sciita Muqtada al Sadr (lo stesso che oggi ha invece messo su un comitato per la restituzione delle case illegalmente espropriate ai cristiani). Fu al Sistani a chiedere una tregua tra le parti.
L’ayatollah si espresse in termini moderati anche quando, tra il 2006 e il 2007, l’Iraq ha sperimentato una serie di violenze che portarono ad attacchi a due santuari militari a Samarra, chiedendo alle parti di astenersi dalla violenza e di condannare gli atti di violenza che stavano dividendo la nazione.
Più recentemente, al Sistani si è distinto per aver chiesto – attraverso uno dei suoi rappresentanti pubblici, Ahmed al-Safi – l’abolizione delle pensioni e dei privilegi per gli alti ranghi dello Stato, perché con le risorse risparmiate si potrebbe aiutare la popolazione a basso reddito. Per comprendere la portata della richiesta, si deve considerare che la pensione di un membro del Parlamento consiste in circa 6500 dollari, è a vita, e va insieme ad una serie di privilegi che includono la protezione e l’alloggio.
Certo, al Sistani non fa niente per caso. Ha una macchina di comunicazione potente, e in effetti la richiesta dell’abolizione dei privilegi è arrivata dopo una fortissima campagna condotta attraverso la sua pagina Facebook.
Sono attività che hanno attirato all’anziano ayatollah la simpatia di molti. Tanto che i protestanti che nel 2020 sono scesi in piazza in varie città di Iraq per chiedere un cambiamento nel sistema politico istituzionale e soprattutto per condannare la crescente corruzione hanno rivolto diversi appelli ad al Sistani, considerato l’unico in grado di comprendere le loro richieste. Questo ha attirato su al Sistani ancora una volta l’attenzione internazionale, perché tutti sapevano che quello che avrebbe detto sarebbe stato ascoltato.
Ci si trova, così, di fronte alla paradossale situazione che un personaggio che ha sempre predicato di non voler l’interferenza religiosa in temi politici è, da religioso, diventato una sorta di deus ex machina dello scenario iracheno, capace di uscire dalle situazioni più difficili.
D’altronde, la stessa liberazione dallo Stato Islamico è stata in parte dovuta al suo intervento. Perché nel 2017, quando la liberazione dai Daesh era quasi completa, al Sistani fece un appello a tutti i cittadini di superare le divisioni, prendere le armi e difendere la nazione. Si formò così lo Hashd – al Sha’bi, l’unità di mobilitazione popolare, un piccolo esercito di migliaia di volontari che fu decisivo nella vittoria nella piana di Ninive.
Al Sistani ha anche favorito una uscita dell’Iraq dal cono di influenza dell’Iran. Sciita e iraniano, l’ayatollah non appoggiò, però, la riconferma a premier di Nuri al Maliki nel 2014, sebbene questi fosse considerato un partner strategico dell’Iran, e così al Maliki fu sostituito come primo ministro da Haide al-‘Abadi.
Non era solo una posizione anti-iraniana. Al Sistani si è opposto a qualunque ingerenza esterna sulle questioni irachene. Dopo la Seconda Guerra del Golfo, chiese nuove elezioni, in qualche modo “forzando” la transizione tra l’amministrazione dell’Ambasciatore Lewis Paul Bremer, che pure aveva ancora sul terreno un esercito di 100 mila uomini, e il governo ad interim di Iyad Allawi.
Sono tutti episodi che fanno sì che al Sistani sia ancora considerato un fattore di stabilità in Iraq, nonostante la sua età avanzate e le sue precarie condizioni di salute. Ed è per questo che il Cardinale Sako guarda a lui come un punto di riferimento del dialogo.
Di al Sistani, il Cardinale Sako ha apprezzato i suoi appelli e non rispondere con la violenza alla strategia del terrore in Iraq e nello Stato Islamico – Stato che utilizzava come base ideologica alcuni precetti sunniti che in qualche modo supportano una interpretazione letterale del Corano, come spiegò sempre padre Samir Khalil Samir in una intervista del 2016.
L’incontro di Papa Francesco con l’anziano ayatollah è, dunque, una specie di chiusura del cerchio nell’ambito del dialogo islamo cristiano. Prima sono stati riaperti i rapporti con al Azhar, la più importante istituzione accademica sunnita, cosa che ha portato al viaggio del Papa in Egitto nel 2017, a cinque incontri tra Papa Francesco e il Grande Imam di al Azhar Muhammed al Tayyb, e poi alla firma del Documento sulla Fraternità Umana firmato dal Papa e dal Grande Imam ad Abu Dhabi nel Febbraio 2019.
Ora, è tempo per il Papa di riabbracciare il dialogo con l’Islam sciita, e il Cardinale Sako ha visto nell’incontro con al Sistani una eccellente opportunità per farlo. Non solo. L’incontro dirà anche alla popolazione irachena che il Papa approva l’ala quietista del mondo Musulmano.
Ci sarà tutto questo nell’incontro del 6 marzo tra Papa Francesco e l’ayatollah al Sistani. I due probabilmente faranno anche una dichiarazione contro la violenza in tutte le religioni.
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