Il nostro incontro mi “ha fatto bene all’anima. È stato una pietra miliare nel cammino del dialogo interreligioso e della comprensione fra i popoli”. Lo scrive il Papa nel messaggio consegnato dal Cardinale Ayuso, Prefetto del Dicastero per il Dialogo Interreligioso, all’ayatollah iracheno Al Sistani.
Si è trattato di un incontro a porte chiuse, un colloquio cui non erano ammessi media, immortalato solo nella foto ufficiale al termine della conversazione. Eppure, l’incontro tra Papa Francesco e il Grande Ayatollah Alì al Sistani a Najaf ha un peso storico molto importante, sia a due anni dalla Dichiarazione sulla Fraternità Umana firmata ad Abu Dhabi, sia perché, incontrando un leader che ha sempre sostenuto la separazione tra fede e Stato e negando l’idea di teocrazia si dà un segnale preciso al mondo musulmano. Un segnale che già il Papa ha dato al mondo diplomatico di Iraq, chiedendo alle istituzioni di dare a tutte le comunità religiose eguale trattamento ed eguale nazionalità.
Quello di Papa Francesco in Iraq si prospetta come un viaggio difficile, non solo per via della pandemia. Ma è un viaggio che rappresenta anche “un messaggio per il futuro”, spiega il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, nella tradizionale intervista a Vatican News che precede i viaggi da papali.
C’è anche una tappa a Najaf, nel programma del viaggio di Papa Francesco in Iraq. Non menzionata nel programma iniziale del viaggio, Najaf è la roccaforte dell’Islam sciita. Ed è il luogo dove vive l’ayatollah Muhammad al Sistani, diventato nel corso degli anni non solo una autorità religiosa, ma anche una autorità di riferimento cui chiedere di tutto. Da lui si va se si vuole comprendere come rispondere al terrorismo. Da lui si va se si deve legittimare il governo.