Città del Vaticano , 29 October, 2018 / 9:00 AM
L’educazione è il primo impegno. Per la Chiesa del Myanmar, lì dove i cattolici sono minoranza e lì dove si vive una difficile transizione dalla dittatura militare, è importante educare i giovani, dare loro una opportunità. La Chiesa locale lo fa, guidata dal Cardinale Charles Bo, salesiano, che al Sinodo è stato uno dei presidenti delegati, e che ha accolto Papa Francesco in una storica visita in Myanmar. E il Cardinale offre ad ACI Stampa uno spaccato della situazione della sua terra.
Quale è la necessità più grande dei giovani del Myanmar?
La più grande cosa che manca è l’educazione, e questo a causa della situazione che si è creata nel Paese dopo il colpo di Stato militare del 1965. Molti giovani emigrano, vanno nei Paesi vicini (in Thailandia, in Corea del Sud), ma anche in Regno Unito e Singapore. L’assenza di educazione fa sì che i ragazzi cadano anche nella rete del traffico di droga, e altri diventano preda del traffico di esseri umani.
I giovani sono ormai tutti partiti?
Ce ne sono ancora, ma dobbiamo lavorare per loro. Ora, la situazione è più favorevole, ci sono Ong che stanno aprendo delle infrastrutture sul territorio. Ma ci sono comunque delle situazioni di debolezza. Quello che fa la Chiesa è focalizzato soprattutto sull’educazione, con scuole ed ospedali che abbiamo ricostituito. Abbiamo chiesto anche la restituzione di un centinaio di scuole che sono state nazionalizzate dopo il colpo di Stato del 1965, ma è difficile che la restituzione abbia luogo.
Quale è il messaggio che porta dal Sinodo?
Che c’è bisogno di ascoltare maggiormente i giovani. Non è un problema solo occidentale, la situazione dei giovani è simile ovunque, nonostante i problemi siano differenti da nazione a nazione. Ma tutti i giovani sostengono di non essere ascoltati a sufficienza.
È vero che si è parlato molto dei giovani fuori dalla Chiesa?
In generale, non abbiamo fatto distinzioni. Abbiamo parlato molto della situazione dei giovani, di come accompagnarli, di come ascoltarli. S è parlato molto di educazione e della formazione alla fede a partire dall’infanzia, e si è inclusa l’idea di un accompagnamento al matrimonio.
In Myanmar, la Chiesa è ascoltata?
Da ogni parte, c’è rispetto per i cattolici, che sono solo l,3 per cento della popolazione. Eppure, tutti hanno partecipato quando abbiamo celebrato i nostri Cinquecento anni di presenza nel Paese. In numeri, i cattolici sono circa 700 mila, e 400 persone sono in seminario.
Dopo il viaggio di Papa Francesco, che cammino fa la Chiesa?
Cerchiamo di portare avanti il messaggio del Papa. Si è parlato molto dei Rohingya, e apparentemente ora in molti tornano nelle loro terre, arrivano fondi internazionali. Il problema è che dietro il problema Rohingya ci sono coloro che vogliono utilizzare la questione per stabilire una Stato islamico. L’islamizzazione è una realtà, alla pari dell’omofobia.
E di islamizzazione avete parlato al Sinodo?
Non molto. Non è venuto fuori l’argomento.
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