Asunción, 03 September, 2018 / 4:00 PM
Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Questo proverbio è decisamente vero. Spesso le cose più belle che si vivono o si sentono accadono, in segreto e quasi sotto silenzio. Anche nella Sacra Scrittura si legge che la voce di Dio parlava come vento leggero.
Leggendo ciò sembra di sentire la voce discreta e mite di missionario: padre Enrico d'Agostino C.S.s.R (1925-2009). Ricordare questo religioso redentorista è avere davanti il ritratto di un autentico uomo di preghiera, schivo ma cordiale e molto legato alle tradizioni della sua famiglia religiosa: i Redentoristi. Questa Congregazione religiosa fu fondata da Sant'Alfonso Maria de Liguori il 9 novembre 1732 ed è per definizione missionaria.
Nato a Colle Sannita (BN) prestissimo entra nella Scuola apostolica di Scifelli, qui fa l'anno di noviziato ed è ordinato sacerdote a Cortona.
Sacerdote, superiore per più anni sia della Provincia che di comunità e missionario sono stati gli incarichi affidati a questo religioso.
Ma più di tutto fu, per circa un ventennio, missionario in Paraguay.
Provincia Romana dei Redentoristi, siamo nel 1949: in questi anni si percepisce l'esigenza di aprire una missione oltre Oceano. Tanti tentativi andarono a vuoto, ma adesso sembra che sia possibile. Il padre Paolo Ferrarini C.S.s.R provinciale di allora, scrive ai confratelli:”la nostra Provincia aspira da lungo tempo a fare il balzo oltre Oceano con lo scopo di far scuotere e gemmare questo tronco, per maggiore e più largo orizzonte di attività di bene... Non sentite voi la gioia dei primi Figli di Sant'Alfonso a questo annunzio?”(lettera circolare del 29 luglio 1947).
La risposta non si fece attendere e così da quell'anno i Missionari Redentoristi, oltrepassando l'Oceano portarono il Vangelo e la loro spiritualità, in quella terra. Tra questi, c'era anche padre D’Agostino.
A chi gli era vicino raccontava spesso l'attraente vita missionaria, quando lui aveva scelto di essere missionario (perchè, un tempo, per essere inviati in missione era necessaria l'approvazione del padre provinciale e del padre generale). E padre Enrico fece domanda, più di una volta, prima di essere esaudito.
In missione fece l'esperienza delle difficoltà materiali e spirituali, dei pochi mezzi e della tanta fede, del clima caldo e delle piogge, delle giornate a cavallo per annunciare il Vangelo alle popolazioni locali che incontravano e degli innegabili problemi che i missionari incontrano sul loro cammino.
Uomo tenace e dotato di forte spirito di preghiera e di volontà aveva sempre il sorriso sulle labbra e la corona nelle mani. Spesso lo si incontrava nella chiesa di San Gioacchino in Prati (la Parrocchia romana nella quale operava) con il rosario che camminava davanti al confessionale in attesa dei penitenti. Obbediente, casto e povero, rimase sempre fedelissimo ai voti professati. Non conobbe mai alcuna preferenza o eccezione, perchè per lui c'era solo quanto professato nella Regola redentorista, il giorno dei suoi voti religiosi. Era orgoglioso di essere figlio di Sant'Alfonso e lo manifestava, con gioia, nelle sue relazioni con le persone. Si sentiva un missionario. E questo gli bastava.
Chissà quante volte gli sarà tornato il pensiero agli anni della giovinezza, quando aveva coronato il suo sogno missionario, ripensando al tanto bene profuso ed alle anime incontrate. Non lo sapremo mai. L'unica cosa certa è che adesso si sarà riunito al suo Padre fondatore, realizzando un 'altra missione.
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