Città del Vaticano , 19 June, 2018 / 11:05 AM
Tre parole chiave (riconoscere, interpretare e scegliere); tre momenti preparatori (il documento preparatorio; il seminario internazionale; il pre-sinodo dei giovani); un filo comune, che è quello dell’ascolto. L’Instrumentum Laboris del Sinodo sui giovani si presenta così, facendo una fotografia della realtà così come avevano fatto i lineamenta. Ed è interessante notare che forse per la prima volta in un documento vaticano si utilizza la categoria LGBT.
La questione è introdotta al punto 197, viene direttamente dal Seminario Internazionale, e viene sottolineato che “alcuni giovani LGBT, attraverso vari contributi giunti alla Segreteria del Sinodo, desiderano ‘beneficiare di una maggiore vicinanza’ e sperimentare una maggiore cura da parte della Chiesa”. E viene sottolineato poi che “alcune Conferenze Episcopali si interrogano su che cosa proporre ‘ai giovani che invece di formare coppie eterosessuali decidono di costituire coppie omosessuali e, soprattutto, desiderano essere vicini alla Chiesa’.”
La tematica della vicinanza e della pastorale per coppie omosessuali non è nuova, e fu affrontata anche in un documento della Congregazione della Dottrina della Fede, la “Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla Cura Pastorale delle Persone Omosessuali” del 1986. Colpisce piuttosto l’uso del termine LGBT, che in genere non è mai stato usato perché creava una ulteriore categoria di essere umano. Al di là dell’orientamento sessuale, la Chiesa ha sempre evitato categorizzazioni di questo tipo. Ma l’apertura è anche il segnale di un nuovo approccio ai tempi, di voler fotografare la realtà anche quando questa non è esattamente come quella piena di umanità descritta dalla Chiesa.
Si tratta, forse, della maggiore novità del lungo testo in 214 punti – pare il più lungo della storia degli Instrumenti Laboris - si conclude con una “Preghiera per il Sinodo” composta da Papa Francesco, e sottolinea la necessità di mettersi in ascolto dei giovani, spiega il ruolo degli accompagnatori facendone una fenomenologia (dall’accompagnatore spirituale a quello psicologico), mette in luce come la Chiesa dovrebbe essere per i giovani, vale a dire trasparente, responsabile, non corrotta, dialogante.
Allo stesso tempo, quello che sembra mancare al documento è proprio l’indirizzo. Ci si mette in ascolto della realtà, senza pensare a come formare la realtà. Si guardano le situazioni, e si presentano come un dato di fatto. Spetterà poi ai vescovi declinarle, e trovare una soluzione ai molti problemi che sono esposti.
L’instrumentum laboris ha il piglio dell’analisi sociologica, a partire dai numeri che indicano quanti sono i giovani nel mondo (1,8 miliardi, in calo) fino alla constatazione di un cambiamento culturale.
Parlando di globalizzazione, il documento sottolinea che molte Conferenze Episcopali occidentali affrontano il dilemma di affrontare un cambiamento culturale che “scardina le culture tradizionali”.
Notando il cambiamento in atto nella società, si mette in luce come la famiglia “continui a rappresentare un riferimento privilegiato nel processo di sviluppo integrale della persona”.
Analizzando il rapporto padri figli, si nota “una sorta di rovesciamento nel rapporto tra le generazioni”, con gli adulti che spesso prendono “i giovani come riferimento per il proprio stile di vita, all’interno di una cultura globale dominata da un’enfasi individualista del proprio io”.
L’amara constatazione è l’assenza di “adulti tout court”, non solo di adulti nella fede, considerando che “gli adulti non sono interessati a trasmettere i valori fondanti alle giovani generazioni”, mentre non manca una critica anche ai sistemi scolastici e universitari che “si limitano a informare senza formare”, e senza aiutare la maturazione di uno spirito critico.
Il documento mostra anche le critiche dei giovani alla Chiesa, tra cui il fatto che venga considerata “dicotomica” sul tema della giustizia, perché “da una parte vuole essere presente nelle pieghe della storia a fianco degli ultimi”, ma dall’altra “ha ancora tanto da fare per scardinare situazioni, anche gravi e diffuse, di corruzione, che le fanno correre il rischio di conformarsi al mondo anziché essere portatrice di un’alternativa ispirata al Vangelo”.
L’instrumentum laboris tocca anche temi di più ampio respiro: l’approccio tecnocratico alla società che nasce dalle “prospettive di integrazione sempre più spinta tra copro e macchina” e che porta ad un appproccio alla corporeità che tocca anche i dinamismi biologici – e la chiosa è che “le donatrici di ovuli e le madri surrogate sono giovani”.
E poi, la questione della morale sessuale della Chiesa, che “molti giovani non seguono”, e che andrebbe discussa più apertamente e senza pregiudizi, come dicono le Conferenze Episcopali, anche perché nella riunione presinodale è stato evidenziato che gli insegnamenti della Chiesa su contraccezione, aborto, omosessualità, convivenza, matrimonio (definite “questioni controverse”) sono “fonte di dibattito tra i giovani, all’interno della Chiesa quanto nella società”. Un tema, questo, che tornerà, specialmente per i 50 anni della Humanae Vitae.
Altri pezzi di fotografia della realtà: se da una parte si nota una “cultura della indecisione” che considera “impossibile o addirtttura insensata una scelta per la vita”, dall’altra c’è la speranza data dal fatto che “smentendo le previsioni formulate lungo gli ultimi due secoli, la secolarizzazione non pare affermarsi come il destino ineluttabile dell’umanità”, perché c’è “un ritorno del sacro”, sebbene c’è un calo di vocazioni sacerdotali che fa notare come ci sia “un nuovo tipo di religiosità, poco istituzionalizzata e sempre più liquida”.
Viene notato anche che i giovani, soprattutto di aree “secolarizzate”, non chiedono nulla alla Chiesa perché “non la ritengono un interlocutore significativo per la loro esistenza”, e questa richiesta “non nasce da un disprezzo acritico e impulsivo”, ma affonda le radici in “ragioni serie e rispettabili” come “gli scandali sessuali ed economici”, ma anche “l’impreparazione dei ministri ordinati, che non sanno intercettare la vita e la sensibilità dei giovani”, o “il ruolo passivo assegnato ai giovani” nella comunità e “la fatica della Chiesa di rendere ragione delle proprie posizioni dottrinali ed etiche di fronte alla società contemporanea”.
È l’inizio di un sorta di “lista dei desideri” da parte dei giovani, che desiderano una Chiesa “meno istituzionale, più relazonale”, “amica e prossima”, che accoglie e non giudica, e poi che abbia una liturgia “viva e vicina”, con omelie più belle e una gioia che “le comunità non sembrano in grado di trasmettere”. Una Chiesa che sia in grado di “dialogare all’interno all’esterno”, affrontando anche temi come il ruolo della donna e il dialogo con i segni dei tempi.
I giovani seminaristi, dal canto loro, chiedono “fraternità, spiritualità e radicalità”, sebbene quest’ultima “non sempre è sostenuta dalla coerenza personale”.
Quindi, il discernimento. La vocazione deve esere considerata “intrinsecamente connessa alla missionarietà della Chiesa”, parte di “una relazione personale con il Signore”, accompagnata da persone “profondamente convinte della capacità di un giovane di prendere parte alla vita della Chiesa e coltivare i semi della fede nei giovani”.
Lo stile della Chiesa, a sua volta, deve essere il dialogo, perché “nessuna vocazione, in particolare all’interno della Chiesa, può collocarsi al di fuori di questo dinamismo di uscita e di dialogo e ogni autentico sforzo di accompagnamento al discernimento vocazionale non potrà fare a meno di misurarsi con questo orizzonte, riservando un’attenzione privilegiata ai più poveri e ai più vulnerabili”, e per questo l’accompagnamento è chiamato ad avere una “prospettiva integrale”, e sviluppare istituzioni scolastiche credibili e in grado di verificare quanto gli alunni recepiscano davvero i valori.
La Chiesa può “investire un ruolo di vitale importanza”, almeno se segue delle tematiche cui i giovani sono sensibili, come la lotta contro la corruzione, la promozione della dignità delle donne, la lotta ai pregiudizi.
Il consiglio è quello di approfondire il capitolo VII dell’Amoris Laetitia, destinata all’educazione dei figli, e di approfondire “il ruolo indispensabile della famiglia come agente pastorale attivo nell’accompagnamento e nel discernimento vocazionale dei figli”,
C’è, in questa frase, la posssibiltà di una certa apertura nascosta sul piano dottrinale che non mancherà di far discutere.
Infine, l’ultima parte è dedicata alla santità. Quella dei giovani, ma anche quella dei santi da “invocare come protettori”, e da “indicare ai giovani come riferimenti per la loro esistenza”.
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