Città del Vaticano , 09 April, 2018 / 12:01 AM
E’ Dio che “ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente”. E questo testo vuole “far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità, cercando di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità”. Così il Papa nell’incipit di “Gaudete et exsultate”, l’Esortazione Apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, pubblicata oggi.
“La santità - ricorda Francesco - è il volto più bello della Chiesa. Ma anche fuori della Chiesa Cattolica e in ambiti molto differenti, lo Spirito suscita segni della sua presenza, che aiutano gli stessi discepoli di Cristo. D’altra parte, san Giovanni Paolo II ci ha ricordato che a testimonianza resa a Cristo sino allo spargimento del sangue è divenuta patrimonio comune di cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti”.
Per diventare santi - sostiene il Papa - non è necessario copiare stili di vita che possono sembrare irraggiungibili. “Quello che conta è che ciascun credente discerna la propria strada e faccia emergere il meglio di sé, quanto di così personale Dio ha posto in lui e non che si esaurisca cercando di imitare qualcosa che non è stato pensato per lui. Tutti siamo chiamati ad essere testimoni, però esistono molte forme esistenziali di testimonianza”.
Papa Francesco ricorda poi le luminose figure di santità femminile e poi sottolinea come “per essere santi” non sia “necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi”. La santità si conquista quotidianamente, attraverso “piccoli gesti”.
Un cristiano - prosegue il Pontefice - deve concepire la “propria missione sulla terra come un cammino di santità. Tale missione trova pienezza di senso in Cristo e si può comprendere solo a partire da Lui. La santità è vivere in unione con Lui i misteri della sua vita. Ma può anche implicare di riprodurre nella propria esistenza diversi aspetti della vita terrena di Gesù”.
Un santo - pertanto - va guardato nella sua totalità e interezza e “non conviene soffermarsi sui particolari, ciò che bisogna contemplare è l’insieme della sua vita, il suo intero cammino di santificazione, quella figura che riflette qualcosa di Gesù Cristo e che emerge quando si riesce a comporre il senso della totalità della sua persona”.
La chiamata alla santità bisogna viverla con Cristo abbracciando “l’impegno a costruire, con Lui, questo Regno di amore, di giustizia e di pace per tutti. Cristo stesso vuole viverlo con te, in tutti gli sforzi e le rinunce necessari, e anche nelle gioie e nella fecondità che ti potrà offrire. Pertanto - ammonisce il Pontefice - non ti santificherai senza consegnarti corpo e anima per dare il meglio di te in tale impegno”. “Il fervore spirituale” non può convivere “con l’accidia nell’azione evangelizzatrice o nel servizio agli altri”.
Nel cammino verso la santità, Francesco mette in guardia dal pericolo sempre presente dello gnosticismo e del pelagianesimo, in cui “si esprime un immanentismo antropocentrico travestito da verità cattolica”.
Gli gnostici - ricorda il Papa - “concepiscono una mente senza incarnazione, incapace di toccare la carne sofferente di Cristo negli altri, ingessata in un’enciclopedia di astrazioni. Alla fine, disincarnando il mistero, preferiscono un Dio senza Cristo, un Cristo senza Chiesa, una Chiesa senza popolo. Si tratta di una vanitosa superficialità: molto movimento alla superficie della mente, però non si muove né si commuove la profondità del pensiero”. Bisogna evitare di “pretendere di ridurre l’insegnamento di Gesù a una logica fredda e dura che cerca di dominare tutto”.
Citando Giovanni Paolo II, il Pontefice spiega che “frequentemente si verifica una pericolosa confusione: credere che, poiché sappiamo qualcosa o possiamo spiegarlo con una certa logica, già siamo santi, perfetti, migliori della massa ignorante. San Giovanni Paolo II metteva in guardia quanti nella Chiesa hanno la possibilità di una formazione più elevata dalla tentazione di sviluppare un certo sentimento di superiorità rispetto agli altri fedeli”.
Papa Francesco poi punta il dito contro il pelagianesimo, e la sua “mancanza di un riconoscimento sincero, sofferto e orante dei nostri limiti” che “è ciò che impedisce alla grazia di agire meglio in noi, poiché non le lascia spazio per provocare quel bene possibile che si integra in un cammino sincero e reale di crescita. La grazia, proprio perché suppone la nostra natura, non ci rende di colpo superuomini. La grazia agisce storicamente e, ordinariamente, ci prende e ci trasforma in modo progressivo”.
Il Papa, infine, mette in guardia da quei “cristiani che si impegnano nel seguire un’altra strada: quella della giustificazione mediante le proprie forze, quella dell’adorazione della volontà umana e della propria capacità, che si traduce in un autocompiacimento egocentrico ed elitario privo del vero amore. Si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente diversi tra loro: l’ossessione per la legge, il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l’ostentazione nella cura della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, la vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, l’attrazione per le dinamiche di auto-aiuto e di realizzazione autoreferenziale. In questo alcuni cristiani spendono le loro energie e il loro tempo, invece di lasciarsi condurre dallo Spirito sulla via dell’amore, invece di appassionarsi per comunicare la bellezza e la gioia del Vangelo e di cercare i lontani nelle immense moltitudini assetate di Cristo”.
Per questo “in mezzo alla fitta selva di precetti e prescrizioni, Gesù apre una breccia che permette di distinguere due volti, quello del Padre e quello del fratello. Non ci consegna due formule o due precetti in più. Ci consegna due volti, o meglio, uno solo, quello di Dio che si riflette in molti. Che il Signore liberi la Chiesa dalle nuove forme di gnosticismo e di pelagianesimo che la complicano e la fermano nel suo cammino verso la santità!”.
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