New York City, New York, 09 April, 2018 / 9:00 AM
Non ci sono stati preamboli, all’incontro preparatorio dei negoziati sul global compact per Migrazioni Ordinate, Regolari e Sicure. Quando i leader delle nazioni si sono riunite a Puerto Vallarta, in Mexico, per discutere il grande documento intergovernativo, nessuno ha dato il via al dibattito. C’è stato solo un video di Papa Francesco, che riprendeva un suo intervento sulle migrazioni e che ha dato il tono all’incontro.
È il segnale che la Santa Sede, in tema di migrazioni, è particolarmente ascoltata. Sono due i global compact in discussione. Uno sui rifugiati, che non viene negoziato, ha carattere consultivo; e uno sulle migrazioni. Su entrambi, la Missione della Santa Sede presso le Nazioni Unite è particolarmente attiva. Lo racconta ad ACI Stampa l’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di New York.
In Messico, le parole del Papa hanno aperto la conferenza preparatoria, segnalando così l’impatto della Santa Sede in materia internazionale. Come può questo impatto essere giocato nei negoziati dei global compacts?
La Santa Sede partecipa attivamente ai negoziati. Io sono Osservatore Permanente dal 2014, e devo dire che il tema delle migrazioni si è sviluppato costantemente, in vari trattati e convenzioni: dall’agenda 2030 sullo sviluppo, all’accordo di Parigi sul clima, a quello sull’habitat, fino alla dichiarazione di New York su migranti e rifugiati del settembre 2016 e, ora, ai negoziati per i Global Compacts. La Santa Sede è sempre stata presente, con un impegno costante, in tutti questi documenti, che io vedo come interconessi.
Quale la differenza tra il Global Compact sulle migrazioni e quello sui rifugiati?
Il Global Compact sui rifugiati non viene negoziato: si tratta di un documento di tipo consultivo stilato dall’UNHCR (l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati). Il global compact sulle migrazioni è invece parte di un processo molto lungo, cominciato con consultazioni informali a livello regionale, incontri, contributi che anche noi, come Santa Sede, siamo stati chiamati a dare.
Perché questa differenza di approccio?
Perché, a differenza dei rifugiati, i migranti non hanno uno status giuridico ben delineato, mentre i rifugiati sono definiti e compresi nel diritto internazionale da varie convenzioni. Sui rifugiati non c’è in pratica nulla da negoziare. Si tratta soprattutto di discutere buone pratiche, di trovare un modo di rendere loro la vita migliore. Per quanto riguarda i migranti, c’è già difficoltà nel definire il loro status: chi sono i migranti regolari, chi quelli irregolari, chi i migranti forzati, e poi quali sono i loro diritti legali e le basi legali secondo le quali devono essere ammessi in un territorio o mandati a casa. È esattamente questa la ragione per cui discutiamo un global compact.
E quale è la posizione della Chiesa?
La Chiesa parte dalla sua esperienza in umanità, che è la prima cosa. Anche io, personalmente, ho lavorato con i migranti filippini per 30 anni. Sono esperienze che permettono di comprendere davvero in che modo possono essere aiutati i migranti, e quali sono le cose necessarie anche a livello legale.
Come stanno andando i negoziati?
Quando è stato pubblicato il draft 0 del global compact ho avuto una sensazione molto buona. Vi ho trovato molti dei principi che noi, come Santa Sede, abbiamo sostenuto, e la stessa cornice nella quale è inserito il Global Compact richiama ai 20 action points della Santa Sede per i migranti, delineati in un incontro e ricordati da Papa Francesco nel suo ultimo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace. Ora, la sfida è quella di includere queste linee guida nell’intero testo, non solamente nella cornice o in alcuni principi che compaiono qui e lì nel documento. Quindi, si tratterà di vedere al testo, di negoziarlo punto per punto. Sono un po’ sorpreso, in generale, che alcuni principi universalmente riconoscibili siano invece messi in dubbio.
Di quali principi parliamo?
Per esempio, quando si parla di migranti irregolari, c’è poca enfasi sul tema della protezione dei loro diritti umani, come se la protezione dei loro diritti umani mettesse in discussione la sovranità nazionale. Ma non si tratta in alcun modo di mettere in discussione la sovranità nazionale! I facilitatori, devo dire, hanno fatto un buon lavoro, bilanciando il testo e riconoscendo le sensibilità e le priorità della controparte. Ma un nodo discussione è proprio sull’impatto del global compact sulla sovranità nazionale. Si tratta di un tema da non strumentalizzare. E credo sia importante che la Santa Sede metta in luce che il global compact non intende toccare alcunché della sovranità nazionale, ma allo stesso tempo si deve riconoscere che il diritto alla sovranità nazionale non deve mettere in discussione i diritti umani fondamentali.
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