Non solo l’inaugurazione della nuova chiesa del Battesimo di Gesù, non solo l’incontro con il re Abdullah e con il ministro degli Esteri di Giordania. Prima di partire da Amman, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, ha concluso la visita incontrando i rappresentanti pontifici dell’area mediorientale, per discutere delle grandi sfide della zona, e chiedere la “pace in Medioriente”. Una aspettativa di pace che il Cardinale ha anche delineato con il presidente del Libano Joseph Aoun, eletto la scorsa settimana, con il quale c’è stata una telefonata prima del ritorno a Roma.
È stato un discorso particolarmente denso, quello che Papa Francesco ha pronunciato di fronte al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede lo scorso 9 gennaio. Come di consueto, il discorso del Papa ha fornito una panoramica della crisi mondiali e dei temi che stanno a cuore alla Santa Sede. Ma quali sono ora le iniziative che prenderà la Santa Sede? E quali quelle che ha già preso?
La diplomazia della speranza, che non può essere altro che diplomazia della verità, ma anche diplomazia del perdono, è per Papa Francesco la risposta ad un mondo sempre più polarizzato, che vive la “sempre più concreta minaccia di una guerra mondiale”, e in cui c’è bisogno di un linguaggio comune e basato sulla buona fede, e non di documenti internazionali che praticano una “colonizzazione ideologica” cambiando terminologia e valorizzando nuovi diritti, tra cui l’inaccettabile diritto all’aborto. Ed è una diplomazia della verità che porta il Papa anche a denunciare la situazione in Nicaragua, dove vescovi sono stati espulsi, e la persecuzione dei cristiani, da quella palese, a quella nascosta che avviene anche in Europa, nonché di puntare il dito contro i conflitti che violano il diritto umanitario e colpiscono le popolazioni e le infrastrutture civili.
Quando Stati Uniti e Cuba hanno cominciato le trattative per ristabilire i loro legami diplomatici dopo anni di embargo, la Santa Sede fu un interlocutore quasi scontato. Perché solo Santa Sede e Canada avevano mantenuto ininterrottamente rapporti diplomatici con entrambi gli Stati nei cinquanta anni di embargo e di tensioni. Relazioni andate oltre la Cortina di Ferro, culminate anche con uno storico viaggio di Giovanni Paolo II a Cuba, preparato prima dai viaggi del Cardinale Etchegaray che nella sua casa esponeva con orgoglio un presepe donatogli da Fidel Castro.
Oggi che la storia è andata avanti, non ci si ricorda più che Germania e Spagna si contendevano anche il diritto territoriale su alcune località in Micronesia. E che proprio una delle dispute più dure, che aveva portato sull’orlo di un conflitto, era stata risolta da una mediazione della Santa Sede.
La storia che porta all’enciclica Pacem in Terris ha un inizio preciso: il 14 ottobre 1962. È in quel giorno che un aereo spia statunitense nota che a Cuba stanno installando delle piattaforme missilistiche. A soli 150 chilometri della Florida, lo Stato socialista guidato da Fidel Castro che nemmeno tre anni prima ha rovesciato il generale Fulgencio Batista rappresenta per gli Stati Uniti una minaccia, anche perché ci sono varie tensioni tra Stati Uniti e Cuba. Gli Stati Uniti hanno imposto l’embargo dopo che il governo cubano ha deciso di nazionalizzare le società a capitale estero. Hanno anche provato ad invadere Cuba dalla Baia dei Porci. Non ci sono riusciti.
Dal 10 al 13 gennaio, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, sarà in Giordania, per una visita lunga che ha come centro la consacrazione della Chiesa del Battesimo di Gesù, e che però lo vedrà anche in vari incontri a livello locale.
C’è un discorso di Giovanni Paolo II che è una sorta di sintesi degli obiettivi della diplomazia vaticana. Giovanni Paolo II incontra, il 23 aprile 1982, i responsabili della mediazione tra Argentina e Cile sulla controversia sulla zona australe. Era da tre anni che la Santa Sede si era impegnata ad aiutare a risolvere la controversia. Ma il conflitto sembrava esacerbarsi in quel momento.
Mentre si discuteva della riforma della Curia, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, arrivò a proporre di stabilire un “ufficio per le mediazioni pontificie” nei ranghi della Segreteria di Stato. Perché l’arte della mediazione è vocazione della diplomazia del Papa. Perché la Santa Sede, Paese terzo, senza interessi economici e senza alcun altro interesse che il bene comune, nasce proprio con il compito di assicurare la pace e la libertà religiosa.
Restano solo 14 nazioni senza un nunzio apostolico, ma in un caso un solo “ambasciatore del Papa” andrà a coprire tre nazioni. L’anno diplomatico della Santa Sede ha visto proseguire il grande ricambio generazionale nelle nunziature, andando a riempire molti vuoti e – dato da non sottovalutare – anche la nunziatura in Venezuela, che è rimasta vacante per qualche anno.
Non è stata comunicata, ed è rimasta riservata, la visita che il metropolita Antonij, capo del Dipartimento di Relazioni Esterne del Patriarcato di Mosca, ha compiuto in Vaticano. Il 12 dicembre, il giorno prima che iniziasse la visita ufficiale del metropolita Epifanij, capo della Chiesa Ortodossa Ucraina, Antonij ha avuto incontri con Papa Francesco e poi in Segreteria di Stato con il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano.
Serbia, con annessa la questione del Kosovo, Iran e Ucraina sono i tre fronti caldi sui quali Papa Francesco sembra aver dato un segnale in occasione del concistoro dello scorso 7 dicembre, con il quale ha creato 20 nuovi cardinali elettori e un cardinale non elettore. Ucraina e Gaza sono stati i temi più discussi del Papa negli incontri con presidenti e primi ministri. Con il presidente slovacco Peter Pellegrini, lo scorso 9 dicembre, si è trovata una convergenza sui temi della pace molto forte, come spiega lo stesso presidente in una intervista esclusiva con ACI Stampa che viene riportata oggi.
Nel 2023, si era celebrato in Slovenia un Forum Ecumenico per la Pace, che aveva riunito i rappresentanti delle confessioni cristiane di tutta l’area dei Balcani occidentali. In quel modo, la Slovenia, con la sua cattolicità, si proponeva come ponte tra le civiltà, mezzo di dialogo tra cristiani e ortodossi in un mondo in cui già imperversava la guerra in Ucraina. Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, partecipò all’evento, ma vi partecipò anche la presidente di Slovenia Nataša Pirc Musar.
La questione della “neutralità positiva” della Santa Sede, e l’impegno della comunità internazionale a ricercare la pace, nonostante e soprattutto a causa dei conflitti in corso, è stata affrontata da Papa Francesco nel discorso ad un gruppo di ambasciatori che oggi gli hanno consegnato le lettere credenziali.
È stato un incontro positivo, in cui si sono affrontati temi cruciali per la comprensione delle Chiese orientali e per il ruolo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, quello che si è svolto nell’interdicasteriale tra Santa Sede ed esperti della Chiesa Greco Cattolica Ucraina. Che la Santa Sede ci tenga a questi incontri è palese dalla qualità degli officiali vaticani coinvolti (tra i quali due officiali di alto livello della Segreteria di Stato vaticana e un segretario di dicastero). Che per la Chiesa Greco Cattolico Ucraina sia un impegno importante è dato sia dalla qualità della delegazione che dall’impegno culturale che si sta mettendo in campo.
I mille giorni della guerra in Ucraina sono stati ricordati da una visita a Papa Francesco di Olena Zelenska, la moglie del presidente ucraino Volodyimir Zelensky, da una Messa celebrata in Santa Maria in Trastevere dal Cardinale Matteo Zuppi, inviato speciale del Papa, e da una serie di interviste ai media vaticani, con in primo piano quelle al Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e all’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, nunzio apostolico a Kyiv, e da una lettera del Papa indirizzata proprio a Kulbokas.
Due messaggi del Papa, uno già dato, alla COP 29 di Baku, e uno da consegnare, al G20 di Rio de Janeiro. Nel mezzo, un convegno su Matteo Ricci alla Gregoriana, e la presentazione di un libro sul Cardinale Silvestrini a Roma Tre. Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede, rappresenta Papa Francesco in due importanti consessi.
Il ritorno alla presidenza degli Stati Uniti di Donald Trump non è stato commentato ufficialmente dalla Santa Sede, ed è normale. Le congratulazioni per un nuovo mandato arrivano ufficialmente solo al momento dell’insediamento, anche se, quando fu eletto Joe Biden nel 2020, Papa Francesco non perse tempo a fare una telefonata di congratulazioni all’allora presidente eletto, una circostanza del tutto irrituale.
Mentre l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, era a Montreal per partecipare ad un incontro dei ministri degli Esteri sulla formula della pace in Ucraina con particolare attenzione al tema della restituzione dei prigionieri, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, era in Francia, dove, invitato dalla Conferenza Episcopale Francese, ha tenuto incontri pastorali e personali insieme a incontri di alto livello diplomatico.
Non c’è ancora la ratifica, e tutto potrebbe naufragare, come già successe nel 2002, quando l’accordo tra Repubblica Ceca e Santa Sede fu rigettato dal Parlamento di Praga. Ma tutto è cambiato in questi ventidue anni, nonostante la Repubblica Ceca resti un Paese fortemente secolarizzato, dove più del 70 per cento della popolazione si definisce senza alcun riferimento religioso, ma dove comunque si riesce a ripristinare una stele dedicata alla Vergine Maria nella piazza principale della città.