Città del Vaticano , 15 March, 2018 / 1:00 PM
Di Pio XII ha il ricordo di un bambino, di Giovanni XXIII quello di un giovane – ancorché attivo – seminarista, di Paolo VI quello entusiasta di chi era già teologo in carriera, di Giovanni Paolo II quello dell’uomo di curia che lo frequentava, e di Francesco ha grande rispetto. Ma per Benedetto XVI, il Cardinale Bertone nutre affetto e profonda ammirazione. Perché in lui – dice – si coniugano “verità e amore”.
Ed è – quello in cui parla di Benedetto XVI – il momento più profondo dell’ultimo libro del Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano emerito. Si chiama “I miei Papi”, è edito dalla editrice salesiana Elledici e rappresenta una carrellata di ricordi che vanno dall’infanzia all’età matura. Una sorta di agile autobiografia che lascia intravedere il lato più umano dietro quelli che vengono chiamati i Sacri Palazzi.
Ci sono state delle anticipazioni di stampa, e hanno raccontato di come il Cardinale ha spiegato la vicenda del suo appartamento, o piuttosto si sono soffermati sui momenti precedenti alla storica rinuncia di Benedetto XVI. Si tratta, però, di dettagli, di aneddoti, che non guardano al libro nella sua interezza.
Quello che colpisce è la tenerezza nel parlare di Benedetto XVI, a testimonianza di un rapporto quasi filiale e di estrema fiducia, costruito negli anni della Congregazione della Dottrina della Fede e portato avanti con costanza. Da lì, vengono le riflessioni più belle
Come quella su “verità e amore”, gli attributi di Benedetto. Scrive il Cardinale: “In ogni epoca l’umanità vive di queste due realtà e ne ha bisogno più del pane. Ma gli uomini e le donne di questo nostro tempo ne avvertono una necessità ancor più acuta, anche se a prima vista sembrano distratti e disperse in tante cose”.
Ogni Papa viene raccontato dal punto di vista dell’autore, e si vede anche la differenza dell’età in cui “conosce” (personalmente o indirettamente) i pontefici.
Pio XII lo ha studiato, più che conoscerlo direttamente. Ma, proprio da studioso, il Cardinale Bertone ne rivendica la modernità, a partire dall’enciclica sulla liturgia, la riforma dei riti della Settimana Santa, il lavoro preparatorio che sfocerà nel Concilio Vaticano II, ma anche l’apertura al metodo-storico critic per approcciarsi alla Sacra Scrittura e l’impulso all’attività missionaria.
Giovanni XXIII è raccontato con l’entusiasmo del giovane seminarista che non perde occasione di partecipare al Concilio Vaticano II, anche mescolandosi con vescovi e monsignori, ansioso di partecipare a questa aria nuova che si respira nella Chiesa.
Paolo VI è ancora la sfrontatezza della gioventù, ma con la voglia di comprendere che viene dall’età, e che porta l’allora don Bertone a chiedere ad Angelo Gallenca, un salesiano che il Papa incaricava di comprare i libri, un appunto per comprendere se davvero il Papa li leggesse tutti.
Dopo la parentesi di Giovanni Paolo I, arriva Giovanni Paolo II, e questo coincide con la maturità del Cardinale, un approccio sempre più serio e regolare alla Curia romana e dunque una formalizzazione dei rapporti con il Papa, sempre più frequenti, che arrivano alla confidenza della discussione sul calcio - si sa che il Cardinale è tifoso della Juventus.
Quindi, Benedetto XVI, di cui si è detto, e infine Papa Francesco. Si è giocato a contrapporli, come si gioca a contrapporre Benedetto e Francesco, ma il Cardinale Bertone porta molti esempi che testimoniano un rapporto, se non di confidenza, almeno calorosamente cordiale tra lui e l’attuale Papa.
Presentando il libro ieri a Valdocco, nella sede central dei Salesiani, il Cardinale Bertone ha annunciato che vive in Vaticano anche perché Papa Francesco gli ha detto che deve continuare il lavoro fino al 2 dicembre 2018, quando compirà 84 anni.
Insomma, il Cardinale è destinato a restare. Sempre nella stessa presentazione, il Cardinale Bertone ha detto di sentirsi a volte “un capro espiatorio”, ha affermato che con il senno di poi “forse non accetterebbe così tanti incarichi”, ha rivendicato la continuità del ministero di Benedetto e Francesco seppur nella differenza di tratti e sfumature, ha sottolineato la grandiosità dell’intuizione della Giornata Mondiale della Gioventù.
Anche qui, però, si va nei dettagli. E ce ne sarebbero altri da analizzare a fondo: le trattative con la Fraternità Sacerdotale San Pio V, i cosiddetti lefevbriani, che vedono il Cardinale come parte dei tre inviati del Papa per cercare un accordo (un altro di questi è monsignor Ocariz, oggi prelato dell’Opus Dei); il modo in cui è stata gestita la questione del Cardinale Milingo e l’approccio allo scandalo pedofilia; il lavoro diplomatico, che il Cardinale in fondo qualifica come un lavoro pastorale.
In generale, quello che risalta è piuttosto la salesianità del Cardinale Bertone. Il quale racconta con dovizia di particolari anche l’arrivo delle reliquie di don Bosco, e la presenza di quell cane grigio che da sempre protegge il santo fondatore della congregazione di cui il Cardinale fa parte.
E viene fuori anche una umanità nel racconto che lo rende in qualche modo universale.
Il Cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che del libro firma la prefazione sottolinea: “Devo confessare che – senza conoscerci e sapere della reciproca esistenza – molti momenti sono stati vissuti allora in comune: dalla sera dell’11 ottobre 1962 in piazza San Pietro per il celebre «discorso della luna» e l’apertura del Concilio Vaticano II, agli ingressi talora un po’ surrettizi di noi studenti universitari di teologia nell’aula conciliare in San Pietro, fino a quel giugno 1963 che vide in quella stessa piazza l’elezione di Paolo VI”.
Al di là di ogni polemica, vera o pretestuosa, il Cardinale conclude il libro ricordando i tre grandi amori di don Bosco: l’amore all’Eucarestia, l’amore alla Madonna e l’amore al Papa. “Non vorrò uscire da questo tracciato”, afferma deciso.
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