New York City, New York, 14 October, 2017 / 4:00 PM
Spicca la celebrazione dei 75 anni delle relazioni diplomatiche tra Giappone e Santa Sede nella settimana della diplomazia pontificia, che conta anche diversi interventi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York e un intervento sul tema dell’immigrazione al tema di Ginevra. Sono eventi che danno il senso del lavoro portato avanti dagli “ambasciatori del Papa”, che avrà un riscontro visibile nella seconda visita di Papa Francesco alla FAO di Roma lunedì 16 ottobre.
I 75 anni di relazioni diplomatiche con il Giappone
L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, ha celebrato i 75 anni di relazioni diplomatiche con un breve discorso tenuto all’Università Gregoriana, durante un convegno che è stato organizzato per l’occasione. Ha parlato dell’ “immenso tributo di dolore, sofferenza e di morte che il Giappone ha dovuto sperimentare nella Seconda Guerra Mondiale, specialmente ad Hiroshima e Nagasaki”, e ha chiesto che questo “serva costantemente di monito per tutta l’umanità”. E ha ricordato l’amore di Papa Francesco per il Giappone – che è poi un amore tutto gesuita, dato che a Tokyo i Gesuiti hanno una prestigiosa università, la Sophia – concretizzatosi in una lettera inviata dal Papa ai cattolici del Giappone insieme al Cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, che è stato in visita lì, cosa che potrebbe preconizzare anche ad una prossima visita del Santo Padre nella terra del Sol Levante.
Ma come nascono le relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Giappone? Nel 1942, pochi mesi dopo l’improvviso attacco di Pearl Harbour, l’imperatore giapponese Hirohito chiese di aprire le relazioni, vedendo nella Santa Sede un possibile mediatore e un canale di dialogo con gli Alleati. La richiesta fu accettata, perché la Santa Sede voleva un riconoscimento ufficiale per tutelare i diritti delle comunità cattoliche giapponesi.
Una necessità venuta in 250 anni di riavvicinamento, dopo il periodo delle persecuzioni e del “silenzio” celebrato recentemente in un film di Martin Scorsese, che tra l’altro ha molti collegamenti inaspettati con Nagasaki. Una necessità che testimonia l’importanza della Santa Sede come mediatore internazionale. Per i 75 anni di relazioni, riguardando ad Hiroshima e Nagasaki, con il rischio palesato di un nuovo conflitto nucleare, la Santa Sede continua ad avere quel ruolo di mediatore, tanto che i vescovi di Corea sperano che il Papa lavori tra Corea del Nord e Stati Uniti come aveva fatto con Cuba e Stati Uniti. Intanto, la campagna per la non proliferazione nucleare vince il Nobel per la pace, certificando ancora una volta la profezia dell’impegno diplomatico della Santa Sede, da sempre schierata per la non proliferazione (ci sarà una conferenza sul tema in Vaticano a novembre) e con questo scopo anche tra i Paesi fondatori dell’Agenzia Internazionale Energia Atomica. Da non dimenticare che per la prima volta quest’anno la Santa Sede ha potuto votare alla pari di uno Stato membro durante i negoziati per il Trattato per il Bando delle Armi Nucleari. E questo primo storico voto ha rappresentato un no alla non proliferazione.
L’incontro tra due mondi e i diritti degli indigeni
La Santa Sede è anche membro delle Organizzazione degli Stati Americani, una organizzazione regionale di 35 Stati indipendenti delle Americhe che funge da Forum politico per il dialogo multilaterale.
Rappresentante della Santa Sede all’OAS è l’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore Permanente presso le Nazioni Unite di New York. Il 12 ottobre, ha parlato all’organizzazione (con un discorso pronunciato in spagnolo) durante una Sessione Straordinaria sul tema dell’Incontro di Due Mondi.
L’evento celebrava l'anniversario della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo. Questa approdo sta a ricordare – ha detto l’arcivescovo Auza – “l’importanza della dignità umana e il bisogno di difenderla ogni volta che viene attaccata”, un lezione da applicare nel contesto della moderna schiavitù e delle sue cause educative, economiche e ambientali che la causano.
L’arcivescovo Auza ha richiamato anche l’eroismo di quanti nel passato hanno difeso la dignità umana, come San Pietro Claver – che il Papa ha omaggiato di recente nel suo viaggio in Colombia -, Antonio de Montesinos, Bartolomé de Las Casas. Quest’ultimo era uno degli esponenti della Scuola di Salamanca, la scuola di diritto domenicano che fu alla base dei moderni diritti umani, sebbene nessun libro di storia del diritto lo riconosca mai.
Ed è questo un segno di quella “cultura della vita e dell’incontro” chiamata a sostituire la cultura della “collisione culturale”, così da far unire e fiorire insieme due mondi”.
Sempre il 12 ottobre, l’arcivescovo Auza è intervenuto alle Nazioni Unite parlando dei “Diritti delle popolazioni indigene”, che è tra gli obiettivi dell’Agenda 2030. Nel suo discorso, l’osservatore della Santa Sede ha ricordato la Dichiarazione dei Diritti per i Popoli Indigeni, e poi ha sottolineato che questa dovrebbe essere un modello per la partecipazione dei popoli indigeni nel concerto internazionale. L’osservatore ha poi chiesto che questi abbiano terre e condizioni necessarie ad essere loro stessi “agenti del loro sviluppo e estino”, e che il loro diritto allo sviluppo culturale e sociale deve essere armornizzato con quello degli Stati in cui vivono. E ha infine chiesto una definizione di popolazioni indigene che includa più contesti.
La lotta alla povertà
La lotta alla povertà è un altro dei grandi fronti su cui lavora la Chiesa cattolica alle Nazioni Unite. Al lavoro sul campo fatto da Caritas Internationalis e dalle varie Caritas nel mondo, la Santa Sede affianca il lavoro diplomatico della cosiddetta advocacy dei poveri, portata avanti nelle organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite.
Ovviamente, anche l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite parla di “sradicamento della povertà”, ed è su quel tema che l’arcivescovo Auza è intervenuto lo scorso 12 ottobre.
La posizione della Santa Sede è stata quella di far notare che la povertà è uno dei “tragici risultati” venuti fuori dall’esclusione sociale, economica e politica che “blocca la partecipazione necessaria allo sviluppo umano integrale e concentra sviluppo, benefici e opportunità nelle mani di pochi”. Si tratta di una posizione che la Santa Sede ha assunto da lungo tempo, se si pensa che Paolo VI, nell’enciclica del 1967 Populorum Progressio, sottolineò che “il nuovo nome della pace si chiama sviluppo”. L’arcivescovo Auza ha quindi delineato una “road map” per uscire fuori dalla crisi, che è “un focus strategico concertato in percorsi di partecipazione, specialmente per quanto riguarda l’educazione la salute e la nutrizione”, nonché “politiche di protezione sociale per anziani, bambini e famiglie povere” e politiche di accesso al lavoro, e ha chiesto alle Nazioni Unite di farsi promotori di questo tema.
Una giurisdizione universale?
Il tema della giurisdizione universale è uno dei più dibattuti negli ultimi venti anni. La giurisdizione universale è quella dottrina per cui ci sono alcuni gesti sono considerati tanto orribili da offendere la comunità internazionale nel suo complesso e possono dunque essere puniti da qualunque membro di tale comunità. È una teoria che si trova già in nuce nelle Convenzioni di Ginevra del 1949, e che si è dibattuta molto negli ultimi venti anni, in particolare quando fu arrestato su mandato d’arresto spagnolo in Gran Bretagna l’ex dittatore cileno Augusto Pinochet, per tortura e crimini contro l’umanità.
Quale è il pensiero della Santa Sede? L’arcivescovo Auza, in un discorso del 12 ottobre, ha sottolineato che “la solidarietà e la responsabilità di proteggere” richiedono “una azione risoluta” per creare “norme internazionalmente riconosciute” per “perseguire e attaccare le peggiori violazioni dei diritti umani”, ma che queste norme devono comunque proteggere “la Sovranità degli Stati”, fare in modo che sia militari che civili sia responsabili per crimini atroci ma mantenere il principio di solidarietà. La Santa Sede ha in pratica chiesto maggiore lavoro sul tema, perché la giurisdizione sia equilibrata e regolamentata.
Lo sviluppo sostenibile
Una delle formule più usate alle Nazioni Unite è quella di “Sviluppo sostenibile”, che è molto presente anche nella Laudato Si, sebbene nel suo discorso alle Nazioni Unite del 2015 Papa Francesco abbia preferito usare la formula “sviluppo umano integrale”.
L’assemblea generale delle Nazioni Unite ne ha parlato lo scorso 10 ottobre, e la Santa Sede ha ribadito la sua posizione: lo sviluppo deve andare oltre la crescita economica, e deve includere la crescita di ciascuna persona nel contesto della propria comunità e dell’ambiente.
I diritti dei bambini
Il diritto e la protezione dei bambini sono stati alla base di un dibattito alle Nazioni Unite lo scorso 10 ottobre. Nell’intervento dell’arcivescovo Auza, la Santa Sede si è focalizzata in particolare sui minori non accompagnati e i migranti, che sono cresciuti del 500 per cento negli ultimi 5 anni. La Santa Sede ha ricordato che la Convenzione dei diritti dei bambini dà già le basi legali per assicurare i diritti dei migranti bambini, e chiesto che i bambini non restino senza voce
(La storia continua sotto)
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Qui Ginevra: il Global Compact sulle migrazioni
Dai bambini migranti alle migrazioni in senso generale. Si discute, in questo periodo a Ginevra, il cosiddetto “Global Compact” sulle migrazioni, il primo accordo tra governi negoziato sul tema. La Santa Sede è molto attiva, tanto da aver ospitato due summit in Vaticano con esperti delle migrazioni e aver preparato un documento in vari punti da presentare alle Nazioni Unite.
L’Arcivescovo Ivan Jurkovic, Osservatore Permanente presso le Nazioni Unite di Ginevra, ne ha parlato in una riunione de 12 ottobre scorso, in una riunione sulle “migrazioni irregolari e percorsi regolari”.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Jurkovic ha prima di tutto enfatizzato che la dichiarazione di New York sulle migrazione sottostima ii problema delle migrazioni, perché quantifica in milioni le persone in movimento, mentre sono miliardi. Quindi ha lamentato che la risposta alle migrazioni è sempre una risposta a breve termine, dove grande enfasi ha posto sulla sicurezza. Infine ha messo in luce che: non si deve mai perdere il volto umano delle migrazioni, andando oltre le burocrazie, sempre rispettando le scelte sovrane degli Stati; si devono trovare percorsi comuni per uscire dall’irregolarità; si devono creare opportunità per favorire una mobilità regolare; e di lavorare per ricongiungere famiglie di migranti, superando i problemi legali che ancora ci sono.
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