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Un servizio di EWTN News

Papa Francesco in Myanmar, Cardinale Bo: “Verrà per aiutare la nazione a guarire”

Il Cardinale Charles Bo, arcivescovo di Rangon, durante un incontro in Myanmar

Come sarà il viaggio di Papa Francesco in Myanmar? Il programma è stato appena definito, e intanto la crisi dei Rohingya ha continuato a divampare: la minoranza musulmana è stata infiltrata di radicalisti islamici, il governo ha parlato alle Nazioni Unite. Fatto sta che non si tratta della sola minoranza perseguitata in Myanmar. E che le relazioni diplomatiche che la Santa Sede ha di recente stretto con il governo di Na Pi Taw possono servire anche ad aiutare queste minoranza e tutte le altre minoranze perseguitate. Il Cardinale Charles Bo, salesiano, arcivescovo di Rangon, ha voluto questo viaggio e promosso il dialogo per l'apertura delle relazioni diplomatiche. Con ACI Stampa, fa un quadro della situazione.

Quali saranno gli incontri istituzionali di Papa Francesco in Myanmar? Chi lo consiglierà?

Il Papa ha un incontro fissato con Aung San Suu Kyi e le autorità in Nay Pyi Taw, la capitale. Spero che, durante questi incontri, si affronteranno le questioni più calde. E credo che il Papa incoraggerà a fare passi avanti positivi.

Lei ha più volte definito la democrazia in Myanamr come molto fragile. Come trovare un bilancio tra la stigmatizzazione e le critiche, e quali aiuti possono venire dal Vaticano per Aung San Suu Kyi nell’affrontare la situazione dei Rohingya?

Ancora una volta, noi come Chiesa vogliamo riaffermare l’intensità della sofferenza umana. Il problema c’è stato per gli ultimi sessanta anni, e in particolare a partire dal 1982, quando è stata approvata una ingiusta legge sulla cittadinanza. Ma c’è una nuova energia che viene lasciata libera dalla islamofobia globale. I regolamenti contro i musulmani nelle nazioni ricche sono un altro incoraggiamento per altre nazioni. L’ingiustizia in ogni parte è ingiustizia ovunque. I musulmani non soffrono solo in Myanmar. Naturalmente, gli attacchi ai Rohingya sono stati seguiti da attacchi sui militanti, e niente può giustificare cosa succede come reazione.

Si è molto criticata Aung San Suu Kyi e la sua gestione dell’emergenza. Ma davvero la situazione è così grave?

Aung San Suu Kyi avrebbe potuto aver fatto meglio. Ma dire che non abbia fatto niente è una teoria che ci porta troppo lontano. Ha formato la commissione Kofi Annan e lei e il suo governo hanno concordato di implementare le raccomandazioni di quella commissione. Quel giorno c’è stato un attacco militante ed è cominciata la rappresaglia. Attaccando Aung San Suu Kyi, nessuno vince. Lei è ancora una speranza per la democrazia.

Cosa può fare?

Aung San Suu Kyi non ha il ruolo di un presidente esecutivo full time. Ha un ruolo oggi che è molto fragile, e deve affrontare una frangia fortemente nazionalista ed estremista che cresce e si diffonde nella nazione. L’esercito controlla i maggiori ministeri.

E il Vaticano? Che ruolo può avere dopo aver stretto le relazioni diplomatiche?

Il Vaticano e altre istituzioni internazionali hanno bisogno di lavorare per guarire le ferite della popolazione e mostrando un futuro che può portare risultati positivi per tutte le comunità. Da questo punto di vista, le iniziative interreligiose per la pace sono molto vitali e abbiamo già avuto in molte circostanza questo ruolo di mediazione.

Quale è la situazione del Myanmar?

Il Myanmar è una delle più povere nazioni nel mondo. Lo stato di Rakhine, dove avviene la situazione dei Rohingya, è lo Stato più povero con circa il 70 per cento di persone che vivono in condizione di povertà. Questa situazione ha creato una paranoia antagonista. Il Myanmar ha moltissime risorse, ma queste non vanno ai poveri. Il Papa è un grande profeta di giustizia economica e ambientale, e speriamo alzi la sua voce contro queste due ingiustizie.

Cosa pensa dovrebbe dire il Papa?

La conferenza di pace di Pinlong ha rappresentato un passo avanti e Aung San Suu Kyi ne ha condotte altre due. Non sono cose perfette, ma sono passi avanti, e c’è bisogno che il Papa mostri profondo apprezzamento per questo. Sebbene quella dei Rohingya sia una grande tragedia, deve essere portato anche a parlare degli altri conflitti irrisolti e degli sfollati che ci sono negli Stati di Karens, Kachin, Shan. La nazione ha bisogno di guarigione su vari fronti.

E cosa dovrebbe essere fatto a livello internazionale?

Il Santo Padre ha già affrontato venti di criticismo e ha compatito le sofferenze dei musulmani e dei Rohingya. Dobbiamo con coraggio schierarci contro l’Islamofobia globale. Quello che succede oggi è che abbiamo bisogno di non vedere questa tragedia slegata da altre tragedie umane, perché altrimenti saremmo in una verità frammentata.

 

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