Damasco, 26 August, 2017 / 2:00 PM
Il 29 luglio è stato il quarto anniversario della scomparsa in Siria di padre Paolo Dall’Oglio: dal 29 luglio 2013 non si ha più notizia. Per l’occasione il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, aveva diffuso un tweet in ricordo della vicenda del religioso: “4 anni dopo un pensiero a padre #PaoloDall’Oglio scomparso a Raqqa e alla sua famiglia. Continuiamo a lavorare e a sperare”.
Anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha indirizzato ai familiari il suo messaggio di “vicinanza e la solidarietà ai suoi familiari, così provati da una lunga e dolorosa attesa. Esprimo l'auspicio che il tempo non attenui la volontà di cercare la verità sulla sorte del padre gesuita, simbolo del dialogo tra religioni”. Per ricordarlo è stato edito un volume curato da Riccardo Cristiano, presidente dell’Associazione ‘Giornalisti Amici di padre Dall’Oglio’, intitolato ‘Paolo Dall’Oglio. La profezia messa a tacere’, a cui hanno contribuito Nader Akkad, Paolo Branca, Laura Silvia Battaglia, Massimo Campanini, Pierluigi Consorti, Antoine Courban, Asmae Dachan, Stefano Femminis, Shady Hamadi, Marco Impagliazzo, Luciano Larivera, Federico Lombardi, Adnane Mokrani, Amedeo Ricucci, Lorenzo Trombetta.
Il libro mette insieme testi di carattere giornalistico, sulla sua figura e il suo impegno per il dialogo, e contributi scientifici sul suo pensiero. Sono le due sezioni del libro, intervallate da un’ampia sintesi, curata da Stefano Femminis, di quanto il gesuita scrisse negli anni precedenti il sequestro sul web magazine dei gesuiti, Popoli. Nell’introduzione p. Federico Lombardi ha scritto: “Sono pur sempre le sue parole, soprattutto le ultime, ben scelte nella parte centrale del libro, a toccarci con quella forza e quella passione che ha segnato e continuerà a segnare ogni nostro incontro con lui. Quando ci parla della speranza che lo animava: ‘La speranza è dell’ordine del combattimento, non delle previsioni’ (luglio 2013)”. A Riccardo Cristiano ho chiesto di spiegarci il titolo: “Siamo a quattro anni dal sequestro di Paolo Dall'Oglio, romano, gesuita. Si tratta di quattro anni che hanno sconvolto il Mediterraneo e quindi di tutte le culture che sul Mediterraneo si affacciano, che nel e del Mediterraneo vivono. Il concetto stesso di ‘vivere insieme’ oggi appare incapace di comunicarci qualcosa di reale, forse un'utopia, a voler essere ottimisti. Non c’è forse una catena di negazionismi al centro di questo spirale? I negazionismi di ieri tornano inquietanti nei negazionismi di oggi. Non ricordiamo forse che abbiamo negato la stessa Primavera, dicendoci che era un Inverno? Che il rischio fosse di una profezia falsa e che si auto avvera era evidente. Questo lui lo aveva capito appieno già quattro anni fa e ci aveva avvertito. Oggi possiamo illuderci di stendere un mantello di silenzio sul Mediterraneo, ma la lacerazione sebbene coperta rimarrà. Chi lo ha sequestrato, se è stato sequestrato, voleva impedire che il suo grido di allarme, che lui sapeva gridare in arabo agli arabi e a noi nelle nostre lingue, potesse svegliarci nelle ore decisive. Bisognava seguitare a restare sordi nei contrapposti accampamenti, senza sentire e quindi senza sapere cosa accadeva all'altro”.
In cosa consiste la profezia di padre Dall’Oglio?
“Paolo ha avvertito sia noi sia gli arabi, musulmani e cristiani. La Primavera araba, occasione senza ritorno, era la nostra Primavera, la nostra occasione di affiancare e favorire la costruzione di un ordine democratico in un mondo attiguo al nostro che rivendicava libertà e giustizia. La Primavera per gli arabi poi era l’occasione di riappropriarsi della politica fuori dall'ordine infantile dei complotti e della contrapposizione. Ma c’erano delle forze, tanto evidenti quanto oscure, che avversavano questa occasione storica e irripetibile. Non vederle, non contrastarle, avrebbe consegnato la Primavera a quel passeggero clandestino che era salito a bordo del treno della rivoluzione non violenta siriana. E allora la repressione volutamente feroce avrebbe sposato una lotta jihadista portando le religioni nelle spirali devastatrici di questo circuito di odio. Lui ci aveva avvertito che i disegni imperiali avrebbero sostenuto la ferocia di Assad che avrebbe generato la ferocia dell’Isis che avrebbe portato l’insurrezione dei curdi che avrebbe completato la deriva dei turchi, generando un collettivo applauso infernale. Ma tutto questo era evitabile, avrebbe potuto essere evitato. Lui lo sapeva e lo ripeteva quotidianamente, per questo la sua profezia è stata messa tacere. Dovevamo tradire la Primavera, cioè noi stessi, la cultura cosmopolita, la civiltà del vivere insieme, pensando di difendere noi stessi”.
E' un libro di testimonianze: a quattro anni dalla sua scomparsa quale è la sua attualità?
“In questo libro cerchiamo di ripercorrere un’esperienza umana, religiosa, culturale, intellettuale, politica, con gli occhi dei giornalisti che lo hanno conosciuto e degli accademici che lo hanno letto, studiato, discusso. Parlando di lui proviamo a parlare di noi, di quello che c’è oggi, qui, in questo momento. Il dialogo tra culture e religioni, la solidarietà, un’ermeneutica capace di andare ancora più avanti sulla strada dell’incontro. Non si tratta di fare di Paolo Dall’Oglio un ‘totem’, ma un compagno di viaggio che può ancora aiutarci a capire cosa sta succedendo. In lui vedo l’esempio più chiaro che abbia avuto modo di vedere di quella Chiesa in un uscita di cui parla papa Francesco. E quanto in Medio Oriente, purtroppo, ci sia, comprensibilmente, di una Chiesa arroccata: l’amore di tanti musulmani siriani per Paolo, anche inseriti in un percorso diverso dal suo, o dal nostro, ci dice in concreto, non in teoria, che un altro Mediterraneo è davvero possibile. Sarebbe possibile. Volendolo. Ma volendolo tutti i giorni, non un giorno soltanto. Lui, per questo Mediterraneo del dialogo, ha giocato tutto, ha messo sul tavolo anche la sua vita, la sua morte. Non aveva paura di morire, altrimenti non sarebbe tornato in Siria dopo esserne stato espulso. Per questo c’è un’enorme forza viva, presente, attuale, in tutto il suo discorso, nella sua voce”.
Padre Dall’Oglio è definito un ‘mistico con l’urgenza del fare’: come attuare questa definizione?
“Paolo è davvero un mistico con l’urgenza dell’impegno civile, umano, solidale. Direi che è come un treno, non cammina senza un binario. I binari non si uniscono mai e non si allontano mai, non esistono se non sono unitariamente doppi. Nella tenda di Abramo, che aveva voluto sulla terrazza di Mar Musa c’è misticismo e umanità viva, quotidianamente impegnata a crescere insieme, a vivere la vita dell’altro, con l’altro. Mar Musa è un monastero che vive nel deserto, non è una cartolina. Mar Musa è dialogo di fede, non è archeologia monastica. La tenda d’Abramo ci dice che il modo migliore per conservare è innovare. Lì si percepisce che il cristianesimo o è in movimento o non è cristianesimo. E’ vita, come l’acqua che scorre. L’acqua stagnante invece porta malattia... Quel cristianesimo diviene evidentemente non ‘minoranza’, ma parte del suo contesto, parte vitale, vivificante. Direi che ci fa capire come quel cristianesimo non esista senza l’islam che in esso e come l’islam che conosce non esista senza il cristianesimo che è in esso. Per questo troppi poteri lo hanno messo nel mirino. Paolo ci parla di Mar Musa, ma non è Mar Musa: Mar Musa tra mille difficoltà continua la sua vita, continua a scorrere”.
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