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Un servizio di EWTN News

Migranti in Ungheria: i numeri e la risposta della Chiesa

L'arrivo di Migranti in Ungheria

Nessuna presa di posizione politica, ma un impegno deciso a favore dell’accoglienza in una opinione pubblica divisa: Péter Szőke, della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale Ungherese, spiega così la situazione immigrazione nel suo Paese.

Lo fa a margine del seminario di due giorni organizzato dalla sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per lo Sviluppo Integrale, al termine del quale i partecipanti hanno redatto una lista di 16 raccomandazioni da presentare alle organizzazioni internazionali in vista del global compact. Parlare dell’Ungheria è importante, perché la gestione dei flussi migratori del governo Orban, che ha portato a proteggere i confini con un reticolato al confine con la Serbia, è stato spesso contrapposto alla necessità di accoglienza predicata da Papa Francesco. Szőke dà ad ACI Stampa un quadro globale della situazione.

Quali sono le questioni in gioco?

I numeri dei migranti si sono ridotti. Quest’anno sono state presentate meno di 2 mila richieste di asilo, e quelle che l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati deve tutelare o comunque seguire sono meno di 600. Il reticolato sul confine con la Serbia ha fatto sì che i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo volessero evitare l’Ungheria. Tra l’altro, per effetto dell’accordo tra Unione Europea e Turchia, la rotta balcanica è praticamente chiusa.

Come vengono gestiti i richiedenti asilo?

Le leggi in materia sono state inasprite. L’anno scorso sono stati aboliti i cosiddetti “sussidi di integrazione”, che permettevano ad un richiedente asilo di percepire una somma – in misura decrescente – per favorire la sua integrazione sociale e l’inserimento nel mercato. Ora, i richiedenti asilo devono partire da zero, e questo complica la situazione delle persone che sono arrivate legalmente in Ungheria.

Ci sono state altre novità?

Dopo le ultime modifiche delle leggi da parte del Parlamento ungherese, tutte le persone richiedenti asilo devono essere portate nelle due cosiddette zone di transito, che sono due villaggi di containers al confine con la Serbia. Una misura che è stata criticata sia dall’Unione Europea che dall’Alto Commissariato ONU per i rifugiati. I due organismi internazionali l’hanno definita “una forma di detenzione”. Il governo ha risposto che non si tratta di detenzione, perché in ogni momento coloro che sono nelle zone di transito le possono lasciare per tornare verso la Serbia. In più, in queste zone di transito sono inclusi anche minori tra i 14 e i 18 anni, che prima venivano inseriti in zone di maggiore tutela.

Quale è la risposta della società ungherese?

È abbastanza divisa. La società civile è molto articolata, il referendum sull’emigrazione promosso dal governo non ha raggiunto il quorum del 50 per cento, ci sono vasti settori a favore dell’accoglienza e altrettanto vasti settori che criticano l’afflusso di migranti, e di rimbalzo criticano anche pesantemente le parole di Papa Francesco.

Cosa fa la Chiesa?

Fa vari gesti di solidarietà. Basti ricordare che il parroco di Roske nel 2015 aveva molto aiutato i profughi che entravano in Ungheria, e il parroco di Kourment ha fatto uscire gli immigrati da una tendopoli. La Caritas è impegnata sul confine serbo-ungherese a Subotica, dove c’era un flusso. Le zone di transito dove vengono analizzate le richieste di asilo hanno la capacità di ammettere solo 10 richieste al giorno, e durante l’inverno la gente campeggiava all’aperto. Non so come siano sopravvissuti. Allora sono stati portati viveri e coperte a queste persone.

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