Genova, 27 May, 2017 / 6:03 PM
Sullo sfondo il mare, e qualche chilometro più in là il porto da cui partì suo padre per l’Argentina, dando inizio ad una nuova storia della famiglia. E Papa Francesco non può non pensare al mare nella sua omelia, chiedendo a tutti di “gettare ogni giorno l’ancora in Dio”, perché la nostra vita è simile “ad una nave carica di merci”. Un peso che il Papa non esita a chiamare “male di vivere”.
Al termine di una intensa giornata genovese, dopo aver salutato uno ad uno tutti coloro che hanno pranzato con lui – più di 100 detenuti e rifugiati – e un passaggio all’Ospedale Gaslini di Genova, il Papa arriva a piazzale Kennedy, nella zona della fiera del mare. La Messa è quella dell’Ascensione, che in Vaticano si è festeggiata giovedì.
Il Papa parte proprio dalle parole di Gesù ai discepoli prima della sua ascensione, quando spiega che gli è stato dato “ogni potere in cielo e sulla terra”. E significa – dice il Papa – che è il “potere di collegare il cielo e la terra”, perché “quando Gesù è asceso al Padre la nostra carne umana ha varcato la soglia del cielo: la nostra umanità è lì, in Dio, per sempre. Lì è la nostra fiducia, perché Dio non si staccherà mai dall’uomo”.
Il potere di collegare cielo e terra “dura per sempre”, perché Gesù ha promesso che sarà con noi “fino alla fine del mondo” e questo “non è un modo di dire, una semplice rassicurazione”, è la reale presenza di Gesù con noi che in cielo “mostra sempre la sua umanità, la nostra umanità”, e così intercede per noi “ogni giorno, ogni momento”, e soprattutto “in ogni Messa”, mostrando al Padre “i segni della sua vita offerta”, ottenendo “misericordia per noi”.
Spiega il Papa che Gesù è il nostro “avvocato”, che ha però donato il potere di intercessione “a noi, alla sua Chiesa, che ha il potere e anche il dovere di intercedere, di pregare per tutti”. Papa Francesco sottolinea che il mondo ha bisogno di preghiera, ne hanno bisogno tutti.
“Nelle nostre giornate – racconta il Papa - corriamo e lavoriamo tanto, ci impegniamo per molte cose; però rischiamo di arrivare a sera stanchi e con l’anima appesantita, simili a una nave carica di merce che dopo un viaggio faticoso rientra in porto con la voglia solo di attraccare e di spegnere le luci”.
Per non correre il rischio di chiuderci in noi stessi, e per non farci sommergere da questo male di vivere, ci dobbiamo ricordare ogni giorno – raccomanda Papa Francesco – di “gettare l’àncora in Dio”, portando a lui “i pesi, le persone, le situazioni”, affidandogli tutto attraverso la forza della preghiera che “collega cielo e terra, che permette a Dio di entrare nel nostro tempo”.
Il Papa spiega che la preghiera non serve per trovare “armonia interiore”, ma per “portare tutto a Dio, per affidargli il mondo”. Non è ricerca di tranquillità, è “carità”, è “chiedere, cercare, bussare”, mettersi in gioco “per intercedere”, senza mai stancarci, perché “questa è la nostra prima responsabilità”.
Sottolinea il Papa: “La preghiera è la forza che fa andare avanti il mondo; è la nostra missione, una missione che al tempo stesso costa fatica e dona pace”. La preghiera è il nostro potere, che non prevale, ma “esercita una forza mite”, con la quale però “si possono anche fermare guerre e ottenere la pace”.
Ma dopo l’intercessione c’è l’annuncio. Perché il Signore invita i suoi ad “andare e fare discepoli tutti i popoli” con “un atto di estrema fiducia” che mostra come Gesù “crede in noi più di quanto noi crediamo a noi stessi” e ci invia “nonostante le nostre mancanze” e nonostante sappia “che non saremo mai perfetti e che, se aspettiamo di diventare migliori per evangelizzare, non cominceremo mai”.
Per Gesù è piuttosto importante superare subito l’imperfezione della “chiusura”, perché “l’amore di Dio è dinamico, vuole raggiungere tutti” e dunque per annunciare occorre “andare, uscire da se stessi” senza rimanere quieti e “cullarsi delle sicurezze acquisite”.
Gesù – dice il Papa – “ci vuole in uscita, liberi dalla tentazione di accontentarci quando stiamo bene e abbiamo tutto sotto controllo”. Aggiunge Papa Francesco: “Il cristiano non è fermo, ma in cammino: col Signore verso gli altri. Ma il cristiano non è un velocista che corre all’impazzata o un conquistatore che deve arrivare prima degli altri. È un pellegrino, un missionario, un ‘maratoneta speranzoso’: mite ma deciso nel camminare; fiducioso e al tempo stesso attivo; creativo ma sempre rispettoso; intraprendente e aperto; laborioso e solidale”.
È lo stile con il quale Papa Francesco esorta a “percorrere le strade del mondo”, perché “è urgente stare nelle strade”, e allora la preghiera è di lasciare “ad altri le chiacchiere e le finte discussioni di chi ascolta solo sé stesso” e di lavorare “concretamente per il bene comune e la pace”, mettendoci “in gioco con coraggio, convinti che c’è più gioia nel dare che nel ricevere”.
Questa è l’esortazione del Papa all’omelia. Al termine della Messa, canteranno per lui il canto “Ma se ghe pensu”. È una canzone del 1925, quando nasceva, sulla base degli antichi trallallero, la musica dialettale genovese, che poi sarebbe sfociata nella scuola dei cantautori di Genova. Il brano, interpretato da moltissimi artisti famosi e scritto da Mario Cappello, La canzone narra la storia di un genovese costretto a emigrare in America Latina, in cerca di fortuna: Succedeva spesso, tra fine 1800 e inizio 1900, e il padre di Papa Francesco, sebbene non di Genova, fu uno di questi emigrati.
Dopo la canzone, il Papa saluterà i membri del Comitato Organizzatore della Visita, benedirà una statua della Madonna di Loreto e quindi decollerà per rientrare a Roma.
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