Genova, 27 May, 2017 / 11:40 AM
Affrontare la vita contemporanea che “non è in strada, ma in fretta”. La necessità di stare in strada, e la paura del “prete statico”, che fa “tutto ad orario”. La fraternità, una parola che “non si quota nella borsa dei valori”, e il rischio che diventa “più importante l’ideologia della fratellanza”. La “diocesanità”, ovvero quella porzione del popolo di Dio “che ha faccia”. La crisi delle vocazioni, che è trasversale, e che è provocata dagli stessi atteggiamenti della Chiesa.
Papa Francesco a Genova incontra il clero, per un botta a risposta a braccio, nella Cattedrale dedicata a San Lorenzo, dopo l’incontro con il mondo del lavoro all’ILVA. Quattro domande, dai criteri per vivere una profonda vita spirituale al calo di vocazioni, dal modo in cui vivere la fraternità sacerdotale al carisma della vita consacrata.
Papa Francesco entra nella cattedrale, bacia la croce che gli viene porta in dono, si segna e segna il Cardinale Angelo Bagnasco con l’aspersorio e quindi simbolicamente asperge i sacerdoti e i religiosi con l’acqua santa all’ingresso.
Introducendo l’incontro, il Cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, racconta che i sacerdoti genovesi “in genere sono schivi”, e che in Liguria sono presenti “circa 600 sacerdoti diocesani e 600 religiosi, e poco più di 2 mila religiose”. Sono anche i frutti del grande lavoro di formazione, del seminario dedicato all’indimenticato cardinale Giuseppe Siri, per un quarantennio arcivescovo di Genova. E, non a caso, il seminario era stato indicato come una delle opere di misericordia della città al Congresso Eucaristico Nazionale che si è tenuto a Genova lo scorso settembre.
Nella cattedrale ci sono 1670 sacerdoti, con 12 vescovi, 7 in carica e 5 emeriti. Ma ci sono anche i ministri di alcuni culti religiosi, tra cui due imam. E il Cardinale ricorda che c’è anche un sacerdote copto, comunità anche ieri “duramente colpita”.
E il Papa, all’inizio dell’incontro, ricordando l’attentato che in Egitto ha fatto 35 vittime, ha invitato a “pregare insieme ai nostri fratelli copti, egiziani, che sono stati uccisi perché non volevano rinnegare la fede. Insieme ai loro vescovi, al mio fratello Tawadros (il patriarca copto, ndr) vi invito a pregare in silenzio e poi un’Ave Maria”. E poi, dopo la preghiera, sottolinea: “Non dimentichiamo che oggi i martiri cristiani sono più dei tempi antichi, dei primi tempi della Chiesa.”
Come vivere una vita più spirituale nel mondo di oggi? Il Papa risponde che “più imitiamo lo stile di Gesù, più faremmo bene il nostro lavoro di pastori. E questo è il criterio fondamentale: lo stile di Gesù!”.
Lo stile di Gesù è che questi “era sempre in cammino, in mezzo alla gente, ‘la folla’ dice il Vangelo”, che distingue bene “i discepoli, la folla e i Dottori della Legge”. Il Papa sottolinea che Gesù andando tra la folla “non si nascondeva”, conosceva “i problemi della gente”, andava solo la sera da solo a pregare, e questo “modo di vedere Gesù in strada e pregando” aiuta alla nostra “vita contemporanea che non è in strada, ma è in fretta”.
Il Papa chiede di “non avere paura al movimento e alla disperazione del nostro tempo”, perché la paura più grande quella “di una vita statica, una vita del prete che ha tutto ben risolto, tutto in ordine, strutturato, tutto è al suo posto...” E attacca: “Il parroco che ha tutto preordinato sarà un buon imprenditore, ma non ha uno stile cristiano. Sarà un buon uomo, ma con uno stile da imprenditore”. È un uomo “generalmente chiuso alle sorprese di Dio”, che fa perdere “la gioia della sorpresa dell’incontro”.
La tensione, aggiunge, è parte della vita, e “anche i padri del deserto andavano nel deserto per lottare di più”, quindi andando in clausura non si risolve quella tensione.
Ricorda il Papa che Gesù si incontrava soprattutto con “emarginati, lebbrosi”. È “l’incontro con il Padre” che crea “questa tensione”. “Tutto deve essere vissuto con la chiave dell’incontro”, sottolinea Papa Francesco. Perché non c’è “muro, né formalità troppo rigida che impedisca l’incontro”. E il Papa racconta di un sacerdote che, anziano, grande letterato, che gli racconta un giorno: “Questi teologi mancano di qualcosa… che l’ecclesiologia mancava del fatto che la Chiesa della parrocchia è ontologicamente stufa ed essenzialmente olimpico, cioè che fa quello che vuole”.
Eppure, dice il Papa, ci si deve “lasciare stancare dalla gente, non difendere troppo la propria tranquillità”. E punta il dito contro i sacerdoti che non fanno una vita di incontro, che “hanno bisogno di rispecchiare se stessi”, mentre esalta quelli che fanno una vita di incontro, tanto da arrivare alla fine della giornata “come diceva San Luigi Orione, strappati come uno straccio”.
Il Papa ribadisce la sua preferenza per la “pastorale dell’orecchio”, e sottolinea la debolezza nella “diocesanità”, e chiede a tutti i preti di ricordare che “soltanto Gesù è il salvatore, non ci sono altri salvatori”, e anche pensare che “Gesù mai si è legato alle strutture, ma sempre si legava ai rapporti”. E chiede di vivere “il minimo delle strutture per il massimo di vita” e non il contrario.
Sono questi i criteri, per il Papa, che per alcuni “possono sembrare antichi, ma che invece sono moderni! Ultra moderni!”
Don Pasquale, 81 anni, chiede al Papa come vivere meglio la fraternità, e il Papa risponde che la “fraternità non si quota nella borsa dei valori”, e mette in guardia dal pericolo “di avere creato una immagine del prete che sa tutto e non ha bisogno che gli dicano niente”.
Il Papa lamenta che c’è più interesse per le questioni economiche che non per le cose vere, invita ad ascoltare i confratelli, cercare di comprendere le ragioni della distanza dei discorsi dei confratelli, sottolinea che “fa bene” passare del tempo insieme con i preti, di “fare con il presbiterio quello che facevo con i miei fratelli”. Insomma, dobbiamo ritrovare il senso della “fraternità”, che “deve entrare di più nei sacerdoti”.
Papa Francesco racconta poi: “Voi sapete che per fare una nomina di vescovo, si chiedono informazioni ai sacerdoti, alle consacrate, su questo sacerdote… è un segreto, ma se c’è un possibile candidato si chiedono informazioni… alcune volte si trovano delle calunnie, o opinioni che senza essere calunnie gravi svalutano la figura del prete e si capisce subito che dietro c’è gelosia, invidia. Quando non c’è fraternità, c’è invidia.” È questo “il nemico grande contro la fraternità sacerdotale”.
Il Papa cita anche il Cardinale Canestri, che fu arcivescovo di Genova, il quale sottolineava che “la Chiesa è come un fiume. L’importante è essere dentro il fiume”.
Poi ricorda i padri del deserto, in particolare di quando una serie di sacerdoti va a chiedere a Aba Pafnuzio un consiglio, e lui risponde: “Ho visto nella riva del fiume un uomo nel fango fino alle ginocchia, e quelli lo hanno fatto scendere fino al collo. Ci sono alcuni aiuti che cercano di distruggere, invece che di aiutare. Nella mormorazione sempre c’è questo”.
Quindi, Papa Francesco torna sul tema della diocesanità. “La diocesanità – dice il Papa – ci salva dall’asserzione, dal nominalismo, da una fede un po’ gnostica o che vola sull’aria”. Per il Papa, la diocesi “ha fatto, fa e farà storia. Tutti siamo inseriti nella diocesi”.
I carismi “nascono in un posto concreto, ed è legato a quella diocesi concreta”, un posto concreto che “cresce e ha un carattere universale”. Insomma, “non c’è carisma senza una esperienza fondante concreta”.
Il Papa poi ricorda che si sta facendo un nuovo progetto sulle mutuae relationes, o meglio sul rinnovo del documento del 1978 che regolamenta i rapporti tra vescovi e religiosi, perché “sempre ci sono conflitti, anche conflitti buoni”.
Ricorda che le “periferie” non sono solo quelle delle povertà, ma anche “quelle del pensiero, tutte”, che sono il riflesso “dei posti dove è nato il carisma primordiale”.
Capitolo vocazioni. Il Papa la prende alla lontana, parla di un “calo demografico” che incide anche sul calo di vocazioni perché “non ci sono i giovani”. Poi va più a fondo. Sottolinea che “il calo è vero”, che “la crisi vocazionale che tocca tutta la Chiesa,” anche per esempio “la vocazione del matrimonio”, che “è tanto bella”, ma “i giovani non si sposano”. È una crisi “trasversale, che tocca tutti, anche la vocazione matrimoniale”.
(La storia continua sotto)
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Papa Francesco poi dice che si devono “affrontare i problemi, e imparare dai problemi, cercare una risposta che non si riduttiva, di conquista”.
Per creare vocazioni – aggiunge, dopo aver raccontato degli aneddoti, anche sulla tanto dibattuta questione della ‘tratta delle novizie’ - “dobbiamo dare testimonianza che siamo felici, che viviamo felici. Ci sono tanti sacerdoti, giovani, cristiani che vivono come pagani!” Il Papa dice che poi i giovani sono attratti “dalla missionarietà, dallo zelo apostolico, che non vive per se stesso, vive per gli altri e dà la vita!”
Il Papa mette anche in guardia – come sempre – dalla “mondanità spirituale”, mentre i giovani “chiedono testimonianza di autenticità, e di armonia con il carisma, e noi dobbiamo comprendere che con questi comportamenti siamo noi stessi a provocare certe crisi vocazionali”. Insomma, c’è bisogno di “una necessaria conversione pastorale”, anche perché “le vocazioni ci sono, Dio le dà”, ma se poi “il prete è sempre occupato”, e non ascolta i giovani, questi vanno a cercare altro.
Papa Francesco invita dunque a “fare cose con i giovani”, perché i “giovani sono sempre in movimento”, ma se questi vengono invitati a fare qualcosa di concreto – come “imbiancare una chiesa in Africa” – la “testimonianza” agisce, ed è lì che c'è il seme della vocazione, che poi nasce dalla volontà di imitare o di non imitare (ed è questa la controtestimonianza).
E la “testimonianza è chiave nelle vocazioni, avviene senza parola”, conclude il Papa, che poi ringrazia tutti, e dice: "Avanti! il Signore è grande! Ci darà figli e nipoti nelle nostre congregazioni e nelle nostre diocesi"
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