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La Cattedra di San Pietro tra liturgia, leggenda e archeologia

La festa della Cattedra di San Pietro ha una origine antichissima e la sua nascita si confonde con la leggenda, ma il significato è importantissimo per la Chiesa Cattolica.

“La Cattedra di Pietro- ricordava Benedetto XVI nel 2009- simboleggia l’autorità del Vescovo di Roma, chiamato a svolgere un peculiare servizio nei confronti dell’intero Popolo di Dio”.

Quando si entra nella basilica vaticana lo sguardo viene attirato del baldacchino sopra la tomba di Pietro e dalla magnifica scultura della cattedra nella gloria di Dio. Una capolavoro barocco che in effetti custodisce solo alcuna reliquie di quella che per secoli venne creduto un manufatto dei primi secoli della cristianità.

Nel 1867, nell’anniversario del martirio di Pietro anche Papa Pio IX volle fare una ostensione della cattedra in legno, una specie di trono, per anni attribuita all’Apostolo.

Fu Papa Paolo VI nel 1968, cento anni a dopo, a chiedere degli studi approfonditi che misero in evidenza come quella cattedra in effetti fosse un seggio carolingio legato a Carlo il Calvo, forse un dono per il Papa.

Ma la sostanza non cambia. Come spiega Benedetto XVI, “subito dopo il martirio dei santi Pietro e Paolo, alla Chiesa di Roma venne infatti riconosciuto il ruolo primaziale in tutta la comunità cattolica, ruolo attestato già nel II secolo da sant’Ignazio di Antiochia e da sant’Ireneo di. Questo singolare e specifico ministero del Vescovo di Roma è stato ribadito dal Concilio Vaticano II. "Nella comunione ecclesiastica, - leggiamo nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa - vi sono legittimamente delle Chiese particolari, che godono di proprie tradizioni, rimanendo integro il primato della Cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale della carità, tutela le varietà legittime, e insieme veglia affinché ciò che è particolare, non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva".

Come nasce allora la venerazione per la Cattedra di Pietro?

Una tesi interessante è spiegata da padre Umberto Fasola, barnabita e studioso di archeologia cristiana.

Negli antichi documenti si rintraccia la vicenda di un pellegrino di Monza che volendo portare alla sue Regina Teodolinda alla fine del VI secolo gli olii sacri raccolti sulle tombe dei martiri si avvia nella regione tra la Salaria e la Nomentana per cercare le vestigia di Pietro. Perché non in Vaticano?

Seguendo i testi che si incrociano con la leggenda ed è evidente che in quell’epoca doveva esserci un oggetto che chiamava la devozione popolare. Fasola, grazie ai testi, lo identifica con una sedescattedra di san Pietro. Come era nata la leggenda? Per Fasola era importante studiarla proprio per capire la natura della festa del 22 febbraio, anticamente chiamato Natale Petri de Cathedra.

Durante gli scavi di fine ‘800 nel Cimitero Maggiore sulla via Nomentana sembrò chiaro agli studiosi, non senza polemiche, che una memoria Petri fosse venerata fin dai primissimi secoli del cristianesimo. E la scoperta di alcune “cathedrae” in pietra con evidenti segni di venerazione accresce sembrò confermare questa idea. Sulla data però c’è ancora mistero. Il 22 febbraio nel mondo pagano si concludevano i Parentalia giorni dedicati dai parenti ai defunti.  E nei cimiteri si svolgevano i refrigeria, i banchetti funebri, delle vere feste. La festa liturgica definita nel 336 nella Depositio Martyrum, non si riferiva ad una cattedra materiale, ma certo la solennità richiamava  l’oggetto.

Insomma un intreccio tra devozione popolare e teologia che si concretizzava, forse, nelle “cathedrae” che si trovano nelle catacombe nate con altri scopi, appunto per i refrigeria. I fedeli che andavano a pregare per i parenti proprio nel giorno in cui era stata definita la festa, davanti ad una “cathedra” pensano a Pietro.

Così il senso della festa ancora oggi è ben più di una devozione materiale. Come Paolo VI disse nel 1967, prima di dare il via agli studi sulla cathedra custodita in Vaticano: “Noi faremo bene, Figli carissimi, a dare a questa festività la venerazione, che le è propria, ripensando alla insostituibile e provvidenziale funzione del magistero ecclesiastico, il quale ha nel magistero pontificio la sua più autorevole espressione. Si sa, pur troppo, come oggi certe correnti di pensiero, che ancora si dice cattolico, cerchino di attribuire una priorità nella formulazione normativa delle verità di fede alla comunità dei fedeli sulla funzione docente dell’Episcopato e del Pontificato romano, contrariamente agli insegnamenti scritturali e alla dottrina della Chiesa, apertamente confermata nel recente Concilio, e con grave pericolo per la genuina concezione della Chiesa stessa, per la sua interiore sicurezza e per la sua missione evangelizzatrice nel mondo”.

 

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