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Terremoto: chiuse le Porte Sante con la speranza di rinascere

Mancano pochi giorni al termine del Giubileo straordinario della misericordia, aperto da papa Francesco lo scorso 8 dicembre e terminerà domenica prossima con la cerimonia liturgica solenne nella basilica di San Pietro in Vaticano presieduta dal pontefice e la chiusura della Porta Santa.

Però domenica scorsa in tutte le diocesi del mondo i vescovi hanno chiuso le porte sante delle loro cattedrali o santuari, anche in quelle colpite dal terremoto. Nell’archidiocesi di Spoleto-Norcia, mons. Renato Boccardo, ha chiuso la Porta Santa della cattedrale di Spoleto con una concelebrazione eucaristica partecipata da tanti fedeli, che hanno vinto la paura del terremoto. Il primo pensiero dell’Arcivescovo è stato per i ‘nostri fratelli e le nostre sorelle terremotati’ delle città di Norcia, Cascia e Preci, chiedendo protezione al santo patrono, Ponziano, “alla cui intercessione ci affidiamo affinché ci ottenga da Dio protezione e difesa in questo tempo segnato dal terremoto e dalla paura”.

Nell’omelia mons. Boccardo ha invitato a non cedere alla tentazione dello sconforto: “Durante questo anno giubilare abbiamo più volte varcato la Porta Santa. E’ un gesto, oltre che liturgico, anche fortemente simbolico. Passando sotto quella porta siamo entrati in un luogo ‘altro’, in una dimensione ‘altra’; abbiamo voluto abbandonare la nostra alterigia, il nostro egoismo, l’orgoglio, l’errore, la vendetta, il rancore; siamo voluti entrare nel territorio dell’ascolto, della disponibilità, della mitezza, della riconciliazione, dell’accoglienza, del perdono; in una parola: nel territorio della misericordia”.

L’Arcivescovo ha sottolineato che “di misericordia il mondo di oggi ha un vitale bisogno, giacché il potere del male non è interamente vincibile solo dallo sviluppo scientifico e tecnico. Chiamati a continuare nel mondo la missione di Gesù, dobbiamo apprendere da lui a declinare la misericordia in parole di speranza e di vita e in gesti coinvolgenti, lasciandoci toccare dalle vicende degli uomini e sapendo ‘toccare’ le persone”. Ed ha ricordato che la Porta Santa della misericordia non si chiude: “Essa rimane aperta perché i figli della Chiesa, attraversandola in uscita dopo aver attinto alla Parola e ai Sacramenti motivazione, forza e luce, vadano incontro agli uomini loro fratelli e al mondo con i gesti di un amore misericordioso e compassionevole”.

Anche il vescovo di Ascoli Piceno, mons. Giovanni D’Ercole, ha chiuso la Porta Santa della cattedrale, invocando la protezione di sant’Emidio sulla popolazione colpita dai sismi: “Ci accompagna la Madonna delle grazie, Madre di Dio e della Chiesa; ci proteggono i nostri Santi Patroni, in particolare sant’Emidio, che possiamo invocare con fiducia in questi giorni di prova se siamo disposti a imitarne la fedeltà a Cristo sino al martirio.

E infine, non stanchiamoci mai di fare del bene e di amare, dando il meglio di noi stessi. Sempre. A differenza dei fanatici che minacciano catastrofi per intimorire gli uomini, a differenza dei distratti che rimuovono il pensiero della morte, san Luca storicizza il discorso sulla fine: ‘il giorno che verrà’ è decisivo per il nostro oggi: lo trasforma da tempo qualsiasi in tempo di passione per Dio e per gli uomini”. Commentando il passo evangelico proprio della domenica mons. D’Ercole ha invitato i fedeli a non perdere la speranza: “Il dolore, la malattia, le cosiddette disgrazie, i terremoti e la morte fanno parte della storia e della vita e Gesù ha condiviso l’avventura umana sino alla morte, mostrandoci con la sua risurrezione che c’è sempre un ‘dopo’, un ‘oltre’ che è nelle mani di Dio…

Non è poesia sapere che nel caos della storia, lo sguardo del Padre celeste è fisso su di me ed è Lui il custode innamorato d’ogni mio più piccolo frammento.  Ne sono certo: se il cuore si abbandona nelle mani del Signore, la fatica, il dolore, le sventure diventano occasione per crescere, per credere. Sì, per credere! Discepolo di Gesù di Nazareth non è chi è ottimista o pessimista, ma chi s’impegna a custodire e coltivare la speranza”.

Invece nella diocesi di Macerata mons. Nazzareno Marconi, data l’inagibilità di tutte le chiese, ha chiuso la Porta Santa nell’aula sinodale della ‘Domus San Giuliano’, sollecitando i fedeli ad incamminarsi con fiducia verso una vita nuova, maturata dal perdono di Dio: “Noi che abbiamo ricevuto un perdono così generoso in questo anno di grazia, offriamo ai fratelli un perdono altrettanto radicale e sincero, chiudiamo la porta al ricordo dei loro errori ed incamminiamoci con loro verso una vita nuova. Ma c’è una tentazione più profonda da vincere, sulla quale è bene chiudere una porta molto pesante e solida, è la tentazione della nostalgia del male.

Ogni volta che ricordiamo gli errori passati si risveglia nel cuore anche il sottile fascino che il male aveva esercitato in noi, tanto da portarci ad offendere Dio ed i fratelli. E’ pericoloso ed è falso lasciarsi toccare dalla nostalgia del male. Denuncia la nostra poca fede in Dio, nella sua capacità di riempire di vera gioia il nostro cuore, testimonia che non crediamo alla gioia del Vangelo, alla beatitudine promessa per chi cammina con Dio”.

Conferendo il mandato dei Ministeri di lettori ed accoliti il vescovo ha sottolineato il valore della carità, che rafforza la speranza: “La speranza e la carità si nutrono di fede e la fede giunge dall’ascolto dell’annuncio della parola. L’esperienza di carità e di accoglienza nei confronti di quanti sono stati più duramente colpiti dal terremoto, ci rende coscienti di quanto sia prezioso che nella chiesa molti si dedichino al servizio della carità. A quell’atto di amore che non è soltanto distribuire il pane eucaristico, ma anche il pane materiale, e il prezioso nutrimento del conforto e della consolazione per chi soffre”.

Infine ha affidato le persone a Maria, Madre della Misericordia, ed al patrono san Giuliano l’ospitaliere: “Da ogni cosa che accade si può trarre un insegnamento di bene ed una occasione di crescita e di purificazione. Nel tempo potremo riconoscere che anche questa tragica esperienza di fragilità e di povertà ci ha fatto crescere nel bene e nella fede. Ma ora, ben coscienti della nostra fragilità e dei nostri limiti, invochiamo dal Signore, per intercessione dei nostri santi patroni, che ci sia risparmiato questo cammino così faticoso. Che si chiuda la porta su questa esperienza, per iniziare un tempo nuovo di serenità e di ricostruzione, non solo degli edifici, ma anche dei cuori. Incontrando la nostra gente ho infatti potuto riconoscere le peggiori crepe e del terremoto proprio nei cuori spaventati e stanchi di tanti nostri fratelli più fragili e più piccoli”.

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