Monaco, 12 September, 2016 / 5:00 PM
Una conversazione cuore a cuore tra due bavaresi, non certo un “hard talk” in cui il giornalista mette sulla graticola l’intervistato. Così l’arcivescovo Georg Gänswein, Prefetto della Casa Pontificia e segretario particolare di Benedetto XVI, descrive il libro “Ultime conversazioni” di Peter Seewald.
Nella presentazione ufficiale alla stampa che si è svolta a Monaco di Baviera questa mattina presso la Literaturhaus, il Prefetto ha ripercorso i passaggi principali delle conversazioni che sono anche alcune delle tappe più significative della vita di Joseph Ratzinger.
Emozioni che l’intervistatore ha riportato nel libro anche notando sorrisi, risate e lacrime di Benedetto XVI.
Così Gänswein annota anche le proprie, sottolineando ancora una volta che l’unico motivo delle dimissioni è proprio nella debolezza fisica del Papa emerito.
Una scelta fatta con innocenza e determinazione come quando durante la guerra il giovane Joseph a maggio del 1945 decide: “devo tornare a casa”. E lo fa rischiando tutto e salvando tutto.
“Ma è andata bene e non male!” dice Ratzinger, e Gänswein chiosa: “Devo ammettere che, leggendo,sono stato colto da una sorta di esperienza del déjà vu, che tuttavia, in un senso opposto, ha suscitato in me la domanda se in questa esperienza determinante della gioventù che gli salvò la vita non sia da cercare anche una chiave segreta per intendere quel passo spettacolare che compì alla fine della sua vita quando, nell’estate del 2012 – sicuro come un nottambulo, superando mille ostacoli e molte buone ragioni – una seconda volta, semplicemente e silenziosamente, "decise di tornare a casa".
L’arcivescovo sottolinea come sia chiaro nel libro il carattere di Benedetto XVI lontano da ogni tatticismo e gioco politico e quanto per lui sia importante essere professore, anche quando per alcuni questa caratteristica sia stata usata come arma contro di lui.
“In un certo senso- spiega Gänswein- questo libro opera in modo non spettacolare e come per inciso un’ultima decostruzione della vecchia immagine di lui presso amici e nemici. Mai egli permette all’intervistatore di issarlo su un piedistallo. Si oppone ostinatamente e recalcitra di fronte all’abbozzo di un monumento a se stesso e sabota divertito, amabilmente e tutte le volte che può, ogni tentativo di una sua canonizzazione in vita. Ovvero – in termini storico-critici – egli demitologizza di continuo se stesso, anche rispetto a Peter Seewald".
Un colloquio in cui spicca la semplicità e la innocenza in cui “lo stesso uomo di Chiesa così erudito, più di una volta, con le sue risposte, pare un bambino innocente, misterioso e insondabile, che a lungo è stato seduto sul trono di Pietro; un bambino dello Spirito Santo che, in mezzo a brillanti analisi, racconta del tutto naturalmente quanto si divertisse a giocare a “‘Non ti arrabbiare e cose simili”; pur avendo per lungo tempo, comunque, avuto anche “bisogno di un animo forte, per digerire tutta quella sporcizia” che, ad esempio, gli passò sotto gli occhi quando era a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede. Un grande bambino di Dio, con una mitezza disarmata, che, come sant’Agostino, appassionatamente anela di giungere finalmente a quel “sempre” di cui si dice nel Salmo 105: “Cercate sempre il suo volto”; un bambino che vuole ancora ritornare a casa, “lì dove sarà di nuovo così bello come lo era da noi a casa quando eravamo bambini”.
Ma si rivela qui anche come un uomo profondo e dolcemente sorridente di un’epoca lontana, di “tempi quasi preistorici”, come lui stesso una volta commenta mezzo ironico. Nonostante la sua intelligenza e cultura eccezionale e lucidissima, qui non sembra affatto neanche lontanamente quell’arrogante innamorato del potere e temibile inquisitore come spesso è stato visto e descritto dai suoi “non-amici”.
“Personalmente - conclude l’ arcivescovo e segretario di Benedetto XVI- devo perciò ammettere che la lettura di queste conversazioni più di una volta ha destato in me l’immagine ardimentosa del 'Piccolo principe' di Antoine de Saint-Exupéry – se mi è concesso prenderla imprestito dal pilota e poeta del cielo francese; e tuttavia, nel farlo, devo sorridere io stesso: un piccolo principe papale in scarpe rosse (le scarpe del pescatore!) caduto giù, per il nostro tempo, da una stella lontana come un messaggero del Cielo; anche se, per la stretta consuetudine, so forse meglio di chiunque altro che non si esauriscono affatto in questa figura poetica né Joseph Aloisus Ratzinger, né Benedetto XVI".
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