Città del Vaticano , 06 February, 2015 / 12:45 AM
Sarà beato l’arcivescovo Oscar Arnulfo Romero, trucidato il 24 marzo 1980 mentre celebrava la Messa in una cappella di un ospedale di San Salvador. Mancava solo l’ok di vescovi e cardinali membri della Congregazione delle Cause dei Santi, che è arrivato questa mattina. Papa Francesco aveva chiesto di essere subito informato. E il Cardinal Angelo Amato, prefetto ad interim del dicastero, ha presentato subito i risultati del voto. Il Papa ha approvato il riconoscimento del martirio di Romero, insieme a quello di Michele Tomaszek e Zbignew Stzalkowski, Frati Minori conventuali, e Alessandro Sordi, sacerdote diocesano. Anche loro uccisi in odio alla fede.
È stata una seduta tutta dedicata ai martiri del Sudamerica, quella di oggi. Ovviamente, è soprattutto la causa di beatificazione di Oscar Romero ad avere la luce dei riflettori. Iniziata nel 1997, bloccata per un periodo anche per problemi teologici (la presunta vicinanza di Romero alla Teologia della Liberazione), la causa aveva subito una accelerata sotto il pontificato di Papa Francesco. Così, a luglio 2013 c’è stato il primo ok della commissione teologica, poi recentemente si è dato il secondo ok al riconoscimento del martirio, e infine i membri della Congregazione hanno dato il via libera definitivo, in attesa della decisione del Papa. Che ha detto subito sì.
Romero era stato colpito a morte per non aver mai smesso di accusare i militari, i paramilitari e gli squadroni della morte per le uccisioni degli oppositori politici e di insanguinare il paese. Denunce durissime, che gli avevano anche creato qualche incomprensione con la Curia romana. Eppure, era un prelato molto conservatore, si dice persino vicino all’Opus Dei.
Ad ogni modo, per Giovanni Paolo II non c’erano dubbi che Romero fosse un martire. Sebbene il martirio non fosse stato riconosciuto, il Papa aveva comunque inserito il suo nome tra quello dei martiri ricordati nella celebrazione del Giubileo del 2000. E poi, il 19 novembre 2002, Papa Wojtyla ricevendo la visita ad limina di alcuni vescovi salvadoregni, tra cui Fernando Sáenz Lacalle, successore di Romero, disse: “È un martire. Sì, monsignor Romero è un martire”.
Analogamente a quanto accaduto per padre Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio ucciso dalla mafia, a sbloccare la causa di Romero sarebbe stata la testimonianza rilasciata nel 2010 dal capitano Alvaro Rafel Saravia, l’unico condannato per l’omicidio di Romero le cui parole dimostrano che il presule fu “ucciso in odio alla fede”. Successe così anche per Puglisi, quando il postulatore, monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro, ebbe l’intuizione di usare i verbali del processo per testimoniare che il parroco era stato ucciso in odio alla fede. Una intuizione che è stata utilizzata anche nel caso di monsignor Romero.
Salgono alla gloria degli altari anche tre martiri uccisi in Perù dai guerriglieri maoisti di Sendero Luminoso. Michal Tomaszek e Zbigniew Strzalkowski furono trucidati a Pariacoto il 9 agosto 1991 dai guerriglieri maoisti, mentre il sacerdote bergamasco don Alessandro Dordi fu ucciso in un’imboscata il 25 dello stesso mese lungo il Rio Santa.
Fin dall’inizio monsignor Luis Armando Bambarén Gastelumendi, vescovo emerito di Chimbote ed ex-presidente della Conferenza episcopale peruviana, si era attivato perché si aprisse una causa di beatificazione per le vittime e chiese se fosse possibile includere anche il prete italiano. Anche in questo caso, la causa di beatificazione non procedette spediata. C’era il sospetto di una possibile connivenza con la famiglia di Sendero Luminoso, era difficile spiegare che i due frati fossero morti martiri e non vittime della guerriglia.
Riporta Terre d’America che Padre Angelo Paleri, postulatore dell’Ordine dei Frati minori (Ofm), ha spiegato: “In tutte quelle zone Sendero Luminoso aveva creato una sorta di para- governo: la diffusione capillare sul territorio era possibile grazie all’integrazione delle autorità preesistenti nella loro rete. Operavano sempre in questa direzione, giacché consideravano vitale mantenere l’ordine senza scardinare i poteri precostituiti”. Ed è pur vero che, se fallivano questi “tentativi di negoziato», passavano ultima ratio all’eliminazione fisica degli avversari”.
Era una situazione molto difficile da definire. C’erano anche squadre della morte “di destra” in azione, che pure non si erano fatti scrupolo di uccidere sacerdoti, agenti pastorali, catechisti, suore, perché venivano ritenuti comunisti.
E così, sebbene l’inchiesta diocesana sui tre martiri si fosse chiusa nel 2003, i consultori della Congregazione delle Cause dei Santi avevano chiesto di chiarire molti aspetti sulla vicenda. In Perù c’era una Commissione per la Verità e la Riconciliazione sulle vittime: i consultori esaminarono il materiale.
L’Informe Final della Commissione, pubblicato definitivamente il 23 agosto 2003 e integrato alla documentazione del processo, ricostruisce gli avvenimenti, e mette in luce anche la rete dei rapporti tra Sendero Luminoso, la Chiesa Cattolica e le altre Chiese evangeliche. I leader di Sendero Luminoso tolleravano il pietismo popolare della Chiesa, ma non potevano tollerare i preti che parlavano di giustizia, verità e perdono e che aiutavano i poveri attraverso la Caritas, perché questo toglieva loro terreno. “Servi dell’imperialismo,” li definivano. Di fatto, i leader della guerriglia sono stati alla fine tutti arrestati, e quelli rimasti si dedicano al traffico della coca. Ma di certo, uccidevano i preti in odio
alla fede, perché con la loro fede fermavano il loro progetto rivoluzionario.
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