Città del Vaticano , 17 March, 2016 / 4:00 PM
Dovere di proteggere”: è il tema ricorrente nella Segreteria di Stato vaticana, dipanato già nel 2014 dal Cardinal Pietro Parolin, Segretario di Stato, durate una settimana da lui trascorsa al Palazzo di Vetro dell’ONU. Un dovere di proteggere che si applica a temi come l’ambiente e la società. Ma che si applica con maggiore forza sui cristiani perseguitati. Lo sottolinea l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri vaticano”, in un intervento lo scorso 12 marzo all’Incontro di Formazione Missionaria promosso dalla Diocesi di Roma.
Tema dell’incontro era “La nostra Chiesa è una Chiesa di martiri”. E l’arcivecovo Gallagher, basandosi sui dati del Rapporto Annuale sulla Libertà Religiosa della Fondazione Pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre e su quelli del Rapporto della libertà religiosa del Dipartimento di Stato americano, snocciola cifre, in una lista che probabilmente anticipa l’Urbi et Orbi di Pasqua di Papa Francesco.
Prima di tutto l’Iraq. “Dal 2003 ad oggi, in Iraq, il numero dei cristiani è diminuito da più di 1 milione a meno di 300 mila”. Mentre “nella sola città di Mosul, l’antica Ninive, che rappresenta una delle comunità cristiane più antiche, con una storia di oltre 1700 anni, in una notte 150 mila cristiani hanno lasciato le loro case e i loro villaggi, dopo essere stati derubati in tutti i loro averi. Oggi, in quella città, occupata dallo Stato islamico, non ci sono più cristiani”.
Quindi, la Nigeria. “Boko Haram – racconta l’arcivescovo Gallagher – ha costretto alla fuga 100 mila cristiani nella sola diocesi di Maiduguri, nella quale sono state distrutte 350 chiese”.
E poi, la Siria, dove “oltre agli orrori della guerra, che ha già causato oltre 260 mila morti, non si contano i casi di ostilità”. La Libia, dove “la situazione dei cristiani è estremamente drammatica, infatti, a partire dal 2013, la maggior parte dei cristiani sono stati costretti ad abbandonare il Paese, a causa del peggioramento delle condizioni di sicurezza dovuto all’estremismo religioso che li minaccia di morte”.
Si tratta di una “emorragia di cristiani senza precedenti”, causata spesso da “estremismi e fondamentalismi di diversa provenienza”, i quali “sono spesso all’origine delle ostilità contro i cristiani e contro i fedeli di minoranze religiosa”.
La persecuzione non è solo portata avanti con le armi, ma anche nelle leggi. L’arcivescovo Gallagher ricorda “la promulgazione in qualche Paese di leggi sulla blasfemia”, un “facile pretesto per quanti intendono perseguire coloro che professano un credo religioso diverso da quello maggioritario”; il peggiore trattamento dei detenuti religiosi rispetto ad altri che avviene in alcuni Paesi; le limitazioni alla libertà religiosa da parte di “regimi autoritari e totalitari”.
Un conflitto costante, alimentato anche “dalla piaga del traffico illecito di armamenti, come pure la produzione e la vendita di armi da parte di soggetti di diritto internazionale”, e poi la difficile situazione del Medio Oriente.
Vero – sottolinea il “ministro degli Esteri” vaticano – “non sono solo i cristiani a dover subire discriminazioni”, ma “bisogna anche ammettere che oggi i cristiani sono il gruppo religioso che soffre maggiormente e presenta il numero più elevato di vittime”.
È un quadro – quello degli attacchi alle minoranze interreligiose – che dovrebbe “interpellare la coscienza della comunità internazionale e scuotere dal torpore tutti coloro che sono preposti a vegliare sul rispetto dei diritti fondamentali, tra i quali la libertà religiosa e il diritto alla vita”. Ma – è la denuncia che resta sottotraccia – questo non avviene. L’arcivescovo Gallagher ricorda gli appelli di Papa Francesco alla comunità internazionale e denuncia quello che “sembra un paradosso”, ovvero il fatto che “i media e la comunità internazionale si siano accorti delle atrocità perpetrate contro i cristiani soprattutto dopo che alcune immagini scioccanti sono state fatte circolare in rete dagli stessi terroristi”, come “il martirio dei 21 cristiani copti in Libia, consumatosi un anno fa, e l’uccisione dei 142 studenti cristiani nel campus cristiano di Garissa, in Kenya”.
La Santa Sede, però, si pone come pungolo della comunità internazionale, ricerca “il bene della persona e dei popoli”, promuove “il dialogo con tutti gli interlocutori disponibili”, e chiede l’applicazione del principio “della responsabilità di proteggere, la cui promozione è sempre stata uno dei principi cardine dell’attività internazionale della Santa Sede e ha fatto sempre parte del suo messaggio alla comunità delle Nazioni.
Il segretario per i Rapporti con gli Stati vaticano chiede che i cristiani “abbiano assicurate tutte le condizioni per permanere nelle loro terre di origine o farvi ritorno”, come “cittadini di pari dignità”. Sottolinea l’importanza della libertà religiosa, “che va promossa e non limitata”, considerando che “la religione è parte dell’identità di un Paese”, e che lo Stato “deve preoccuparsi di mantenere e rispettare questa identità, evitando che essa venga strumentalizzata per fini politici”.
Come estirpare radicalismi e fondamentalismi? Intervenendo alle radici, combattendo l’ignoranza religiosa, portando avanti il dialogo interreligioso, cosa cui è preposto il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, che l’arcivescovo Gallagher non manca di citare.
La Chiesa, dal canto suo, ci mette la sua rete diplomatica, ma anche le opere e attività. È questo il “martirio” dei cristiani, di cui ci hanno “dato una testimonianza tangibile e drammatica usque ad sanguinis effusionem le quattro missionarie della Carità uccise nello Yemen.
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