Aden, 07 March, 2016 / 4:00 PM
Unione di preghiera, prima di tutto, perché “nulla è impossibile a Dio. Ma anche appresione per la sorte di Padre Thomas Uzhunnalil, il salesiano scomparso da qualche giorno. E, ovviamente, la volontà di rimanere nello Yemen, distrutto da un conflitto civile dimenticato (per quanto sanguinoso) in cui i Salesiani sono l’ultima presenza organizzata della zona. Lo racconta ad ACI Stampa padre Francesco Cereda, vicario del rettor maggiore dei salesiani, che è colui che sta seguendo più di tutti la vicenda.
Padre Tom – come lo chiamano i salesiani – era nella casa delle Suore di Madre Teresa ad Aden nello Yemen. La casa è stata attaccata lo scorso 5 marzo, e sono state massacrate 4 suore e 12 anziani – Papa Francesco non ha mancato di definirli martiri – di lui non ci sono più notizie. La casa ispettoriale di Bangalore, India – da cui dipende la presenza salesiana nello Yemen – si sta muovendo in tutte le direzioni per comprendere se padre Tom è ancora in vita. E in molti si sono attivati: la nunziatura apostolica, il governo dell’Arabia Saudita, l’ambasciata indiana, il Cardinal Cleemis Tottunkal che è presidente delle Conferenze Episcopali di Asia, il Cardinal Alencherry.
Nessuno è indifferente ai salesiani. Perché, ormai da sempre, i salesiani sono una presenza sicura nello Yemen. Fu Papa Leone XIII a stabilire la missione dello Yemen nel 1885. Era una parte del vicariato apostolico di Aden, il porto antico nel Sud della nazione. Dal 28 giugno 1889, il vicariato è diventato “Vicariato apostolico di Arabia” ed ha una giurisdizione su tutte le nazioni della penisola araba: Bahrain, Oman, Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Yemen. E la missione dello Yemen è gestita dai Salesiani sin dal 1997, e agiscono in un territorio completamente islamico (il 60 per cento sunniti, il restante 40 per cento sciiti).
Spiega Padre Cereda: “I salesiani erano presenti per rispondere ai bisogni spirituali e sacramentali del gran numero di migranti cattolici che arrivano nella regione dall’India, dalle Filippine e da vari altri posti. Lavorano perlopiù in ospizi e ospedali. E a Sana’a, la capitale, i salesiani prestavano anche servizio ai cattolici nei corpi diplomatici”.
Si tratta dell’unica presenza cattolica nella regione, e rappresenta “un grande supporto alle Missionarie della Carità, che si prendono cura di malati, anziani e bambini in stato di bisogno, specialmente nelle città di Sana’a, Aden, Hodeida e Taiz”.
Una situazione difficile, spiega Padre Cereda. “Non c’è modo di entrare in dialogo con l’Islam, e la situazione sul terreno non è mai semplice. Per questo, i Salesiani hanno limitato i loro servizi prima di tutto alle istituzioni guidate dalla suore o alla popolazione cattolica migrante, e hanno cercato di aiutare ogni volta che fosse possibile la popolazione locale”. Ma – aggiunge – “si deve notare che c’è meno di un pugno di yemeniti che sono cattolici. Gli altri sono praticamente tutti andati via”.
I salesiani sono rimasti nello Yemen, nonostante la situazione peggiorasse di giorno in giorno. La guerra civile nello Yemn è cominciata nel 2015, quando due fazioni contrapposte hanno rivendicato il loro diritto a formare un governo: le forze Houthi controllano la capitale Sana’a, mentre l’Aden è leale al governo di Abd Babbuh Mansur Hadi. In questa situazione di confusione, sia il Dash che l’organizzazione di Al Qaeda nella penisola araba hanno sferrato attacchi. L’80 per cento della popolazione è scappata, le città sono distrutte. È uno dei risvolti della cosiddetta primavera araba, che ha portato la popolazione a ribellarsi contro il presidente Ali Abdallah Saleh già nel 2011, facendo di una situazione già difficile un caos generalizzato. Ma i salesiani sono rimasti.
Spiega Padre Cereda: “I salesiani erano totalmente consapevoli che la situazione stava peggiorando giorno dopo giorno. Il governo dell’India ha chiesto ai suoi connazionali di lasciare la nazione dopo aver chiuso l’ambasciata nello Yemen già nel 2014. E la provincia salesiana di Bangalore (che controlla la missione in Yemen) ha discusso della situazione con l’arcivescovo Paul Hinder, nunzio apostolico nella Penisola Arabica, già nel gennaio 2015”.
Si è però deciso di rimanere perché “si è ritenuto che portare la missione fuori depriverebbe il territorio dell’unica presenza cattolica organizzata nella nazione”, ma si è comunque “lasciata libera scelta ai confratelli se rimanere a meno”, dato che nessuno può essere “costretto a rimanere”. Dei tre confratelli, “tre son tornati in India, mentre gli altri due sono rimasti sperando di poter essere di un qualche aiuto, specialmente alle Missionarie della Carità che hanno deciso ugualmente di restare”. E questi due salesiani, muovendosi da una comunità all’altra, rischiavano sempre la vita.
Perché la guerra civile peggiora, e c’è bisogno – afferma padre Cereda – di “un governo centrale dello Yemen che possa stabilire legge e ordine in una terra che da tempo soffre per via di faide tribali, ribellioni politiche, conflitti religiosi e persino un coinvolgimento di forze straniere”.
Intanto, non si hanno notizie di padre Tom. “E’ difficile comprendere perché lo abbiano preso prigioniero”, afferma padre Cereda. Che sottolinea come “il ministro degli affari Esteri di Nuova Delhi ha confermato che insieme a padre Tom, anche una delle sorelle indiane che facevano parte della comunità di Aden è stata portata via. E questo può essere considerato una sorta di filo rosso in una situazione particolarmente truce. Se li avessero voluti uccidere, lo avrebbero potuto fare con gli altri 16!”
E per questo, i salesiani “confidano ci siano speranze di liberare il confratello”, tengono aperti “tutti i canali possibili per la trattativa”, e hanno lanciato “un movimento di preghiera nelle Ispettorie Salesiane, nella Congregazione e nella Famiglia Salesiana.
Sebbene anche a livello istituzionale in molti siano coinvolti, padre Cereda predica realismo: “In una società altamente fratturata come quello dello Yemen, le negoziazioni possono essere difficili, e non possiamo prevedere quanto presto emergeranno novità”.
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