Taipei, 25 May, 2024 / 4:00 PM
Il 20 maggio, il neo-eletto presidente di Taiwan Lai Ching-te ha cominciato il suo mandato presidenziale. La Santa Sede, l’unica nazione europea ad intrattenere relazioni diplomatiche con Taiwan (tutte le altre hanno relazioni con la Cina) è stata rappresentata ad alto livello da un inviato speciale di Papa Francesco, nella persona dell’arcivescovo Charles Brown, nunzio nelle Filippine.
Il 21 maggio si è tenuto un convegno alla Pontificia Università Urbaniana per celebrare il 100esimo anniversario del Concilio Cinese, e nell’occasione c’è stato un lungo indirizzo del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano. Il Cardinale ha anche auspicato l’apertura di un ufficio della Santa Sede a Pechino. Il giorno dopo, il portavoce del ministro degli Esteri della Repubblica Popolare di Cina non ha risposto negativamente ad una domanda sulla questione.
Sono segnali importanti, alla vigilia di una settimana di un certo peso, perché per la prima volta ci dovrebbe essere a Roma un incontro sino-vaticano sull’accordo tra Santa Sede e Cina per la nomina dei vescovi. Finora, era stata la delegazione vaticana – con sottosegretario della Segreteria di Stato e di Propaganda Fide – a visitare la Cina, cosa che comunque sembra essere già prevista per il prossimo ottobre.
FOCUS TAIWAN
La Santa Sede all’installazione del nuovo presidente di Taiwan
Papa Francesco ha nominato l’arcivescovo Charles Brown, nunzio nelle Filippine, come suo inviato speciale all’installazione del presidente di Taiwan Lai Ching-te. La cerimonia di inaugurazione è avvenuta lo scorso 20 maggio.
La Santa Sede è l’unica nazione europea che ha relazioni diplomatiche con Taiwan, ed è dunque per Taipei un partner essenziale. Da quando Taiwan non è stato più riconosciuto alle Nazioni Unite, la Santa Sede ha mantenuto una nunziatura nel Paese (chiamata “la nunziatura di Cina”), ma questa è sempre stata guidata da un incaricato di affari e non da un nunzio.
La scelta dell’arcivescovo Brown era comunque una scelta naturale. La nunziatura nelle Filippine è la nunziatura sotto cui è collegata la Missione di Studio della Santa Sede nella Cina Continentale, che si trova ad Hong Kong.
L’arcivescovo Brown è stato a Taiwan dal 19 al 21 maggio, e ha portato al presidente Lai le congratulazioni di Papa Francesco e la preghiera di prosperità e successo per tutte le persone di Taiwan.
Il 19 maggio, l’arcivescovo Brown è stato al banchetto di Stato della presidente uscente Tsai Ing-wen il 19 maggio. Monsignor Stefano Mazzotti, lo chargée d’affari della nunziatura a Taiwan, ha accompagnato l’arcivescovo Brown all’inaugurazione, ad alcuni eventi e anche in una udienza con il presidente Lai.
Il ministero degli Esteri di Taiwan ha voluto rimarcare che “Taiwan e la Santa Sede hanno una amicizia solida e profonda basata sui valori universali condivisi di libertà, pace e diritti umani”, e che la relazione tra Taiwan e Santa Sede e “ricca e piena di sfaccettature”, affermando l’impegno di Taiwan di proseguire la collaborazione con la Santa Sede allo scopo di “promuovere il benessere umano globale e la dignità”.
Nel suo discorso di installazione, il presidente Lai ha dichiarato che “la gloriosa era della democrazia di Taiwan è arrivata”, e ha descritto l’isola come “un collegamento importante” in “una catena globale di democrazie”.
La popolazione cristiana a Taiwan rappresenta circa il 4 per cento della popolazione, mentre i membri cattolici sono circa 300 mila, distribuiti su una arcidiocesi e sei diocesi. Taiwan non ha status sovrano alle Nazioni Unite, ma tuttavia intrattiene relazioni diplomatiche con 14 nazioni e relazioni commerciali con circa 47 Stati.
FOCUS CINA
Cina, l’apertura del ministero degli Esteri cinese
Il 21 maggio si è tenuto presso la Pontificia Università Urbaniana una conferenza sul centesimo anniversario del Concilium Sinense, che nel 1924 per la prima volta radunò i vescovi cinesi e diede avvio al processo che portò alla prima ordinazione di vescovi cinesi.
Alla conferenza era presente il vescovo di Shanghai Giuseppe Shen Bin, lo scorso anno nominato unilateralmente dal governo di Pechino e la cui nomina è stata successivamente sanata dal Papa, che in un intervento ha anche difeso la costituzione dell’Associazione Patriottica Cinese, sostenendo che questa non era in contrasto con l’adesione alla fede cattolica, ma era piuttosto un modo di superare o contrastare la mentalità colonialista dei missionari.
Nel suo discorso, il Cardinale Parolin ha da una parte difeso l’approccio della Santa Sede nel dialogare con il governo cinese, dall’altra notato che nessuna potenza straniera può avere influenza sulla Chiesa – l’esempio era quello dei protettorati delle missioni, di cui ci si liberò a seguito dalla Lettera Apostolica Maximum Illud di Benedetto XV, ma poteva benissimo applicarsi anche al governo cinese di oggi.
È noto che da tempo la Santa Sede vorrebbe una “sistemazione” dell’accordo, perlomeno per renderlo più chiaro in alcune procedure, e per rendere chiaro che è il Papa che sceglie i vescovi. A tal proposito, è interessante notare che la prossima settimana si dovrebbe tenere in Vaticano un incontro di aggiornamento sull’accordo sino-vaticano per la nomina dei vescovi. Finora, gli incontri si sono tenuti, a livello massimo di viceministro degli Esteri, in Cina. L’incontro della prossima settimana non eliminerebbe, comunque, il tradizionale incontro di ottobre.
L’apertura del Cardinale Parolin allo stabilimento di un ufficio della Santa Sede in Cina, tra l’altro lanciata con forza proprio quando si creò il “caso Shen Bin”, è stata ben accolta dalla Cina. Wang Wenbin, portavoce del ministro degli Esteri cinese, ha affermato da parte sua nella conferenza stampa del 22 maggio che la Cina “ha intenzione di lavorare insieme al Vaticano per promuovere il continuo miglioramento delle relazioni Vaticano – Cina”.
Le due parti, ha aggiunto Weng Wenbin, hanno mantenuto “profonda comunicazione sulle relazioni bilaterali e i temi caldi internazionali.
Il ministero degli Esteri taiwanese, appena insediato, ha fatto sapere di guardare con grande attenzione al riavvicinamento tra Cina e Vaticano, e ha sottolineato che Pechino ha continuato a violare i termini dell’accordo del 2018.
“Comprendiamo – ha detto il ministero degli Esteri di Taipei – che la Santa Sede spera di promuovere la libertà di credo e i diritti dei cattolici cinesi e ha pubblicamente espresso il suo desiderio di inviare dei rappresentanti in Cina in molte occasioni”. Inoltre, il ministero ha accusato Pechino di reprimere la libertà religiosa e ha chiesto a tutte le nazioni di spingere la Cina a “fermare le violazioni della libertà religiosa e dei diritti umani fondamentali”.
Taiwan presente all’incontro della Pontificia Accademia delle Scienze sul Clima
(La storia continua sotto)
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Era sicuramente significativa la presenza di due personalità politiche di alto livello di Taiwan al vertice di tre giorni sul tema “Dalla crisi climatica alla resilienza climatica” organizzato dalle Pontificie Accademie delle Scienze e delle Scienze Sociali dal 15 al 17 maggio 2024.
Significativo perché attraverso questi incontri si sono stabiliti vari contatti: è stato, ad esempio, attraverso un convegno sul traffico di organi della stessa Accademia nel 2018 che la Cina ha sviluppato e approfondito alcuni contatti in Vaticano.
All’evento hanno preso parte esperti, ricercatori, policy makers, sindaci, governatori e leader di governo provenienti da tutto il mondo. Taiwan è stato rappresentato dal Dottor Wen-Chen Shish, Viceministro del Ministero dell’Ambiente, e il Prof. Chien-Te Fan, Direttore fondatore dell’Institute of Law for Science and Technology (ILST) della National Tsing Hua University.
Il Dottor Shish ha relazionato sul tema “Percorso verso emissioni nette zero”, mentre l’intervento del Prof. Fan verteva su “Energia contro sicurezza alimentare”.
FOCUS IRAN
Iran – Santa Sede, a che punto sono le relazioni diplomatiche
Papa Francesco ha inviato un telegramma, come si fa sempre per la morte dei capi di Stato, e di certo non era per prendere una posizione in favore o contro il presidente iraniano al Raisi, morto insieme al suo ministro degli Esteri Abdollahian in uno schianto con l’elicottero lo scorso 19 dicembre. Di certo, però, la Santa Sede ha perso due interlocutori di un certo peso, nonostante tutto.
La Santa Sede ha sempre. mantenuto relazioni diplomatiche con l’Iran, anche di fronte ad alcune situazioni problematiche, come la negazione nel 2021 di un permesso di residenza per una suora, Giuseppina Berti, che era stata missionaria ad Isfahan per quasi 30 anni.
Tuttavia, incredibilmente, il conflitto in Terrasanta ha portato l’Iran a guardare la Santa Sede come un possibile partner, e la Santa Sede ha guardato all’Iran come un potenziale attore capace di evitare l’escalation in guerra regionale dell’attacco di Hamas contro Israele.
Il 30 ottobre 2023, infatti l'arcivescovo Paul Richard Gallagher, il “ministro degli Esteri” vaticano, ha avuto un colloquio telefonico con il suo omologo di Teheran, Hossein Amir-Abdollahian.
È stata Teheran stessa a richiedere la telefonata il 30 ottobre. Non è ancora da capire se si sia trattato di una mossa per manifestare una volontà di mediazione o della necessità di iniziare a costruire una rete di sostegno in caso di allargamento del conflitto.
La Santa Sede – che intrattiene piene relazioni diplomatiche con l’Iran dal 1966 – conosce il rischio. Ed è probabilmente per questo che il Vaticano ha fatto sapere, attraverso una nota della Sala Stampa della Santa Sede, che “nel colloquio monsignor Gallagher ha espresso la seria preoccupazione della Santa Sede per quanto sta accadendo in Israele e Palestina, ribadendo l'assoluta necessità di evitare un allargamento del conflitto e per raggiungere una soluzione basata sulla coesistenza di due Stati per una pace stabile e duratura in Medio Oriente”.
Parlare della soluzione dei due Stati in una comunicazione ufficiale è stato un modo per inviare un messaggio chiaro all’Iran. Al di là della preoccupazione per quanto sta accadendo a Gaza e anche per una possibile escalation, la Santa Sede ha sottolineato il suo inequivocabile sostegno al diritto di Israele ad esistere. Il Vaticano stava chiarendo all’Iran che non c’erano dubbi o margini di manovra su questo.
Santa Sede e Iran hanno rapporti bilaterali dal regno di Shah Abbas il Grande. Dal 2 maggio 1953, sotto il pontificato di Pio XII, Iran e Santa Sede hanno relazioni diplomatiche formali, che sono state maenute durante la rivoluzione iraniana 1978- 1979.
La Chiesa cattolica in Iran ha due arcidiocesi assiro-caldee di Tehran-Ahwaz e Urmia-Salmas, con un vescovo e quattro sacerdoti (nell’estate del 2019 anche l’amministratore patriarcale di Teheran dei Caldei, Ramzi Garmou, si è visto negare il rinnovo del visto e non ha più potuto ritornare nel Paese); una diocesi armena nella quale vi è soltanto il vescovo e l’arcidiocesi latina che al momento non ha alcun sacerdote e aspetta l’arrivo del suo nuovo pastore recentemente nominato, monsignor Dominique Mathieu.
Per quanto riguarda la presenza religiosa, nel Paese operano le Figlie della Carità, con tre suore a Teheran e le due suore a Ispahan. Ci sono inoltre due laiche consacrate. I fedeli sono complessivamente circa 3.000.
L’Iran è considerato un partner essenziale nello scacchiere mediorientale. L’opinione diffusa tra diplomatici vaticani è che la chiusura dei ponti con Teheran creerebbe problemi più significativi. Le relazioni diplomatiche sono caratterizzate da alti e bassi e punti di vista comuni, come ci si potrebbe aspettare tra due stati governati da leader religiosi.
Quando Gallagher e Amirabdollahian si incontrarono lo scorso 25 settembre, Teheran aveva fatto sapere che lo scopo dell'incontro era quello di parlare di un'alleanza delle religioni contro la profanazione dei libri sacri.
Allo stesso tempo, la dichiarazione del ministro degli Esteri di Teheran, forse sorprendentemente, ha anche chiesto un’attenzione globale al terrorismo di stato. Si affermava che alcune nazioni utilizzano “le sanzioni come strumento politico contro altre nazioni”. La dichiarazione evidenzia come questa perpetuazione delle sanzioni “abbia avuto non solo conseguenze disumane ma anche complicate questioni regionali”.
Letta con il senno di poi, la dichiarazione era un avvertimento che qualcosa sarebbe potuta accadere nei territori colpiti dalle sanzioni. Gallagher aveva fatto sapere di apprezzare il ripristino delle relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita. Avrebbe sottolineato l'importanza del dialogo perché “contribuisce alla risoluzione dei problemi e delle questioni globali”.
È stato un dialogo in cui entrambe le parti hanno evidenziato, indirettamente o direttamente, questioni difficili per l'altra parte.
La diplomazia della Santa Sede si è concentrata sullo sviluppo di relazioni amichevoli tra gli Stati del Golfo. La Santa Sede vide favorevolmente gli Accordi di Abramo, così come il più ampio disgelo delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele. Ha costantemente spinto per una soluzione negoziata alla questione nucleare iraniana.
Nonostante le apparenti differenze e difficoltà, i rapporti tra la Santa Sede e l’Iran sono di lunga data.
Sotto Benedetto XVI vi è stato un fiorire di nuovi rapporti migliorati. Nel 2006, l'allora presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad in una lettera a Benedetto XVI espresse il desiderio che “si stabilissero nuove relazioni umane e politiche” tra la Santa Sede e l'Iran, basate sugli insegnamenti comuni “dei due profeti”.
Nel 2010 il cardinale Jean Louis Tauran ha fatto da intermediario in un viaggio in Iran che ha portato ad un ulteriore scambio di lettere. E ancora si invocava un'alleanza comune contro il secolarismo, alla quale Benedetto XVI ha risposto parlando ancora una volta della centralità della vita umana.
Nel febbraio 2015, Shahindokht Molaverdi, vicepresidente della Repubblica islamica dell'Iran, ha visitato il Vaticano e ha potuto incontrare Papa Francesco. Era anche al Pontificio Consiglio per la Famiglia, che subito dopo annunciò la presenza di una delegazione iraniana all'Incontro mondiale delle famiglie di Filadelfia quello stesso anno.
La Santa Sede è sempre stata promotrice di un accordo sul nucleare con l'Iran. In quanto membro fondatore dell'AIEA (Agenzia internazionale per l'energia atomica), la Santa Sede mira a sviluppare la tecnologia nucleare per usi pacifici e a vietare anche la semplice possibilità di costruire armi nucleari.
Quando, nel 2018, l’amministrazione statunitense Trump decise di abbandonare “l’accordo sul nucleare” con l’Iran, la Santa Sede si preoccupò, pensando alla possibile instabilità causata nella regione da un Iran sempre più isolato.
Anche le relazioni con l’Iran sono importanti perché l’Iran è una porta d’accesso all’Islam sciita. Papa Francesco negli anni ha trovato terreno fertile nell’islam sunnita: ha riaperto i rapporti con l’Università egiziana di al Azhar. Ha incontrato più volte il suo Grande Imam Ahmed al Tayyeb, firmando nel 2019 la Dichiarazione sulla Fraternità Umana.
Il viaggio in Iraq del marzo 2021 ha rappresentato la prima occasione per entrare in contatto con l’Islam sciita, e l’incontro di Papa Francesco con il Grande Ayatollah al Sistani – nato in Iran ma residente in Iraq e tra le massime autorità sciite – è stato una mossa in questo senso.
FOCUS NUNZIATURE
È l’arcivescovo Antoine Camilleri il nuovo nunzio apostolico a Cuba. Prende il posto dell’arcivescovo Giampiero Gloder, nominato nel febbraio 2024 nunzio apostolico in Romania e Moldavia.
Monsignor Antoine Camilleri, che ha servito come “viceministro degli Esteri” vaticano dal 2013, era nunzio in Etiopia dal 2019. Dal 2004, il nunzio d'Etiopia assume anche la carica di delegato apostolico della Somalia e di rappresentante speciale della Santa Sede presso l'Unione Africana.
Nei suoi anni in Segreteria di Stato, monsignor Camilleri ha lavorato sul fronte Cina, e ha firmato per la Santa Sede l’accordo provvisorio per la nomina dei vescovi ha portato avanti i colloqui con il Vietnam, nazione che presto avrà un rappresentante della Santa Sede residente e che dovrebbe vedere presto un viaggio del Segretario di Stato, il Cardinale Pietro Parolin.
FOCUS EUROPA
La COMECE sulla conversione di San Salvatore in Chora in moschea
Quattro anni dopo la conversione della Basilica di Santa Sofia in moschea, la chiesa di San Salvatore in Chora a Istanbul segue lo stesso percorso. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan aveva già formalmente aperto la chiesa cristiano-ortodossa bizantina al culto islamico all'inizio di maggio 2024.
La chiesa di San Salvatore in Cora risale al IV secolo, ed è noto per i suoi affreschi e mosaici. Anche questa chiesa fu convertita in moschea nel 1511, e dal 1948 il governo turco la aveva trasformata in un museo.
La decisione di rendere moschea San Salvatore in Laurea è stata stigmatizzata dalla Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (COMECE). In una nota del 23 maggio, la COMECE ha sottolineato che “questo passo diluisce ulteriormente le radici storiche della presenza cristiana nel Paese. Qualsiasi iniziativa di dialogo interreligioso promossa dalle autorità turche perde credibilità”.
Quattro anni dopo la conversione della Basilica di Santa Sofia in moschea, la simbolica Chiesa di San Salvatore in Chora a Istanbul sta dunque seguendo la stessa strada.
“Si tratta di un ulteriore passo avanti nel diluire le radici storiche della presenza cristiana nel Paese, ed è una decisione deplorevole che renderà più difficile la convivenza religiosa. Con questa azione, qualsiasi iniziativa riguardante il dialogo interreligioso promossa dalle autorità del Paese perderà inevitabilmente di credibilità” , afferma p. Manuel Barrios Prieto, segretario generale della COMECE.
Nel luglio 2020, la COMECE ha commentato il cambiamento di status del monumento di Santa Sofia, patrimonio dell’umanità, da museo a tempio musulmano, considerandolo “un duro colpo per il dialogo interreligioso”. In quell'occasione la Comece ha sottolineato anche il “serio problema” della Turchia, costituito dai discorsi di odio e dalle minacce contro le minoranze nazionali, etniche e religiose.
L’UNESCO aveva inviato a dicembre 2020 un inviato per valutare lo stato sia di Hagia Sophia, sia di San Salvatore in Chora, entrambi patrimonio UNESCO.
FOCUS MULTILATERALE
Rinforzare la cooperazione tra Organizzazioni Internazionali e società civile
Il 22 maggio si è tenuto un convegno su “Alleanza tra Organizzazioni internazionali e società civile: una cooperazione da rinforzare”. Il convegno, co-organizzato dalla Missione Permanente della Santa Sede presso la FAO e le altre organizzazioni alimentari delle Nazioni Unite, aveva lo scopo di definire un modello di cooperazione tra le organizzazioni internazionali e la società civile. Va anche notato che da tempo c’è un forum di ONG Cattoliche, che cerca un rilancio e una presenza.
Nel suo discorso conclusivo, monsignor Fernando Chica Arellano, Osservatore Permanente della Santa Sede presso la FAO, l’IFAD e il WFP, ha notato che “stiamo vivendo un frangente storico che per molti versi è caratterizzato dal frastuono, dall’autoreferenzialità e dallo smarrimento”, dove “il disorientamento e il disinteresse reciproco sembrano provocati dal proliferare di ideologie che mettono a repentaglio la sicurezza di tutti e dalle numerose dinamiche di conflitto e contrapposizione che dominano le relazioni internazionali e che rendono sempre più difficile il dialogo non solo tra gli Stati all’interno della comunità internazionale, ma anche a livello degli Organismi multilaterali ed associativi”.
Così, aggiunge Monsignor Chica, “molte realtà appaiono ripiegate su sé stesse, senza l’entusiasmo delle origini e la volontà di incidere in concreto, mettendo a fattore comune la capacità di tutti gli stakeholders”.
L’osservatore della Santa Sede ha quindi delineato la situazione in tre parole. La prima è insieme, che “richiama la cooperazione, allude all’importanza del multilateralismo, rimanda alla necessità di attuare sempre il principio di sussidiarietà e di consentire la partecipazione convinta di tutti”.
Quindi, la parola alleanza, perché “abbiamo detto che le Istituzioni internazionali e la società civile dovrebbero lavorare di più fianco a fianco, ma per esprimere questo concetto, abbiamo accostato due nozioni importanti: ‘cooperazione’ ed ‘alleanza’.”
Infine, la parola Fraternità, che permette a persone di diversa estrazione di partecipare al bene comune secondo le loro capacità. Monsignor Chica nota che Papa Francesco preferisce il riferimento all’amicizia sociale (è il tema centrale dell’enciclica Fratelli Tutti), ma – aggiunge – è certo che “solamente se le relazioni interpersonali saranno animate dalla fraternità, potremo sperare in relazioni internazionali animate dall’amicizia sociale”.
Il filo rosso di queste tre parole chiave è, conclude l’osservatore della Santa Sede alla FAO, la carità, e sarà tutto valido finché questa “non verrà messa da parte, ma rimarrà al centro delle nostre esistenze”.
Tra gli interventi, quello dell’economista Stefano Zamagni, presidente emerito della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, che ha sottolineato la necessità di andare verso una “governance globale orizzontale”, rilanciando l’idea, contenuta in nuce già nell’enciclica Caritas In Veritate di Benedetto XVI, che “nell’agenda della prossima Assemblea straordinaria delle Nazioni Unite sia inserita la creazione di una analoga assemblea che rappresenta ai popoli”.
Francesco Bonini, rettore della Lumsa, ha invece sottolineato che si vive “un inverno democratico”, in cui la democrazia è stretta all’esterno dalla possibilità della guerra senza fine, e stretta all’interno dall’erosione delle stesse democrazie, favorito da fenomeni come la democrazia woke che vuole “basata su un'idea di purificazione, vuole dare la parola a minoranze svantaggiate, ma escludendo l'idea della dialettica democratica, falsifica alla radice il processo democratico”.
Per Bonini è necessaria una nuova governance in cui è cruciale il ruolo dei cattolici, e chiede di combinare strumenti nuovi e antichi, dai partiti ai movimenti popolari, perché “noi ci troviamo di fronte a forme di rappresentanza che non reggono più, vedi l'astensionismo diffuso alle chiamate elettorali: bisogna dunque innestare meccanismi che traducano quella sinodalità che il Pontefice sta cercando di promuovere a livello ecclesiale".
Augusto Reggiani, della Fondazione ABCD Ong e con una lunga esperienza nelle Comunità di Vita Cristiana, ha elencato i contributi della società civile alle organizzazioni internazionali, mentre Mario Arvelo Caamano, ambasciatore della Repubblica Dominicana presso il Polo Romano dell'Onu, presidente del Comitato di Agricoltura famigliare dell'Onu, ha sottolineato la sempre maggiore consapevolezza della necessità dell’inclusione, che “significa che i gverni devono riconoscere che non possono fare tutto da soli”.
Fatouma Seid, vice direttore della Divisione Partenariati e Collaborazione con le Nazioni Unite, FAO, ha messo in luce la necessità di andare oltre la tradizionale collaborazione con la società civile, perché c’è bisogno di “perseguire risultati anche a lungo termine; abbiamo 700 milioni di persone che patiscono la sicurezza alimentare. Ancora non siamo sulla giusta strada per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile, ma faremo la nostra parte".
Federica Cerulli, Chief Partnership and Resource Mobilization Officer, IFAD, ha notato che l’organizzazione che rappresenta “non può contare solo sull’assistenza pubblica” panche perché “l’80 per cento della popolazione è povera e non ha accesso al cibo” e la maggior parte sono “piccoli agricoltori e produttori del 50 per cento delle calorie del fabbisogno mondiale”, mentre l’agricoltura ha un gap finanziario di 35 miliardi di dollari l’anno.
Jihan Jacobucci, Head of the Key Accounts Unit, del Programma Alimentare Mondiale, ha notato che il PAM assiste tra i 130 e i 140 milioni di persone, e l’anno scorso ha collaborato con 900 Ong in 70 Paesi e l’80 per cento queste erano locale. Attraverso le Ong, nel solo 2023 il Pam ha canalizzato 3 miliardi e mezzo di dollari, ovvero il 30 per cento delle risorse a disposizione. A Gaza, ha aggiunto, grazie alla cooperativa con le Ong, il PAM è riuscito a consegnare 7 milioni di pasti caldi a 1,5 milioni di persone soltanto nel mese di aprile.
La Santa Sede a New York, la questione dell’invecchiamento
Il 20 maggi, si è tenuta alle Nazioni Unite di New York la 14esima sessione del Gruppo di Lavoro aperto sull’invecchiamento.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha affermato che i modi in cui le città e i villaggi rurali sono costruiti può facilitare o impedire alle persone più anziane di partecipare alla vita della comunità, e ha sottolineato che importante che ci sia un sistema di alloggi accessibile per costi e strutture alle persone più anziane.
Il nunzio ha aggiunto che le giovani generazioni non dovrebbero essere isolate ma incoraggiate a rimanere vicine alle generazioni più anziane, magari proprio con progetti urbani intergenerazionali.
Secondo l’arcivescovo Caccia, la partecipazione nella vita pubblica e nei processi decisionali non si può limitare ai diritti politici e civili degli individui e si dovrebbe estendere alla formazione di vincoli viventi di appartenenza condivisi. In particolare, la Santa Sede è particolarmente preoccupata che le persone insieme si “percepiscano come aventi meno impatto nel futuro”, e ha enfatizzato che quando la società offre il suicidio invece dell’accompagnamento appassionato viene ignorata l’eguale dignità di tutte le persone ad ogni stadio della vita umana fino alla morte naturale”.
La Santa Sede a New York, l’anniversario della Risoluzione 1265
A 25 anni dalla Risoluzione ONU 1265 del 1999, che per la prima volta affrontò il tema della protezione dei civili durante i conflitti, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha tenuto un dibattito sul tema al Palazzo di Vetro.
Durante l’incontro, che si è tenuto lo scorso 22 maggio, l’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha sottolineato che negli ultimi anni è cresciuta la preoccupazione per i civili in zone di guerra, che portano il peso dell’impatto del conflitto e che – come dice Papa Francesco – non devono essere visti come danno collaterale.
Per questo, la Santa Sede chiede l’implementazione della Risoluzione 1265 per proteggere quanti affrontano rischi più alti durante il conflitto.
Tre sono i punti chiave della implementazione, secondo l’arcivescovo Caccia. Il primo: riconoscere che la guerra moderna non prende ormai solamente posto nel campo di battaglia e che vanno protetti i luoghi di culto nelle zone di conflitto.
Il secondo: che la cessazione della produzione, lo stoccaggio e l’uso di armi indiscriminati è una misura cruciale per proteggere civili nei conflitti armati.
Il terzo è di esprimere grande preoccupazione riguardo il blocco di aiuto umanitario nelle zone di conflitto e di accresciuti attacchi contro il personale umanitario.
La Santa Sede a Ginevra, la conclusione della Conferenza WIPO
La conferenza diplomatica della Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale (WIPO, secondo l’acronimo inglese) ha adottato lo scorso 24 maggio il Trattato WIPO sulla Proprietà Intellettuale, le Risorse Genetiche e la conoscenza tradizionale associata.
La Santa Sede era intervenuta già durante il dibattito per difendere la proprietà intellettuale dei popoli indigeni e chiedere meccanismi che non fossero solo automatici, ma che avessero al centro la persona umana, ed è intervenuta anche nelle dichiarazioni conclusive.
L’arcivescovo Ettore Balestrero, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Organizzazioni Internazionali con sede a Ginevra ha “sinceramente accolto l’adozione di questo trattato che stabilisce un meccanismo internazionale”, marcando “un significativo passo avanti nel nostro impegno collettivo per la salvaguardia di inestimabili risorse genetiche e conoscenza tradizionale associata”.
La delegazione della Santa Sede ha in particolare apprezzato “l’approccio costruttivo preso da tutte le parti coinvolte nel processo di negoziazione”, che “riflette un profondo impegno a sviluppare una cooperazione multilaterale, ottenendo compromessi e sviluppando un sistema di proprietà intellettuale che guarda al futuro e di cui possano beneficiare tutti”.
Inoltre, è stata apprezzata la partecipazione dei popoli indigeni e delle comunità locali al processo, così come “l’incorporazione di un linguaggio che sia sensibile allo specifico contesto giuridico e culturale in cui vivono”.
Infine, la Santa Sede “riafferma l’importanza di escludere le risorse genetiche umane dallo spettro del Trattato, come definito nell’articolo 2 e concordato in tutti i lavori preparatori”. È una decisione che sottolinea “il riconoscimento che il rispetto per la dignità mana resta il principio più comune e fondamentale che mette insieme la nostra coesistenza, la santità della vita umana e il bene comune”.
Taiwan, una conferenza sul benessere dei pescatori
Il 14 maggio, si è tenuta a Tachung la Conferenza internazionale sul benessere dei pescatori di Taiwan 2024, che ha visto la partecipazione di 130 rappresentanti da 19 paesi al mondo.
Nel suo intervento introduttivo, il Premier taiwanese Chen Chien-jen ha dichiarato che i marittimi stranieri sono la chiave per lo sviluppo sostenibile dell’industria ittica taiwanese, aggiungendo che la promozione del Piano di Azione in materia di pesca e diritti umani dovrebbe rafforzare e tutelare i loro diritti.
Il Cardinale Stephen Brislin, arcivescovo di Città del Capo, ha lodato la determinazione e gli sforzi proficui del governo taiwanese nell’affrontare le diverse problematiche dei pescatori, mentre l’Incaricato d’Affari della Santa Sede nella nunziatura di Taipei, Monsignor, Stefano Mazzotti ha citato la dichiarazione di “Dignità infinita” redatta dal Dicastero per la Dottrina della Fede per sottolineare come il benessere dei pescatori inizi con il riconoscimento della dignità della persona. Il Vescovo di Taichung Su Yao-wen, nonché Direttore di Stella Maris, un’associazione cattolica che provvede ai bisogni spirituali e materiali dei marittimi e della gente del mare, ha manifestato il suo appoggio al benessere e ai diritti umani dei pescatori.
Taiwan nel 2017 aveva ospitato anche un congresso sul traffico di esseri umani nella pesca. Taiwan ha grandi interessi nella pesca, con “caccia” massiva di tonno e altro pesce in tutti gli oceani, e con un export di pescato del valore di circa 2 miliardi di dollari. Leggendo i dati FAO, si scopre che circa il 36 per cento delle flotte di pesca di tonno al mondo batte bandiera taiwanese.
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