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Un servizio di EWTN News

La Cina trasferisce un vescovo a Shanghai, ancora nessuna reazione della Santa Sede

Un primo piano del vescovo Giuseppe Shen Bin

Con una decisione unilaterale cinese, il vescovo Giuseppe Shen Bin di Haimen è stato trasferito alla diocesi di Shanghai, dove si è insediato lo scorso 4 aprlle. La Santa Sede non aveva ancora nominato un successore del vescovo di Shanghai Aloysius Jin Luxian, morto nel 2013 mentre il suo ausiliare Thaddeus Ma Daqin, è agli arresti domiciliari dal 2012. Per ora, non c’è stato alcun commento ufficiale da parte vaticana, mentre Matteo Bruni, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha fatto semplicemente sapere che “la Santa Sede era stata informata pochi giorni fa della decisione delle autorità cinesi” di trasferire il vescovo, e “ha appreso dai media dell’avvenuto insediamento”..

Il vescovo Shen Bin, 52 anni, di famiglia di tradizione cattolica, ha studiato filosofia nel Seminario di Sheshan a Shanghai e teologia al Seminario Nazionale di Pechino, ed è sacerdote dal 1996, e vescovo di Haimen dal 2010, con mandato pontificio e riconoscimento delle autorità politiche. Figura conosciuta a livello internazionale, Shen Bin ha partecipato a due meeting internazionali per la pace organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio a Münster e Osnabrück nel 2017 e a Bologna nel 2018, ed è stato uno dei tre vescovi incluso nella squadra di 11 rappresentanti cattolici che hanno preso parte al XIV Comitato nazionale della Conferenza consultiva politica del popolo cinese.

Nel 2017, era stato scelto dalla Santa Sede per andare a Shanghai a ordinare quattro nuovi sacerdoti, essendo la sede vacante dalla morte del vescovo Jin Luxian e con l’ausiliare Ma Daqin agli arresti.

Lo scorso settembre, Shen Bin era stato nominato presidente del Consiglio dei vescovi cinesi, organismo non riconosciuto dalla Santa Sede, in una nomina che aveva avuto luogo insieme a quella il vescovo di Pechino Giuseppe Li Shan come presidente dell’Associazione Patriottica. Quest’ultima nomina era stata un segno di distensione, perché si metteva a capo di un organismo governativo come l’Associazione Patriottica, un vescovo nominato nel 2007 con la doppia approvazione di Cina e Santa Sede. Ora, sembra comprendersi che la distensione non fosse così definita

Il vescovo Shen Bin si è insediato il 4 aprile nella diocesi di Shanghai, in una cerimonia – si legge sul sito Xinde.org - presieduta da padre Wu Jianlin, direttore del Comitato cattolico per gli affari”. Colpisce che a disporre il trasferimento della Conferenza dei Vescovi Cattolici Cinesi, dunque non la Santa Sede. Partecipava all’installazione anche il vescovo di Pechino Li Shan, che ha tenuto un breve discorso.

Quindi, è intervenuto Shen Bin, che ha affermato di voler portare avanti la “bella tradizione dell’amore alla Patria e alla Chiesa cattolica di Shanghai”, nell’adesione “ai principi di indipendenza e autogoverno”, ha ribadito di seguire la linea della sinicizzazione della Chiesa. Si ritrova come ausiliare Ma Daqin, agli arresti domiciliari da quando, il giorno dell’ordinazione nel 2012, aveva annunciato di voler abbandonare le cariche nell’Associazione Patriottica, cosa che aveva tra l’altro portato la Conferenza dei Vescovi cattolici cinesi a ritirare l’approvazione per l’episcopato e a sospenderlo.

L’agenzia del Dicastero per l’Evangelizzazione Fides, in un testo significativamente firmato dal direttore Gianni Valente, ricorda che l’accordo tra Cina e Santa Sede del 22 settembre 2018, e rinnovato due volte ad experimentum per due anni, è sempre stato definito “provvisorio”, e che “quando si avviano processi, si tiene sempre in conto che il cammino da percorrere potrà comportare momenti di stallo, difficoltà, o l'emergere di nuovi problemi. Previsioni di questo tipo erano state fatte da alti rappresentanti della Santa Sede già al tempo della firma dell’Accordo, che rimane un importante punto di arrivo e di ripartenza di un processo avviato da decenni”.

Di fatto, però, il trasferimento di Shen Bin è il secondo “sgarbo” che le autorità cinesi fanno nei confronti della Santa Sede dal secondo rinnovo dell’accordo. Come si ricorderà, lo scorso 26 novembre la Santa Sede aveva reagito con un comunicato ufficiale al fatto che il vescovo Peng Wizhao, vescovo di Yujiang, aveva accettato di essere installato come vescovo ausiliare di Li Suguang, che dal 2010 è il vescovo di Shaanxi riconosciuto da Pechino.

La diocesi di Shaanxi è però riconosciuta solo da Pechino, secondo una sua personale suddivisione che non rispecchia quella vaticana, considerando che la Santa Sede è unica autorità a poter erigere diocesi. Yujiang è infatti diocesi suffraganea dell’arcidiocesi di Nanchang con altre quattro diocesi. Pechino vuole che queste cinque province ecclesiastiche si uniscano nella sola diocesi di Shaanxi. Da qui il comunicato vaticano, in cui si sottolineava che l’installazione del vescovo Peng “non ha avuto luogo in accordo con lo spirito del dialogo esistente tra il Vaticano e le controparti cinese e su ciò che è stipulato nell’Accordo Provvisorio sulla nomina dei vescovi del 22 settembre 2018”.

Si aspetta, probabilmente, un comunicato dello stesso tenore, che va ponderato bene nei toni e nei modi. La Santa Sede, infatti, non vuole chiudere i ponti con la Cina, di cui riconosce anche il peso internazionale, e in cui potrebbe persino trovare una sponda per il processo di pace in Ucraina. Allo stesso tempo, è in discussione la stessa libertà della Chiesa, mentre da parte cinese l’accordo non viene rispettato nello spirito. Già dopo la prima firma, c’erano diverse pressioni ai sacerdoti affinché si iscrivessero all’Associazione Patriottica controllata dal governo.

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