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Un servizio di EWTN News

Quando i graffiti dei pellegrini sono segni di fede

Il Giubileo è alle porte e Roma sarà certamente meta di molti pellegrini. Del resto i giubilei sono nati anche per “gestire” il flusso dei tanti pellegrinaggi che in tutto in mondo antico si facevano soprattutto a Roma e in Terra Santa. Pellegrinaggi ai luoghi, ad limina, cioè verso i luoghi dove i santi e i martiri erano stati sepolti. Eppure la parola “pellegrino” che per noi oggi ha un significato chiaro, nei tempi antichi significava semplicemente “straniero”. E lo dimostra chiaramente l’ archeologia.

In occasione del conferimento dei Premi delle Accedemie Pontificie del 2015 si è parlato proprio di questo. Ad illustrare le iscrizioni e i graffiti dei “pellegrini” dei primi secoli del cristianesimo è stato il rettore del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana Danilo Mazzoleni.

Con un viaggio virtuale nei luoghi più tipici del pellegrinaggio, ma soprattutto con la lettura delle epigrafi delle catacombe romane e della Terra Santa.

A Roma tra il III e il IV secolo centinaia di graffiti in latino e greco invocavano la protezione di Pietro e Paolo e si trovano ancora sotto la basilica di San Sebastiano. Non è ancora chiaro perché proprio quel luogo sulla via Appia divenne una tappa fondamentale del pellegrinaggio, ma è chiaro che  proprio quelle iscrizioni, tracciate da tante mani diverse, sono una prova eloquente della grande venerazione che già nei primissimi anni dopo il martirio degli Apostoli,  Pietro e Paolo avevano a Roma.

C’è poi la catacomba di Calepodio,  dove fu deposto il papa martire S. Callisto e dove un graffito potrebbe essere particolarmente importante. Sarebbe l’unico finora noto a riportare il termine pellegrino nel senso che gli diamo oggi. Ma è solo una ipotesi.

Dai nomi si comprende spesso anche il “cammino” che questi primi pellegrini fecero. Come nel  cimitero di Commodilla come in quello di Panfilo. C’è il nome di un  presbitero, Gaido, evidentemente un longobardo, che non si accontentò di visitare una sola catacomba. Oltre ai longobardi,  si trovano fedeli di etnia germanica che scrivono con l’antico alfabeto runico, gallica, africana. Una testimonianza della diffusione che ebbe il fenomeno dei pellegrinaggi già nella tarda antichità e nell’alto Medioevo.

E non ci sono solo iscrizioni. Un mosaico pavimentale che sembra proprio una guida per i pellegrini  è la famosa “carta di Madaba”. Fu scoperta nel 1896 e oggi il mosaico è  conservato all'interno di una chiesa ortodossa moderna. Risale forse alla metà del VI secolo, all'epoca dell'imperatore Giustiniano, ed è la rappresentazione della Palestina biblica e delle zone circostanti, ideata ed eseguita con ogni probabilità proprio ad uso dei pellegrini, che transitavano per Madaba ed erano diretti nei Luoghi Santi.

La "carta di Madaba" si basa basata su uno scritto di Eusebio di Cesarea, al centro c’è Gerusalemme, denominata “la Città Santa”, in cui si riconosce il Complesso del S. Sepolcro ma anche Betlemme, indicata con una vignetta molto semplice con una semplice didascalia.

E si sa i pellegrini hanno bisogno di essere accolti, sfamati, alloggiati.

Testimoni di questi bed and breakfast ante litteram sono gli xenodochia, spesso collegati a complessi monastici che si trovavano lungo gli antichi itinerari verso la Terra Santa o a Roma.

Le testimonianze più suggestive sono certamente i graffiti che si trovano nei santuari dei martiri di varie città del mondo antico. Iscrizioni incise da mani inesperte su pareti intonacate o lastre di marmo per ricordare la meta di un lungo viaggio compiuto per giungere al sepolcro del martire o al luogo che ricordava la vita di Cristo o di Maria. Sono testimonianze preziose con particolari inediti sulla nazionalità dei devoti o sull’identità dei martiri.

Come quei graffiti che per secoli hanno indicato ai cristiani il luogo della sepoltura di San Pietro, in Vaticano, in una antica necropoli che è diventata il centro della cristianità.

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