Città del Vaticano , 06 December, 2015 / 9:00 AM
La sfida dell’identità come chiave della propria vita. Padre Pedro Aguado, Superiore Generale dell’Ordine dei Padri Scolopi e preisdente delle Commissione Educazione dell’Unione Superiori Generali, ne parla con ACI Stampa. Una settimana dopo il congresso “Educare Oggi e Domani. Una passione che si rinnova”, organizzato dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica (18-21 novembre), padre Aguado tira le somme di quell’incontro. E indica le linee guida per il futuro.
Sul tema di identità e missione, si parla di una "fedeltà creativa" all'identità cattolica delle scuole. In che modo può essere sviluppata questa identità creativa? Penso ai casi di varie università, ad esempio, che a causa della loro identità creativa si sono distaccate dall'identità cattolica tout court...
La “fedeltà creativa” rispetto alla identità cattolica non vuole significare il “cambiare convinzioni” o “adattarle al contesto”, piuttosto arricchirle, renderle comprensibili, lavorare affinché possano essere acquisite dai giovani che studiano nelle nostre scuole ed università.
Risulta importante tener conto che le nostre istituzioni educative sono inserite in tutti i tipi di contesti, e ricevono tutte le tipologie di alunni. Lavoriamo affinché l’identità cattolica della scuola o della università evangelizzi quelle dinamiche educative che in esse si sviluppano, cerchiamo di annunciare e testimoniare dei valori, ci impegniamo a generare dei processi educativi integrali che aiutino i giovani nel proprio percorso personale e, quando emerge, nel loro processo di fede.
Credo che l’identità serva a poco se resta esclusivamente una teoria o una convinzione. Il nostro impegno è quello di trasformarla affinché sia percepita come elemento chiave della propria vita.
Si è parlato, durante il convegno, di 70 milioni di studenti nelle scuole cattoliche. Si tratta di un potenziale straordinario, che però non vedo riflesso nella società. Sono sempre meno i giovani che si impegnano ad aderire ai principi cattolici, che portino il germe della cattolicità nella società... questo soprattutto nel mondo occidentale. Perché questo distacco tra ideale e reale? Perché si fa fatica a portare l'ideale cattolico nella vita concreta?
Capisco la domanda, ma vorrei vedere le cose in modo positivo. Io lo vedo questo riflesso nella società, e anche nel mondo occidentale. Evidentemente non tutti gli alunni delle scuole cattoliche si convertono, solo perché mettono piede nelle nostre aule, in giovani cattolici capaci di essere portatori sani e testimoni delle proprie convinzioni all’interno della società. Allo stesso modo, però, dobbiamo essere coscienti che molti di loro fanno questo percorso.
Certamente la distanza, il gap, fra quello che “vorremmo che fosse” e quello nei fatti otteniamo (sottrazione fra l’idealità e la realtà) ci sfida profondamente. Le nostre scuole devono essere in grado di generare dei processi educativi integrali che consentano ai nostri alunni la possibilità di scoprire la centralità della fede nella propria vita e all’interno del loro processo personale, affinché possano farlo proprio e possano estenderlo. Per questo motivo è essenziale che la scuola generi vita e fede, si inserisca adeguatamente al contesto ecclesiale, sia animata da persone convinte, e accompagni veramente la ricerca e le “inquietudini” dei giovani. La sfida è radicata in noi, come sempre è stato. La fede si trasmette, si consolida con la testimonianza dei credenti. I giovani hanno bisogno di vedere che i loro educatori credono in quello di cui parlano. È sempre stato così, sin dagli inizi della Chiesa.
Si parla molto di "comunità" per quanto riguarda gli ambienti cattolici. Anche in questo caso, la domanda è identitaria: come devono essere costituite le comunità? Nel momento in cui la comunità diventa un universo professionalizzato, come è possibile stabilire una identità condivisa e comune, cui tutti aderiscono? Penso in questo momento al caso della Germania, che ha cambiato la sua legge sul lavoro, al punto che ora divorziati e risposati e persone in una relazione omosessuale non rischiano più il licenziamento per non aver aderito ai principi etici. In questo caso, non è un problema etico, ma pratico: in che modo formare questa comunità senza principi forti alla base?
Questa domanda si riferisce in modo diretto ad una delle chiavi del futuro della Scuola Cattolica, forse quella principale. Proverò a rispondere centrandomi su due livelli.
Il primo è lavorare per la formazione di tutti gli agenti che rendono possibile la Scuola Cattolica. Qui c’è davvero molto lavoro da fare. In questo senso è molto importante la formazione degli educatori.
Il secondo livello consiste nel creare, sostenere e sviluppare la comunità cristiana di riferimento della Scuola, che viene arricchita dal carisma specifico della Congregazione, nei casi in cui le scuole fanno riferimenti a istituzioni religiose. Sarebbe a dire: la Scuola Cattolica ha bisogno di anima, ed anima incarnata. E questa non può essere che costituita dall’insieme degli agenti riuniti attorno ad un progetto comune, e si esprime in modo privilegiato nella celebrazione della fede che ci riunisce tutti.
Questo significa lavorare per la sostenibilità integrale della Scuola. Non c’è da preoccuparsi solamente della sostenibilità economica, ma della sostenibilità integrale. Una Scuola Cattolica non si sostiene solamente perché possiede delle risorse – sempre che ne disponga -, ma perché conta su degli educatori identificati, perché possiede un progetto chiaro, perché è in grado di convocare a sé altre persone, perché ha un posto nella Chiesa e nella società. In definitiva possiede un orizzonte di qualità e di identità.
Innegabilmente ci troviamo di fronte a delle sfide centrali che esigono lucidità e molto lavoro.
La sfida dell'educazione integrale: in che modo oggi portarla avanti? Come si mette in relazione con gli altri "integrali" della Chiesa (si parla di sviluppo umano integrale, di ecologia integrale...)?
Per la Scuola Cattolica “educazione integrale” significa educare tenendo presenti tutte le dimensioni della persona e in tutti gli ambiti (non solo quello accademico) e in tutti i momenti (non solo durante l’orario o il calendario scolastico). Una impostazione che si radica su un asse centrale: i valori del Vangelo.
Per portala avanti dobbiamo essere coscienti che dobbiamo mettere in campo dei processi educativi integrali. Non solamente conformarci ad un compito educativo curriculare all’interno delle nostre aule. Ma essere educatori che vivano in prima persona quei valori ai quali educano. Fare rete con le altre istanze educative ed ecclesiali all’interno delle quali i bambini e i giovani vivono e partecipano (la famiglia, la parrocchia, gli spazi del tempo libero, ecc). E, soprattutto, credere profondamente nell’offerta educativa della quale siamo promotori.
Tanto lo sviluppo umano, quanto l’ecologia e l’educazione, solamente se sono integrali rispecchiano quanto la Chiesa propone e sollecita. E solo se sono integrali sono in grado di cambiare la vita delle persone e della nostra società. Il lavoro è farci promotori attivi di questo lavoro.
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