Città del Vaticano , 09 October, 2021 / 11:00 AM
“Non abbiate paura di farci sapere le vostre paure”. Di fronte alle incertezze di un cammino sinodale che non si sa dove porterà, il Cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo, chiede a tutti di mettere in campo incertezze, perplessità, timori. Con la certezza che il Sinodo è “casa paterna e materna”. Perché “è il Padre, per mezzo dello spirito, che ci sta convocando per seguire Gesù”. E materna perché “la Chiesa è madre che stende le braccia per offrire a tutti la sua tenerezza”. La Chiesa “è così una famiglia”. E. nel messaggio finale dell’assise di stamattina, che dà l’inizio ai lavori, il Cardinale Grech ammonisce: “il Sinodo non è un processo democratico”. E lancia due provocazioni: fare a meno del voto sinodale, per evitare di creare una maggioranza e una opposizione; e consegnare il documento del Sinodo prima alle Chiese locali e poi al Papa.
Comincia, dunque, il cammino sinodale sulla sinodalità, che porterà all’assise del 2023. Due giorni, con gruppi di lavoro che vanno da cardinali e laici, e che daranno il via ad un processo che si deve vivere parrocchia per parrocchia, comunità per comunità. Tanto che il Cardinale Jean-Claude Hollerich, relatore generale, ammette ancora di non sapere che tipo di instrumentum laboris scriverà per l’assemblea del Sinodo.
Il Cardinale Grech ribadisce i suoi sentimenti di “gratitudine” per il lungo processo sinodale che attende, perché “quando guardiamo alla Chiesa come Popolo di Dio che si mette in cammino, possiamo accostarla a Israele che cammina nel deserto verso la terra promessa”.
C’è gioia, dice il Cardinale Grech, di “vedere la Chiesa che non solo recepisce la dottrina conciliare sulla Chiesa come popolo di Dio, ma si dispone a vivere il dinamismo che la qualifica da dentro”.
Documento preparatorio e vademecum del Sinodo “non vogliono in nessun modo precostituire le condizioni del cammino o dettare la strada, obbligando la Chiesa ad un percorso stabilito in anticipo”, sottolinea il Cardinale Grech. Perché non si può prettendere di “obbligare lo spirito”. E allora, “più che costruire una strada, abbiamo riscoperto sentieri, itinerari, o per me che sono uomo di mare, le rotte che già la Chiesa ha percorso lungo i secoli come ci attesta la Tradizione”.
Il Cardinale sottolinea che “la sinodalità è un dono e una dimensione della Chiesa-Popolo di Dio che lo Spirito ci fa riscoprire e sperimentare”, secondo “uno stile e una forma che era abituale nella Chiesa dei padri”.
Oggi – sottolinea il Cardinale Grech “ci basta vivere la gioia di essere parte del Popolo di Dio in cammino, ciascuno mettendo a servizio degli altri i doni, i carismi, i ministeri, le funzioni che lo Spirito ha distribuito con abbondanza tra quanti siamo qui, grati di condividere l’impegno di questa prima tappa della dinamica sinodale”.
Il lavoro – tuttavia – è “appena iniziato”, e ci sono altre due tappe da compiere, la celebrativa dell’assemblea del Sinodo e quella successiva, quella attuativa, due “tappe assai diverse”. La prima “può giovarsi dell’esperienza di tante assemblee sinodali: ordinarie, straordinarie, speciali”; la seconda “non va molto al di là di una prima formulazione terminologica”.
Il Cardinale Grech sottolinea che “perché il processo sinodale sia vero; perché, in altre parole, non ci siano – o si riducano al minimo – i rischi di precostituire un risultato, bisogna garantire la libertà non solo nello Spirito, ma dello Spirito. È lo Spirito Santo il primo soggetto della sinodalità”.
È facile, nota il cardinale Grech, essere tentati “di risolvere l’ascolto attraverso le dinamiche democratiche; soprattutto di conferire al voto un valore che rischia di trasformare l’Assemblea sinodale in un parlamento, introducendo nella Chiesa le logiche della maggioranza e della minoranza”.
Certo, la questione del voto è presene in molte situazioni. Ma “è così impossibile immaginare, ad esempio, di ricorrere al voto sul Documento finale e sui suoi numeri singoli solo quando il consenso non sia certo? Non basta prevedere obiezioni motivate al testo, magari firmate da un numero congruo di membri dell’Assemblea, risolte con un supplemento di confronto, e ricorrere al voto come istanza ultima e non desiderata?” Sono domande aperte, un “problema su cui riflettere”.
Altra questione aperta: “Se invece di terminare l’assemblea consegnando al Santo Padre il documento finale, facessimo un altro passaggio, quello di restituire le conclusioni dell’assemblea sinodale alle Chiese particolari dalle quali è iniziato tutto il processo sinodale?”
Perché così “il documento finale arriverebbe al vescovo di Roma” con il consenso di tutte le Chiese locali, che “potrebbe non limitarsi solamente al placet del Vescovo, ma estendersi anche al popolo di Dio da lui nuovamente convocato per chiudere il processo sinodale aperto il 17 ottobre 2021”.
Così “il Vescovo di Roma, principio di unità di tutti i battezzati e di tutti i vescovi, riceverebbe un documento che manifesta insieme il consenso del Popolo di Dio e del Collegio dei Vescovi: si darebbe il caso di un atto di manifestazione del sensus omnium fidelium, che sarebbe al contempo anche un atto di magistero dei Vescovi sparsi per il mondo in comunione con il Papa”.
Sono due suggerimenti, su cui confrontarsi. Ma – conclude il Cardinale Grech – “dobbiamo fare le cose con ordine: ora ci aspetta il compito di riflettere sul tema che ci siamo assegnati per i gruppi di studio: Come accompagnare le diocesi nella prima fase Sinodale?”
Il benvenuto del Cardinale Grech si concentra sull’entusiasmo generato a suo dire dal documento preparatorio. “Qui – dice - siamo di fronte ad un moto generato dallo Spirito Santo che è già all’opera e ci precede in questo cammino tutto da scoprire”. Un cammino “volutamente lasciato aperto”, ma che, al di là dei timori, vuole ricorda che “la Chiesa è una famiglia. E, in quanto famiglia, sono certo che il vincolo di amore, che permette ad ogni famiglia di vivere e rimanere unita, e di riconoscersi famiglia anche nei momenti di incomprensione o paura, saprà preservare la nostra unità di membri della famiglia di Dio”.
Nel suo saluto, il Cardinale Hollerich nota che “una Chiesa sinodale è una Chiesa in relazione, una Chiesa di incontro”, sottolinea che “ci saranno incontri a livello di differenti gruppi, di diocesi, di conferenze episcopali, continenti” fino ad arrivare all’assemblea generale dei padri Sinodali nell’ottobre 2023.
Si tratta – dice il relatore generale del Sinodo – di “incontri destinati a rimanere nel tempo”, per prendere tempo “l’uno per l’altro, camminando insieme”, decidendo una direzione, partecipando, ed evitando le “tentazioni del diavolo” che fanno pensare che magari non c’è tempo, che magari tutto è deciso prima, che magari sentire le esperienze di tutti è una utopia, che non si vuole il cambiamento.
Gli antidoti, per il Cardinale Hollerich, sono dati dall’ascolto “della voce di Dio”, con approccio “umile”, per passare “dall’io a noi”. Il Cardinale confessa che non sa “che tipo di instrumentum laboris scriverò, perché “le pagine sono bianche, e le dovete riempire voi”. “Non lo farò da solo – dice – è un sinodo di vescovi, ma ora pensato e proposto come un processo che coinvolge tutto il popolo di Dio”.
Ai confratelli vescovi, il Cardinale Hollerich dice che “non siamo i padroni del Vangelo, ma siamo i suoi servi”, e dunque il nostro ascolto “deve sempre includere la nostra conversione al Vangelo, che è, allo stesso tempo, la parola vivente diCristo e la parola della Chiesa”.
Per questo, ogni diocesi dovrebbe aprire il cammino sinodale “con piena e profonda preghiera”, perché “solo la preghiera ci può portare ad una attitudine interiore di apertura e disponibilità e a quella pace che ci permette di fare delle scelte in libertà”.
Il Cardinale Hollerich sottolinea che il noi permette anche di vedere “la Chiesa gerarchica al lavoro” (è gesuita, l’espressione è di Sant’Ignazio, e anche Papa Francesco la usa sempre) e questa “è una garanzia che non siamo meramente in questo cammino con un gruppo di amici, che la pensano come me”.
C’è bisogno, dunque, di cominciare questa missione sicuri “di un tempo e uno spazio che condividiamo”, di un discernimento che permette “il movimento da un livello all’altro”. La sinodalità – dice il relatore generale del Sinodo – “entrare in un noi sempre più grande, è cercare di vedere cosa ci costruisce come comunità”, perché “non è rimanendo seduti che saremo capaci di discernere la volontà del Padre”.
Tra le testimonianze, anche quella di Fratel Alois, priore di Taizé, che si chiede “come far avanzare l’unità dei cristiani”, e che risponde con ciò che gli ha risposto il pastore Larry Miller, ex segretario generale del Forum Cristiano Mondiale. E questi ha risposto dicendo che “Non va bene iniziare dicendo: ‘Ecco chi siamo e perché abbiamo ragione’. Si tratta piuttosto di riconoscere le nostre debolezze e chiedere alle altre Chiese di aiutarci a ricevere ciò che ci manca: è l’ecumenismo ricettivo, che ci permette di accogliere ciò che viene dagli altri”.
(La storia continua sotto)
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Per Fratel Alois questo è il modo giusto di vedere. “All'interno della stessa Chiesa cattolica – dice - il sinodo evidenzierà grandi diversità. Queste saranno tanto più feconde man mano che si approfondirà la ricerca della comunione. Non per evitare o nascondere i conflitti, ma per coltivare un dialogo che riconcilia. Per promuoverlo, mi sembra auspicabile che vi siano, nel cammino sinodale, momenti di respiro, come soste, per celebrare l'unità già compiuta in Cristo e renderla visibile”.
Fratel Alois condivide il sogno che “durante il processo sinodale, non solo i delegati, ma il popolo di Dio, non solo i cattolici ma i credenti delle varie Chiese, venissero invitati a un grande raduno ecumenico? Perché, attraverso il battesimo, siamo sorelle e fratelli in Cristo, uniti in una comunione ancora imperfetta ma molto reale, anche quando le questioni teologiche rimangono senza risposta”.
Un incontro ecumenico che “avrebbe al centro una sobria celebrazione dell'ascolto della Parola di Dio, con un lungo momento di silenzio e un'intercessione per la pace”, e che Fratel Alois vede con i giovani come animatori.
Anche l’arcivescovo Lazzaro You, coreano, da poco prefetto della Congregazione per il Clero, racconta la sua esperienza di sacerdote cresciuto in una famiglia senza fede religiosa, che ha ricevuto il battesimo solo a 16 anni, diventando il primo cristiano della sua famiglia, e trovando in Gesù “la spinta di aprire il mio cuore agli altri”.
L’ingresso in seminario “non fu facile”, perché nessuno della sua famiglia “capiva la sua decisione”, ma è stato nel servizio militare che ha dovuto compiere dopo tre anni in seminario che l’arcivescovo You ha scoperto che “l’amore vince tutto”. “Durante i miei 41 anni come sacerdote e poi come vescovo – dice - mi ha sempre interpellato l’esempio di Gesù nella lavanda dei piedi. E più ancora la sua offerta in Croce. É stato soprattutto lì che egli è stato sacerdote. Questo mi ha fatto capire che vivere il sacerdozio in pienezza significa dare la vita per gli altri, mettersi al servizio, essere un uomo del dialogo e della comunione”.
Per questo, per l’arcivescovo You, “essere sacerdote e vescovo significa camminare insieme agli altri, amarli in modo particolare, ascoltare bene le persone”, cosa che lo ha spinto anche a tenere “un sinodo diocesano”, che è stata “una grande grazia, perché ci ha fatto sperimentare la bellezza del camminare insieme. Ed è stato anche un antidoto al clericalismo”.
L’arcivescovo You si attende “dal Cammino sinodale che impariamo sempre più a vivere come fratelli e sorelle, ascoltandoci a vicenda e ascoltando lo Spirito, sapendo cogliere e far crescere tutto il bene che si trova nell’umanità. Vivere come chiesa sinodale non sarà un cammino senza fatica, ma significa aprire le porte allo Spirito per una nuova Pentecoste”
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