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La croce diventa sorgente di vita. Passione di Nostro Signore Gesù Cristo

In questa celebrazione della Passione siamo chiamati a contemplare la croce.

La croce agli occhi del mondo appare, e non può essere diversamente, solo come un terribile strumento di tortura e di morte. E’ quanto di più ignobile e disprezzato si possa pensare perché contraddice al desiderio di potenza, di prestigio e di grandezza dell’uomo.

L’Evangelista san Giovanni, al contrario, vede nella croce l’esaltazione di Gesù, il compimento delle sue parole: “ Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”. In effetti, nel racconto della Passione che ascolteremo ciò che emerge è la nobiltà di Gesù, la totale libertà con cui si consegna alla morte, la sua dignità regale, la sua vittoria sul male e sulla violenza. Non è un caso che i termini “re” e “regno” ricorrono per ben 15 volte e vengono utilizzati anche da Pilato il quale, credendo di prendersi gioco di Gesù, lo presenta alla folla con in testa una “corona di spine” e avvolto in “un mantello di porpora” (Gv 19.5). In realtà, senza saperlo, con questa “burla” egli rendeva visibile il sorprendente disegno di Dio che, dall’eternità, aveva predestinato il Suo Figlio crocifisso e risorto come re dell’universo.

Il cartiglio, poi, posto sopra la croce con la scritta Questi è il re dei Giudei in lingua ebraica, greca e latina, costituisce una proclamazione della regalità di Cristo davanti al mondo intero. Questa regalità viene ulteriormente sottolineata dal fatto che mentre gli altri evangelisti parlano di due ladroni crocifissi con Gesù, Giovanni si limita a parlare di “altri due in mezzo ai quali fu crocifisso il Signore”. La centralità di Cristo diviene un altro segno di regalità.

Anche nella sepoltura emerge un particolare “regale” quando viene precisato che furono utilizzate cento libbre (circa trenta chili) di mirra e aloe. Una simile quantità di aromi veniva adoperata solo per un re.

 Tutti questi aspetti ci aiutano a capire per quale ragione San Tommaso d’Aquino afferma che “Cristo porta la croce come un re porta il suo scettro, come segno della sua gloria, della sua sovranità universale su tutti. La porta come un guerriero vittorioso porta il trofeo della sua vittoria”.

Un altro aspetto - presente solo nel racconto della passione del vangelo di San Giovanni - merita di essere sottolineato. Dal costato aperto di Cristo morto esce sangue ed acqua. L’acqua è il simbolo del sacramento del Battesimo, che ci purifica dalle nostre colpe e ci rende figli di Dio; il sangue dell’eucaristia che ci fa crescere nella comunione con Dio e i fratelli. Sono i due sacramenti che costituiscono la Chiesa: il battesimo in estensione e l’Eucarestia in intensità. Dal costato trafitto di Cristo nasce, dunque, la Chiesa cioè la nuova umanità liberata dal peccato e capace di corrispondere all’amore di Dio.

Ci troviamo, dunque, a confrontarci con un paradosso, che tuttavia rivela il modo di operare di Dio. La morte del Figlio di Dio in croce diviene sorgente di vita, fa nascere una umanità nuova. E questo ci porta a dovere riconoscere che le sorti della nostra vita e dell’umanità intera sono nelle mani di Dio perché  ha dimostrato di sapere stravolgere e trasformare uno strumento di rovina e di tortura in uno strumento di vita e di salvezza. Gesù crocifisso appare come il grande abbraccio di Dio per il mondo, capace di suscitare speranza perché testimonia che l’ultima parola della nostra esistenza non appartiene alla sofferenza e alla morte, ma a Dio che ha trionfato sul male.

La Chiesa ha tradotto tutto questo ricco significato della morte di Cristo nei testi e nei gesti della liturgia del Venerdì santo. La croce viene cantata come “il vessillo del Re”, un “luminoso mistero”, l’altare sul quale muore “la Vita e morendo ridona agli uomini la vita. “Sul legno avviene la regalità di Cristo” (Vexilla Regis) . Ed è per questa ragione che noi adoriamo la croce e ci inginocchiamo davanti ad essa,  perché da essa Cristo salva il mondo e l’uomo.

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