Città del Vaticano , 28 December, 2020 / 4:00 PM
Fin dall’inizio del suo pontificato Giovanni Paolo II ha avuto nel cuore una attenzione speciale alla famiglia. Nella messa del 31 dicembre del 1978 alla chiesa del Gesù dove si era recato per il Te Deum di fine anno il Papa eletto da pochi mesi mi se subito al centro la sfida che la Chiesa si trovava ad affrontare, perché “vuole ricordare che con la famiglia sono collegati i valori fondamentali, che non si possono violare senza danni incalcolabili di natura morale. Spesso le prospettive di ordine materiale e il punto di vista “economico-sociale” prevalgono sui principi di cristiana e perfino umana moralità. Non basta, allora, esprimere solo un rammarico. Bisogna difendere questi valori fondamentali con tenacia e fermezza, perché la loro violazione porta danni incalcolabili alla società, e, in ultima analisi, all’uomo. L’esperienza delle diverse nazioni nella storia dell’umanità, come pure la nostra esperienza contemporanea, possono servire come argomento per riaffermare questa verità dolorosa, cioè che è facile, nella fondamentale sfera dell’umana esistenza in cui è decisivo il ruolo della famiglia, distruggere i valori essenziali, mentre è molto difficile ricostruire tali valori”.
I temi sono ancora una volta così vivi e attuali che risultano profetici e i valori che il Papa mette subito al centro sono due, ma sono, “due valori fondamentali che rigorosamente entrano nel contesto di ciò che noi chiamiamo “amore coniugale”. Il primo di essi è il valore della persona che si esprime nella reciproca fedeltà assoluta fino alla morte: fedeltà del marito nei confronti della moglie e della moglie nei confronti del marito. La conseguenza di questa affermazione del valore della persona, che si esprime nella reciproca relazione tra marito e moglie, deve essere anche il rispetto del valore personale della nuova vita, cioè del bambino, dal primo momento del suo concepimento”. In termini laici si può parlare di divorzio e aborto, ma di fatto è molto di più.
Non è una posizione chiusa quella di Giovanni Paolo II, ma è una posizione chiara: “Pur mantenendo il rispetto verso tutti coloro che pensano diversamente, è ben difficile riconoscere, dal punto di vista obiettivo e imparziale, che si comporti a misura della vera dignità umana chi tradisce la fedeltà matrimoniale, oppure chi permette che si annienti e si distrugga la vita concepita nel grembo materno. Di conseguenza, non si può ammettere che i programmi che suggeriscono, che facilitano, ammettono tale comportamento, servano al bene obiettivo dell’uomo, al bene morale, e contribuiscano a rendere la vita umana veramente più umana, veramente più degna dell’uomo; che servano alla costruzione di una società migliore”.
Il Te Deum di Giovanni Paolo II nella Chiesa del Gesù o Sant’ Ignazio era spesso un appuntamento con la città di Roma, presente il Sindaco e le autorità loacali. Il Papa aveva l’abitudine di concedere una udienza con un lungo e articolato discorso alle autorità locali romane ad inizio d’ anno. Comune, Provincia, Regione. Ma il 31 dicembre l’incontro informale e il dono di un calice da parte del Sindaco di Roma aveva il sapore di una romanità del Papato che rendeva l’evento amato ed intimo.
Così come nel 1986 ricorda due eventi, l’annuncio del Sinodo Romano e la visita alla Sinagoga, la prima di un Pontefice. Ma soprattutto punta sul ruolo dei laici: “Che cosa ha aggiunto l’Anno del Signore 1986 a questo escatologico Libro della Vita? Come vi sono state inscritte le vicende della Chiesa che è in Roma? Le vicende della Città che ha una particolare missione dinanzi al mondo? La Chiesa è in Cristo Gesù “come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio” (Lumen Gentium, 1).
Contemporaneamente la Chiesa è la comunità visibile dei battezzati, discepoli e confessori di Cristo. Questa comunità vive ed opera, secondo la parola di Dio, in tutti e tramite tutti quelli che la costituiscono come Popolo di Dio, Conviene dunque pensare a tutti, in questo giorno, tenendo presente che la parola “Laicato” è etimologicamente legata con la parola greca “laos”. In che modo coopera tutta questa assemblea, la compagine di circa tre milioni di persone costituente il Popolo di Dio che forma la Chiesa romana, nell’economia salvifica di quella “grazia su grazia” di Cristo, di cui parla il Vangelo odierno?
In che modo questa cooperazione si appoggia sul ministero dei vescovi, dei sacerdoti e dei diaconi? Quale maturità manifesta la comunità della Chiesa che è in Roma nell’ambito delle vocazioni sacerdotali e religiose, maschili e femminili?
Roma è una città e diocesi. In pari tempo è un grande centro di formazione spirituale e teologica per la Chiesa universale. Tutto ciò è una grande Grazia ma, contemporaneamente, una grande responsabilità”.
Una città di cui il Papa vedeva le ferite, come ha ricordato il 31 dicembre del 1998: “Guardando all'anno trascorso, non posso non ricordare i disagi ed i problemi che, anche a Roma, hanno segnato l'esistenza di molti nostri fratelli e sorelle. Penso alle famiglie che stentano a far quadrare il bilancio quotidiano; ai minori in difficoltà ed ai giovani senza prospettive per l'avvenire; ai malati, agli anziani ed a quanti vivono nella solitudine; alle persone in stato d'abbandono, ai senza casa ed a chi si sente rifiutato dalla società. Possa l'anno nuovo recare loro serenità e speranza. Grazie ad un’ampia collaborazione e ad indirizzi sociali, economici e politici più aperti all’iniziativa e al cambiamento, nella città saranno promossi atteggiamenti sempre più fiduciosi e creativi”.
Dopo il 2000 il Papa anziano e malato, non si recò più alla chiesa del Gesù e nemmeno a Sant’ Ignazio, ma preferì celebrare il Te Deum a San Pietro. E si conclude anche la esperienza della cena dell’ultimo dell’ anno con i gesuiti.
Rimase però il momento intimo della visita al Presepe della Piazza dopo la celebrazione, consuetudine che il Papa aveva iniziato dopo che dal 1982 aveva voluto che anche davanti a San Pietro ci fosse una rappresentazione della Natività di Gesù.
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