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San Carlo Borromeo, come lo vedeva Guercino, come lo racconta Manzoni

Lo sguardo fisso al Crocifisso, in sommessa orazione, attorniato da tre angeli che partecipano alla preghiera di Carlo Borromeo: questa è la scena di uno dei quadri più intensi del Guercino.

L’olio su tela del pittore emiliano potrebbe aiutarci a descrivere meglio uno dei santi meneghini più importanti della Storia della Chiesa. Il dipinto del 1613 rappresenta la figura del famoso Arcivescovo di Milano rimasto impresso nella memoria di ogni studente grazie al romanzo “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni. E’ al capitolo XXII che entra in scena il nobile arcivescovo milanese. Il Manzoni, ci presenta Carlo quasi “furtivamente” - si potrebbe dire - attraverso il cugino, il cardinal Federigo Borromeo.

Il testo parla in maniera indiretta di Carlo, focalizzando l'attenzione su Federigo Borromeo che come presentato sembra davvero essere “alter ego” del cugino santo. Nel 1580, Federigo vuole intraprendere la vita religiosa e prende l’abito religioso direttamente dal cugino Carlo Borromeo. La sua fama era nota in tutta Milano, per le sue opere di carità:  già era considerato da tutti santo. Si legge, infatti, nel capitolo XXIII del famoso romanzo manzoniano: Nel 1580 manifestò la risoluzione di dedicarsi al ministero ecclesiastico, e ne prese l’abito dalle mani di quel suo cugino Carlo, che una fama, già fin d’allora antica e universale, predicava santo”. Carlo Borromeo, di ben ventisei anni più vecchio di Federigo, finché visse esercitò un forte ascendente nei confronti di Federigo: il modello di santità gli era molto chiaro.

 

Ma, continuiamo ad addentrarci nelle pagine manzoniane: “Davanti a quella presenza grave, solenne, ch’esprimeva così al vivo la santità, e ne rammentava le opere, e alla quale, se ce ne fosse stato bisogno, avrebbe aggiunto autorità ogni momento l’ossequio manifesto e spontaneo de’ circostanti, quali e quanti si fossero, Federigo fanciullo e giovinetto cercasse di conformarsi al contegno e al pensare d’un tal superiore, non è certamente da farsene maraviglia”.

 

Ma c’è anche un altro riferimento a San Carlo Borromeo, nel romanzo scritto dall’autore della famigerata poesia “Cinque maggio”: stiamo parlando delle pagine dedicate alla peste del 1629. Siamo al capitolo XXXII. I magistrati di Milano, visto l’epidemia che imperversava nella città, decisero di indire una particolare processione: il corpo di San Carlo Borromeo doveva essere trasportato per le vie meneghine per fermare la peste.

Il cugino, il cardinal Federigo, in un primo momento rifiuta una simile proposta: aveva timore che nel caso di insuccesso si sarebbe persa fiducia nel cugino santo. Successivamente, invece, sarà deciso diversamente. Federigo non solo consentirà la solenne processione, ma anche l’esposizione  alla venerazione del “popolo di Dio”  delle sue reliquie nel Duomo di Milano, per ben otto giorni.

“La processione passò per tutti i quartieri della città: a ognuno di que’ crocicchi, o piazzette, dove le strade principali sboccan ne’ borghi, e che allora serbavano l’antico nome di carrobi, ora rimasto a uno solo, si faceva una fermata, posando la cassa accanto alla croce che in ognuno era stata eretta da san Carlo, nella peste antecedente, e delle quali alcune sono tuttavia in piedi: di maniera che si tornò in duomo un pezzo dopo il mezzogiorno”.

Questa, la descrizione del Manzoni della solenne processione che avvenne l'11 giugno 1630. Frammenti di Storia italiana s’intrecciano con la letteratura. Fra le pieghe delle pagine de “I promessi sposi”, c’è anche un’aureola di santità: è quella di San Carlo Borromeo. 

 

 

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