Città del Vaticano , 28 September, 2020 / 6:00 PM
“Famiglia di nazioni”, così Giovanni Paolo II definì nel 1995 in un discorso storico, le Nazioni unite. Era una novità assoluta e proprio nel momento in cui l’Onu affrontava un periodo di crisi.
Il Papa parlava alla Assemblea Generale per la seconda volta, ed era il secondo pontefice a farlo dopo Paolo VI.
A ottobre del 1995 la visita avviene a pochi anni dal disgregamento della Unione Sovietica. Per il mondo è cambiato tutto. Almeno sembra. Niente più Guerra Fredda, ma ora è tutto nelle mani degli Usa. E il Papa va a ricordare le responsabilità di un nazione che ha ancora tanti pregiudizi e contrasti interni da superare. Al Palazzo di Vetro, nel suo discorso, conia una espressione che è un nuovo concetto politico: famiglia di nazioni”. Ecco cosa dovrebbero essere le Nazioni Unite che molti ormai vedono come una istituzione da riformare.
In aereo andando a New York spiega il senso di quello che sarà il suo intervento ai giornalisti: “ andiamo alle Nazioni Unite, andiamo soprattutto agli Stati Uniti, la visita è pastorale, si vedrà dopo che pastorale non politica benché le Nazioni Unite sono istanza politica internazionale di altissimo grado. Domani vedrete, ascolterete cosa dirà il papa alle Nazioni Unite. 50 anni dalla fondazione di queste Nazioni Unite, io penso che si deve fare questo viaggio, questa visita. Questo lo ricordo, perché elementi di grandissima importanza hanno deciso per la costituzione delle Nazioni Unite, Seconda Guerra Mondiale, poi i diritti della persona umana, diritti dell’uomo, problema internazionale difficile, preservazione della pace, tutto quello. Oggi si parla molto della crisi delle Nazioni Unite, ma se anche è in crisi, deve essere salvaguardata, perché vale la pena di avere questa istituzione mondiale internazionale, questa famiglia. Io sempre vedo famiglia delle nazioni, no? E’ importante per le nazioni anche avere una famiglia, non solamente vivere da soli, da orfani.”
Come migliorare la presenza dell’ ONU nel mondo chiedono i giornalisti, e il Papa risponde schietto: “Devono pensare loro, devono pensare loro come farlo. Ma se il motivo della fondazione delle Nazioni Unite era quello di proteggere la pace nel mondo, allora devono essere molto preoccupati di questo, di poter intervenire in modo pacifico, dissuadente eccetera, quando c’è una guerra come quella di Bosnia, e anche in Africa. Naturalmente non è facile, ma devono studiare meglio queste procedure, questo modus agendi possibile”.
Nel 1979 il Papa oltre al discorso all’ Assemblea Generale il 2 ottobre, pronuncia altri cinque discorsi. “Che ci possa essere la pace nella giustizia e nell’amore” dice nel saluto finale. Alla Assemblea il Papa aveva mostrato la “via dell’uomo” come la indica la Chiesa cattolica.
Era stata appena pubblicata la enciclica Redemptor Hominis, la prima del pontificato, quella programmatica, e Giovanni Paolo II si augura “che l’Organizzazione delle Nazioni Unite, per il suo carattere universale, non cessi mai di essere quel “forum”, quell’alta tribuna, dalla quale si valutano, nella verità e nella giustizia, tutti i problemi dell’uomo”.
Nel 1995 il mondo è profondamente cambiato, i discorsi sono “solo” quattro al Palazzo di Vetro, uno è un incontro con i bambini. Il 5 ottobre il Papa si rivolge con un “messaggio” alla Assemblea Generale, si celebrano i 50 anni della Organizzazione e il Papa dice: “ Sono oggi venuto tra voi col desiderio di offrire il mio contributo a quella significativa meditazione sulla storia e sul ruolo di questa Organizzazione, che non può non accompagnare e sostanziare la celebrazione dell’anniversario”.
Un contributo soprattutto sul tema della libertà. Lo sguardo è alla caduta della cortina di ferro: “ le rivoluzioni non violente del 1989 hanno dimostrato che la ricerca della libertà è un'esigenza insopprimibile, che scaturisce dal riconoscimento dell'inestimabile dignità e valore della persona umana, e non può non accompagnarsi all'impegno in suo favore”.
Ma la ricetta per la ricerca della vera libertà fondata su diritti e dignità il Papa la offre con la sua “invenzione politica” con la idea della famiglia: “Occorre che l'Organizzazione delle Nazioni Unite si elevi sempre più dallo stadio freddo di istituzione di tipo amministrativo a quello di centro morale, in cui tutte le nazioni del mondo si sentano a casa loro, sviluppando la comune coscienza di essere, per così dire, una "famiglia di nazioni". Il concetto di "famiglia" evoca immediatamente qualcosa che va al di là dei semplici rapporti funzionali o della sola convergenza di interessi. La famiglia è, per sua natura, una comunità fondata sulla fiducia reciproca, sul sostegno vicendevole, sul rispetto sincero. In un'autentica famiglia non c'è il dominio dei forti; al contrario, i membri più deboli sono, proprio per la loro debolezza, doppiamente accolti e serviti”.
E ancora per il Papa “è necessario che sulla scena economica internazionale si imponga un'etica della solidarietà, se si vuole che la partecipazione, la crescita economica, ed una giusta distribuzione dei beni possano caratterizzare il futuro dell’umanità”.
E per fare questo, dice, “non dobbiamo avere paura dell’uomo”. E al personale delle Nazioni Unite in un saluto speciale ricorda che “il messaggio della Chiesa è semplice e tuttavia importantissimo per la sopravvivenza dell'umanità e del mondo: la persona umana deve essere il centro autentico di tutte le attività sociali, politiche ed economiche. Questa verità, se effettivamente concretizzata, indicherà il cammino per sanare le divisioni fra i ricchi e i poveri, per superare l'ineguaglianza fra i forti e i deboli, per riconciliare l'uomo con se stesso e con Dio, poiché gli uomini e le donne sono stati creati a immagine e somiglianza di Dio”.
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