Città del Vaticano , 13 June, 2020 / 4:00 PM
La Santa Sede e Cuba hanno celebrato lo scorso 7 giugno 85 anni di relazioni diplomatiche ininterrotte. La Santa Sede non ha mai lasciato Cuba, nemmeno quando il regime si accaniva contro i cristiani, e questa presenza ha portato poi a una straordinaria presenza dei Papi en la isla (Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, due volte Papa Francesco) e anche alla mediazione per il ripristino delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cuba.
In questa settimana, mentre il presidente Donald Trump rendeva il tema della libertà religiosa centrale per la sua amministrazione, è stato presentato anche il rapporto sulla libertà religiosa nel mondo del Dipartimento di Stato USA, che individua nella Cina uno dei peggiori avversari della libertà religiosa. FOCUS RELAZIONI DIPLOMATICHE
Cuba e Santa Sede, 85 anni di relazioni diplomatiche
Santa Sede e Cuba hanno 85 anni di relazioni diplomatiche ininterrotte, cominciate il 7 giugno 1935. Bruno Rodriguez, ministro degli Esteri cubano, in occasione dell’anniversario ha sottolineato che “c’è la volontà di continuare a rafforzare” i legami tra i due Paesi in un twitter, mentre la stampa locale sottolineava che Cuba è un Paese laico la cui Costituzione garantisce il rispetto del Credo religioso.
In un articolo scritto per il giornale governativo Granma, Jorge Quesada Conception, ambasciatore di Cuba presso la Santa Sede, ha ripercorso la storia delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Cuba.
Nel suo articolo, Quesada ricorda che già nel 1898 Leone XIII aveva nominato il primo delegato apostolico nell’isola, nella persona di monsignor Placide-Louis Chapelle. La nunziatura apostolica fu stabilita a Cuba solo l’11 settembre 1935, mentre il 7 giugno Pio XI aveva deciso lo stabilimento di una delegazione diplomatica della Santa Sede all’Avana in reciprocità al gesto cubano.
Primo nunzio fu l’arcivescovo Giorgio Giuseppe Caruana. Questi si occupava già degli affari di Cuba dal 1925, da quando era stato inviato come delegato apostolico per le Antille e per il Messico, e presentò le lettere credenziali il 6 dicembre 1935.
Al contempo, il rappresentante di Cuba presso la Santa Sede è stato il suo Inviato Diplomatico a Parigi fino al 1936. Solo in quell’anno fu accreditato il primo ministro designato dall’Avana esplicitamente per la Santa Sede.
Quesada si è anche soffermato su fatti positivi ed esempi di collaborazione che hanno caratterizzato il rapporto tra Cuba e la Santa Sede, facendo il nome di personaggi come il nunzio Cesare Zacchi, amico personale di Fidel Castro che lo descrisse come un nunzio intelligente e capace.
L’ambasciatore ha ricordato le visite apostoliche a Cuba di Giovanni Paolo II (1998), Benedetto XVI (2012) e Papa Francesco (2015). Quest’ultimo è passato dall’Avana anche per lo storico incontro con il Patriarca di Mosca Kirill nel 2016.
Al contempo, sono da ricordare le visite in Vaticano di Fidel Castro nel 1996 e Raul Castro nel 2015, mentre Miguel Diaz-Canel Bermudez, allora vicepresidente del Consiglio di Stato e dei ministri, guidava la delegazione cubana che partecipò alla Messa di iniziio di ministero petrino di Papa Francesco nel 2013.
FOCUS CINA
La situazione dell’accordo Cina – Santa Sede
Scade a settembre l’accordo provvisorio e confidenziale tra Cina e Santa Sede sulla nomina dei vescovi, e la speranza è quello di rinnovare l’accordo per uno o due anni: lo ha detto l’arcivescovo Claudio Maria Celli, che si occupa di Cina da quando era un officiale in Segreteria di Stato negli Anni Ottanta, in una conversazione alla trasmissione tv “Stanze vaticane”.
L’arcivescovo Celli ha affermato che “abbiamo firmato un accordo che è il frutto del nuovo clima che si è creato con le autorità cinesi, un clima fatto di rispetto, fatto di chiarezza, fatto di corresponsabilità, lungimiranza. Non guardiamo solamente al presente ma cerchiamo di guardare al futuro, e di dare al futuro di queste nostre relazioni una base profonda, rispettosa e direi che stiamo lavorando in questo senso”.
Il diplomatico vaticano ha sottolineato che “l’accordo scade nel settembre di quest’anno e dobbiamo trovare una formula, dobbiamo vedere cosa fare dopo questa scadenza, e dovremo riconfermarlo per almeno uno o due anni, ma la Santa Sede non ha preso ancora una decisione a riguardo, che poi sarà comunicata alle autorità cinesi”.
Di certo – ha aggiunto – c’è la volontà di arrivare ad una normalità “nella quale il cattolico cinese possa esprimere tutta la sua fedeltà al Vangelo e nel rispetto del suo essere cinese. Una Chiesa cattolica in Cina deve essere pienamente cinese, ma deve anche essere pienamente cattolica e nel nostro cammino tutti dobbiamo essere fedeli al Vangelo. Non è un cammino facile, ma mi sembra che abbiamo imboccato una strada fatta di rispetto, di attenzione, di cercare di capirci per vedere come risolvere quei nodi che permangono quelle situazioni che lasciano molto più che pensosi, direi anche preoccupati”.
Le situazioni a cui fa riferimento l’arcivescovo Celli sono le violazioni di libertà religiosa in Cina. La Santa Sede è al corrente delle criticità, ed è probabile che le abbia anche messe in luce durante i colloqui che ci sono stati con la Cina. Ma allo stesso tempo la Santa Sede ha puntato ad un accordo, secondo una linea diplomatica che è già stata applicata durante il periodo della Ostpolitik, in particolare con l’accordo sulla nomina dei vescovi che si fece con l’Ungheria.
L’accordo è stato fortemente criticato dal Cardinale Joseph Zen Zekiun, vescovo emerito di Hong Kong, che lamenta il “tradimento” di tanti cattolici cinesi che si sono sacrificati. Dall’accordo, ci sono state due nomine episcopali in Cina con il doppio via libera di Santa Sede e Cina, ma in entrambi i casi le procedure per le nomine erano già avviate da tempo.
Nei prossimi mesi, circa 43 diocesi di Cina potrebbero rimanere vacanti per via della anziana età dei loro vescovi. Di certo, il percorso per un avvicinamento è stato lungo. Cominciato negli Anni Ottanta, Pechino si è aperto con difficoltà, chiedendo anche tra le prime condizioni che la Santa Sede rompesse i rapporti diplomatici con Taiwan. Ad oggi, la Santa Sede è ancora uno dei pochi Stati che riconosce e ha relazioni diplomatiche con Taipei.
FOCUS LIBERTÀ RELIGIOSA
Libertà religiosa, l’impegno degli Stati Uniti
Lo scorso 2 giugno, il presidente USA Donald Trump ha firmato un Ordine Esecutivo per l’avanzamento della Libertà religiosa internazionale. L’ordine descrive la libertà religiosa internazionale come un imperativo morale e di sicurezza nazionale, e rafforza – secondo l’ambasciata USA presso la Santa Sede – il concetto di libertà religiosa come principio fondativo della politica estera USA.
L’ordine prevede che gli Stati Uniti daranno la priorità alla libertà religiosa nei programmi di aiuto estero, e il presidente Trum ha chiesto al Dipartimento di Stato di coordinarsi con USAID per assicurare almeno 50 milioni di dollari per anno al tema.
(La storia continua sotto)
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Il Dipartimento di Stato USA sulla libertà religiosa
Preoccupazione per i luoghi di culto è emersa in una conferenza stampa di presentazione del rapporto annuale del Dipartimento di Stato USA sulla libertà religiosa nel mondo. Presentando il rapporto il 10 giugno, Sam Brownback, ambasciatore USA per la libertà religiosa internazionale, ha voluto anche sottolineare i rischi per la libertà di culto nati con l’emergenza coronavirus.
Secondo Brownback, i governi in alcune regioni del mondo potrebbero cercare di tenere chiusi i luoghi religiosi anche oltre l’attuale emergenza nazionale, in modo da mettere sotto attacco le minoranze religiose.
Si tratta, secondo Brownback, di una profonda preoccupazione, perché “non vogliamo vedere come avanzo di questo impatto la chiusura di queste istituzioni religiose.
Durante la pandemia, alcune minoranze religiose sono anche state stigmatizzate con l’accusa di aver provocato o diffuso il coronavirus, come ha notato anche lo scorso marzo la Commissione USA sulla Libertà Religiosa Internazionale (USCIRF).
Brownback ha anche espresso apprezzamento per i leader religiosi che hanno lavorato insieme agli ufficiali sanitari e che hanno sospeso i grandi raduni religiosi, specialmente durante i tempi di Pasqua, Pesach e Ramadan.
Il rapporto del Dipartimento di Stato è stato introdotto da Mike Pompeo, Segretario di Stato USA, il quale ha affermato che “mentre l’America non è una nazione perfetta da molti punti di vista, cerchiamo sempre di raggiungere una unione ancora più perfetta”.
Parlando del rapporto, Brownback ha detto che le maggiori preoccupazioni vengono dalla Cina, considerata la durezza della sua persecuzione religiosa e le sue azioni come esportatore di repressione.
Brownback ha anche sottolineato che “non ci sono prove che gli uiguri nei campi di concentramento siano stati rilasciati”, come invece dice il governo cinese. Gli uiguri sono un gruppo musulmano in Cina che soffre di fortissime persecuzioni: la Cina ne ha incarcerati circa 1,8 milioni. Si tratta di una popolazione di etnia Kazakha, Kirghiza e di altre minoranze musulmane nella Regione Autonoma di Xinjang. Ci sono state segnalazioni di torture, rinuncia forzata alla fede e lavoro forzato nei campi, con alcuni detenuti inviati ai lavori forzati in fabbriche quando sono “rilasciati dai campi.
Brownback ha anche denunciato che in Iran 109 membri di gruppi di minoranza religiosa sono incarcerati per ragioni di fede. Nel 2019, ha aggiunto, due musulmani della minoranza Ahwazi, che erano in carcere, sono stati condannati alla pena capitale per “inimicizia contro Dio”.
Brownback si è detto anche molto preoccupato dall’escalation di violenza in Nigeria e la mancanza di una “efficace risposta” da parte del governo di Lagos.
Pompeo ha invece notato trend positivi in Gambia, che è diventato membro della Alleanza Internazionale per la Libertà Religiosa e che ha portato davanti alla Corte Internazionale di Giustizia crimini commessi contro i musulmani Rohingya.
Pompeo ha anche apprezzato l’impegno degli Emirati Arabi Uniti, facendo in particolare riferimento al viaggio di Papa Francesco nel febbraio 2019.
Altre nazioni di particolare preoccupazione sono il Vietnam e l’India. Secondo il rapporto del dipartimento di Stato, in Vietnam “membri di gruppi religiosi hanno detto che alcune autorità locali e provinciali hanno usato i sistemi legali locali e nazionali per rallentare, delegittimare e sopprimere le attività religiose di gruppi che hanno resistito alla gestione da parte del governo”.
Secondo il rapporto, i gruppi religiosi in Vietnam che non hanno riconoscimento ufficiale da parte del governo “hanno riportato diverse forme di disturbo da parte del governo”, inclusi attacchi, arresti, processi, sorveglianza, restrizioni di viaggio e sequestro di proprietà, o anche negazioni di richieste registrazione e negazione di aver ricevuto mai le richieste.
Il rapporto mette in luce anche le crescenti segnalazioni di violenza contro le minoranze etniche e religiose in India, e critica il governo e l’incapacità del governo di prevenire tali incidenti.
“Alcuni ufficiali del partito di maggioranza indù – si legge nel rapporto – inclusi quelli provenienti dal Bharatiya Janata Party (BPJ) hanno fatto dichiarazioni pubbliche incendiarie o post nei social media contro le comunità di minoranza”.
Il rapporto nota che l’Arabia Saudita è l’unica nazione che proibisce tutte le chiese, e che dal 2004 la nazione è considerata di “particolare preoccupazione” secondo l’Atto di Libertà Religiosa del 1998.
L’Arabia Saudita è stata inclusa di nuovo nella lista e saranno annunciate le sanzioni che ne accompagnano la negazioni.
Un altro esempio positivo è quello dell’Uzbekistan, che ha “migliorato la libertà religiosa e posto fine ai raid di polizia contro gruppi religiosi non registrati”.
Il rapporto ha anche lodato la Repubblica Democratica del Congo per via della migliori relazioni tra il governo e le comunità religiose da quando, nel gennaio 2019, si è installato il nuovo presidente Felix Tshisekedi.
Le informazioni del rapporto si basano sulle dichiarazioni dei leader religiosi e sugli articoli dei media, da cui si evince che “non ci sono resoconti di atti di violenza o intimidazione contro gli ufficiali della Chiesa cattolica”, mentre “a marzo, il governo ha liberato diversi prigionieri politici Comunità Laica Cattolica che erano stati arrestati nel 2018 per aver guidato le proteste in quella che le organizzazioni non governative e altri hanno definito come azioni arbitrarie”.
FOCUS EUROPA
I vescovi di Europa ed Africa chiedono una partnership tra i due continenti “giusta e responsabile”
In vista del Sesto Summit dei leader di Unione Europea ed Unione Africana, i vescovi della Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (COMECE) e del Simposio di Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (SECAM) hanno inviato un documento congiunto per rimarcare la necessità di una partnership fondata sulla dignità dell’essere umano e chiedendo che questa sia giusta e respomsabile.
Il contributo è firmato dai due presidenti, i Cardinali Jean-Claude Hollerich (COMECE) e Philippe Naketelentuba Ouedraogo (SECAM).
I due condividono la preoccupazione per le molte persone, famiglie e comunità che vivono in situazione di stress, vulnerabilità e debolezza. COMECE e SECAM incoraggiano i politici europei ed africani ad orientare il loro lavoro preparatorio sui principi della dignità dell’essere umano, la responsabilità e la solidarietà, con particolare enfasi sull’opzione preferenziale per i poveri, la cura del creato e la ricerca del bene comune.
“Siamo fermamente convinti – si legge nel contributo, intitolato “La Giustizia fiorirà e la pienezza della Pace per sempre” – che Africa ed Europa possono diventare i motori per un rinvigorimento della cooperazione multilaterale”.
Il documento presenta anche una serie di specifiche raccomandazioni politiche con lo scopo di ridefinire le relazioni politiche ed economiche in modo da creare partnerships eque e responsabili. I vescovi europei ed africani hanno chiesto “una collaborazione per lo sviluppo umano integrale, l’ecologia integrale, la sicurezza umana e la pace per i migranti”.
Il re di Spagna ha chiamato il presidente della Conferenza Episcopale spagnola
Lo scorso 16 giugno, il re Felipe VI di Spagna ha chiamato il Cardinale Juan José Omella, arcivescovo di Barcellona e presidente della Conferenza Episcopale spagnola: ne dà notizia l’ufficio stampa dei vescovi spagnoli.
“Durante la conversazione – si legge in una nota della Conferenza Episcopale– Felipe VI ha trasmesso le sue condoglianze per i sacerdoti periti durante la pandemia e si è interessato della salute dei vescovi e dei sacerdoti contagiati e per la situazione della Chiesa in questa situazione difficile”.
Inoltre, il re ha espresso “gratitudine per il servizio prestato dalla Chiesa alla società spagnola oggi e che questo sia visibile nella memoria delle attività della Chiesa”.
Francia, i vescovi tornano sui rapporti Stato – Chiesa
Il governo francese aveva prolungato la chiusura degli eventi religiosi pubblici fino al 2 giugno, ma i vescovi francesi avevano fatto ricorso al Consiglio di Stato, vincendo. Con queste premesse, era ovvio che l’assemblea plenaria della Conferenza Episcopale Francese, che si è tenuta dall’8 al 10 giugno, si concentrasse proprio sui rapporti Stato e Chiesa.
Nel suo discorso conclusivo, l’arcivescovo Eric de Moulins-Beaufort, presidente della Conferenza Episcopale, ha ribadito che la Chiesa “non pretende di sfuggire alle leggi dello Stato” e “non rivendica privilegi”, ma solo “la libertà di vivere l’amore di Dio e l’amore del prossimo, di servire tutti gli esseri umani, qualunque sia la loro condizione sociale, di scegliere la castità o la fedeltà coniugale, di preferire la povertà alla ricchezza, di sforzarsi di trasformare l’esercizio dell’autorità in servizio agli altri”.
L'arcivescovo di Reims Beaufort ha proseguito quindi con una lunga riflessione sul periodo di confinamento che ha impedito ai fedeli di accedere ai Sacramenti e di partecipare alle Messe. Ha espresso, tra l’altro, l’apprezzamento dei vescovi per la creatività di cui hanno dato prova tanti sacerdoti e fedeli per consentire a tutti di assistere alle celebrazioni a casa. A nome dell’episcopato, ha inoltre ringraziato ancora una volta gli operatori sanitari e le tante donne e uomini che si sono prodigati in questi mesi per garantire i servizi essenziali.
Altri temi della relazione conclusiva sono stati gli abusi nella Chiesa e l’impegno dei cristiani contro il razzismo.
FOCUS AMBASCIATORI
In congedo l’ambasciatore UE presso la Santa Sede
Il 12 giugno, Jan Tombinski, ambasciatore dell’Unione Europea presso la Santa Sede, è stato da Papa Francesco in visita di congedo. Tombinski occupava il ruolo di ambasciatore presso la Santa Sede dal 2016.
Sposato con 10 figli, ha iniziato come bibliotecario e accademico, prima di entrare nella carriera diplomatica dal 1990, servendo prima a Praga, poi a Lubiana, e infine venendo nominato ambasciatore non residente in Bosnia-Erzegovina dal 1996 al 1998. Tornato al ministero degli Esteri, è stato poi ambasciatore in Francia dal 2001 al 2007, rappresentante permanente della Polonia presso l’Unione Europea dal 2007 al 2012 e capo delegazione e ambasciatore dell’Unione Europea in Ucraina dal 2012 al 2016.
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