Sofia, 08 November, 2019 / 10:00 AM
Fu come un fulmine: il muro di Berlino fu buttato giù il 9 novembre 1989, e il 10 novembre 1989 il Comitato Centrale del Partito Comunista Bulgaro sollevò Todor Zhivkov dalla posizione di segretario generale del partito, che aveva ricoperto per 35 anni. E così, anche la Bulgaria cominciò la transizione democratica. Una transizione che chiudeva una epoca difficile per la Chiesa cattolica in Bulgaria, la più silenziosa delle Chiese del silenzio.
“La Bulgaria – spiega ad ACI Stampa Bogdan Patashev, ambasciatore di Bulgaria presso la Santa Sede – è un Paese con una minoranza cattolica abbastanza piccola. Durante tutto il periodo comunista, le chiese sono rimaste sempre aperte, a sottolineare una parvenza di libertà religiosa. Ma tutto il clero è nei campi di concentramento o in prigione, è stata eliminata la gerarchia cattolica. L’obiettivo è che la gerarchia cattolica diventi nazionale e dipenda dal regime. Non ci sono state ordinazioni per 40 anni”.
È questa la situazione che ha fatto della Bulgaria la più silenziosa delle Chiese del silenzio, addirittura fuori da ogni tipo di contatto con la Santa Sede fino agli anni Settanta.
La Chiesa Oltrecortina ha vissuto di alterne vicende. In parte riguardavano il dialogo ecumenico: il rapporto con la Chiesa ortodossa bulgara dipendeva, in fondo, anche dal patriarca e dal suo approccio riguardo Roma.
Il piano del regime comunista era tuttavia semplice: eliminare tutto il clero entro il 1975, poi entro il 1980. Non ci riuscì. Solo a partire dagli Anni Sessanta, ci fu una sorta di rinnovata apertura, perlomeno nel dialogo.
La comunità cattolica di Bulgaria, in particolare quella di rito latino, ha avuto origine all’inizio del secolo XVI, grazie a un manipolo di missionari francescani provenienti dalla Bosnia. Non significa che la Bulgaria non avesse avuto periodi di cattolicità anche prima, ma poi scelse di stare con Bisanzio, e la nazione fu ortodossa da allora. A seguito della predicazione francescana, però, viene eretta, nel 1601, la sede episcopale di Sofia, che diventa sede arcivescovile nel 1644, e poi la sede vescovile di Nicopoli, la terza, se contiamo la prima, a Plovdiv.
Furono i cattolici a insorgere contro i turchi nel 1688, e la loro sconfitta distrusse l’opera dei francescani. Per secoli, la Chiesa Cattolica rimase così ai margini. Ma nel XIX secolo la comunità cattolica rifiorì, anche grazie a un movimento di unione con Roma, anche quello favorito dal risveglio nazionale.Costantinopoli, infatti, sottometteva i cristiani di lingua bulgara alla matrice greca.
Furono anni difficili. Il primo capo della comunità bulgara unita, l’arcivescovo Sokolski, consacrato personalmente da Pio IX nel 1961, fu sequestrato da agenti russi e confinato in un convento russo verso Kiev. E poi ci furono le guerre balcaniche del 1912 – 1913, e poi la Prima Guerra Mondiale.
Fu Angelo Giuseppe Roncalli, il futuro Giovanni XXIII, a dare forma e struttura alla Chiesa cattolica di rito bizantino-slavo, prima da amministratore e poi da delegato apostolico,. Ed è grazie alla sua opera che, nel periodo tra le due Guerre, la Chiesa cattolica bulgara fiorisce. Fino alla “grande prova”.
Nel 1944, la Bulgaria viene occupata dall’Unione Sovietica, il 9 settembre c’è un colpo di Stato del Fronte Patriottico. Subito, la situazione si dimostra complicatissima.
Le fonti storiche e le memorie dicono che nei primi sei mesi dopo il colpo di Stato, sacerdoti cattolici e ortodossi vengono eliminati senza processo da bande di partigiani. Nella notte tra l’1 e il 2 febbraio 1945 sono processati ed eliminati i reggenti, due terzi dei deputati, nonché ufficiali dell’esercito, medici universitari, l’élite intellettual, per un totale di 2681 condanne a morte eseguite in pochi giorni.
Molti sono preti. E questo nonostante Gheorghi Dimitrov, leader del Partito Comunista Bulgaro, tolleri la Chiesa e non attacchi mai il Vaticano nei suoi strali contro Occidente e circoli reazionari. La situazione ufficiale di non discriminazione contro la Chiesa dura fino al 1948.
Nel 1949, la svolta: viene emanata la legge sui culti, che prevedeva un controllo assoluto dell’autorità statale sulla vita l’organizzazione e l’attività della Chiesa, in particolare nei rapporti con l’estero – e quindi con la Santa Sede.
Spiega Patashev: “L’articolo 1 della Costituzione sottolineava che la Bulgaria era un Paese comunista e tutte le filosofie contro il comunismo erano perseguibili. Ne consegue che i preti potevano predicare in chiesa, ma niente altro. Da quello che leggiamo sulla stampa, il metodo del Partito Comunista è stato ed è sempre lo stesso, e si replica in Cina, in Corea del Nord: il Partito decide tutto, e dunque il Partito deve decidere anche chi sarà vescovo, chi sarà prete. In fondo, non è cambiato niente”.
Proprio sull’articolo 1 si consumò lo scontro più difficile, il 14 dicembre 1989. Ricorda Patashev: “Avevamo circondato il parlamento con l’ultimatum di non fare uscire i deputati finché non avrebbero abolito il famigerato articolo 1 della Costituzione. Si è scoperto solo dopo che c’erano i carri armati intorno, e che il leader del Partito Mladenov aveva detto, nell’emozione, che sarebbero potuti intervenire. Ma, per Divina Provvidenza, erano gli stessi leader comunisti a cercare un cambiamento, e così il clima si attutì, non ci fu spargimento di sangue.”
Torniamo alla storia. Dal 1949 in poi, nasce la silenziosa Chiesa di Bulgaria. La Chiesa viene sempre più isolata da Roma, mentre venivano chiuse una dopo l’altra le istituzioni cattoliche, a partire dai due grandi ospedali di Sofia a Plovdiv, o i collegi francesi, gli orfanotrofi, i pensionati, le biblioteche, le librerie, i conventi dei religiosi. Gli ecclesiastici venivano interrogai.
Tra molti, c’è l’esempio di tre cappuccini di Sofia, padre Damiano Gulov, Padre Robert Prushov e padre Fortunatus Bakalski, vennero messi sotto silenzio.
Il primo fu sottoposto ad interrogatori per due anni e condannato a 14 anni di lavori forzati; il secondo trascorse 15 anni in prigione; il terzo rimase in prigione appena alcune settimane, prima di essere stroncato dalle torture.
E il caso Bakalski fece capire l’aria che tirava. Cominciò l’era dei grandi processi contro la totalità del clero cattolico bulgaro, con varie condanne a morte, a padre Giosafat Scishkov, a padre Kamen Vicev e Pavel Gigiov, e al vescovo di Nicopoli Eugenio Bossilkov.
Le reazioni internazionali non si fecero attendere, e Pio XII trattò il problema nell’enciclica Orientales Ecclesias del 15 dicembre 1952. Ma nel 1953, la Chiesa cattolica bulgara aveva solo il suo scheletro, non c’erano nemmeno ordinazioni sacerdotali.
Fu negli Anni Sessanta che la Bulgaria si cominciò ad aprire al mondo.
“Negli anni Sessanta – racconta Patashev – la Santa Sede fa passi politici e diplomatici molto forti, che portano a scambi di visite di Stato”.
Ancora oggi, ogni anno, il 24 maggio, festa dei Santi Cirillo e Metodio, una delegazione del governo bulgaro si reca in visita in Vaticano. È una tradizione – cui si è aggiunta dopo la Macedonia del Nord – che nacque per iniziativa dell’ambasciatore di Bulgaria a Roma Krum Hristov nel 1968. È un primo tentativo. I rapporti tra Santa Sede e Bulgaria si raffreddano di nuovo dopo l’invasione della Cecoslovacchia da parte degli eserciti del Patto di Varsavia.
Una nuova primavera nelle relazioni diplomatiche con la Santa Sede nasce negli anni Settanta. Durante l’incontro dei ministri degli Esteri dei Paesi partecipanti alla Conferenza di Helsinki del 1973, il ministro austriaco Rudolf Kirchsachlaeger presenta il suo omologo bulgaro Petar Mladenov a monsignor Agostino Casaroli, allora segretario del Consiglio per gli Affari Pubblici della Santa Sede.
(La storia continua sotto)
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Maldenov e Casaroli si accordano per migliorare i reciproci rapporti “senza fretta”. Casaroli viene invitato a visitare la Bulgaria nel maggio 1975 e il 27 giugno Paolo VI riceve in Vaticano il Presidente della Repubblica Popolare di Bulgaria, Todor Zhivkov.
I due – recitava il comunicato vaticano dell’epoca – affrontano “oltre ad argomenti di interesse bilaterale [riguardanti cioè la Chiesa cattolica, sia di rito latino che di rito bizantino-slavo, in Bulgaria], sono state ampiamente esaminate questioni di carattere generale, relative, in particolare, ai problemi della pace e del disarmo, alla riduzione delle forze armate e alla sicurezza in Europa, al Medio Oriente e Cipro, e alla cooperazione internazionale”.
Poco dopo, Paolo VI ordina i primi due vescovi bulgari. “Fu la diplomazia pontificia – racconta Patashev – a sbloccare questa chiusura totale. I nostri dirigenti comunisti si sono un po’ aperti, cercando anche di rendere l’immagine della Bulgaria più dolce”.
E forse non è un caso che proprio Mladenov è tra quelli che organizzano la richiesta di dimissioni di Zhivkov il 9 novembre 1989. Mentre il muro di Berlino sta per cadere, la Bulgaria sta cambiando la sua storia legandosi definitivamente alle riforme dell’Unione Sovietica di Gorbaciov e abbandonando la linea ultra sovietica del suo presidente.
“I processi di transizione – conclude Patashev – sono stati lunghi, a volte lenti. Ma grazie a Dio e a molti uomini saggi, sono stati cambiamenti pacifici”.
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