Niente sarebbe stato più come prima, dopo quella rivolta di Budapest del 1956. Non sarebbe stato lo stesso per il Cardinale Jozef Mindszenty, tornato in libertà e costretto poi a rifugiarsi all’ambasciata degli Stati Uniti a Budapest per non essere stato di nuovo arrestato. Non sarebbe stato lo stesso per l’Ungheria, che sarebbe tornata sotto dominio sovietico e vi sarebbe rimasta fino a l989. Non sarebbe stato lo stesso per quanti avevano sperato che qualcosa si potesse muovere dopo la Cortina di Ferro.
Si chiama Isola Persina, ed è una isola nel cuore del Danubio, vicino alla città di Belene. Persina la più grande isola bulgara, con la sua superficie di 41,1 chilometri quadrati. Ma in quel territorio si trovava anche il più grande campo di concentramento per persone considerate politicamente pericolose dal governo comunista. Per dirlo con le parole di Padre Paolo Cortesi, passionista, parroco di Belene dal 2010 “Belene è il calvario bulgaro del XX secolo, dove decine di migliaia di innocenti hanno sputato lacrime e sangue”.
Zuzana Caputova, la presidente della Slovacchia, avrebbe dovuto avere una udienza con Papa Francesco all’inizio di giugno. Ed è probabile che la conversazione tra i due avrebbe anche toccato un pezzo di storia della Slovacchia che non va dimenticato: la cosiddetta “notte barbarica”, il brutale attacco del governo comunista ai monasteri nella notte tra il 13 e il 14 aprile 1950: ne furono distrutti 76, lasciando per strada 1200 monaci. L’operazione di distruzione proseguì con un processo che metteva sotto accusa i dirigenti della chiesa e li incarcerava. Per questo, il 13 aprile in Slovacchia è “la giornata dei perseguitati ingiustamente”.
I trenta anni dalla caduta del muro di Berlino coincidono anche con i trenta anni della Rivoluzione di Velluto in quella che allora era la Cecoslovacchia. Rivoluzione di velluto perché fu un moto di protesta non cruento, guidato soprattutto da studenti, che andò ad erodere il sistema comunista fino alle elezioni libere che portarono Vaclav Havel alla presidenza della Repubblica. Un movimento che portò alla separazione, anche questa incruenta, tra Repubblica Ceca e Slovacca.
Fu come un fulmine: il muro di Berlino fu buttato giù il 9 novembre 1989, e il 10 novembre 1989 il Comitato Centrale del Partito Comunista Bulgaro sollevò Todor Zhivkov dalla posizione di segretario generale del partito, che aveva ricoperto per 35 anni. E così, anche la Bulgaria cominciò la transizione democratica. Una transizione che chiudeva una epoca difficile per la Chiesa cattolica in Bulgaria, la più silenziosa delle Chiese del silenzio.
La beatificazione di sette vescovi greco-cattolici celebrata in Romania da Papa Francesco lo scorso 2 giugno era molto più di una Messa. Era il riscatto di un popolo, di una Chiesa che era rimasta ai margini e che doveva essere annientata. E proprio la Chiesa Greco-Cattolica era la prima vittima designata. Piccola, legata a Roma, simile alla Chiesa ortodossa per il rito, ma non legata allo Stato totalitario.
Non era solo il Paese del Cardinale Jozef Mindzenty costretto in esilio nell’ambasciata degli Stati Uniti di Budapest. L’Ungheria del periodo della Cortina di Ferro è stato anche il laboratorio della diplomazia della Santa Sede per i Paesi del blocco sovietico. Una politica che è stata descritta come Ostpolitik, con molte accezioni negative. Ma che in realtà era frutto del paziente lavoro di Agostino Casaroli, al tempo viceministro degli Esteri vaticano, che al termine di Ostpolitik non si abituò mai e non lo chiamò nemmeno martirio della pazienza, come invece fu chiamata la sua biografia.
Trenta anni fa, il regime comunista nell’allora Cecoslovacchia viene smantellato da una settimana di crescenti proteste che porteranno all’emendamento della Costituzione e al primo leader non comunista del Paese dal 1948. È la rivoluzione di Velluto, ed è un evento che può essere paragonato, per la Repubblica Ceca, alla caduta del Muro di Berlino.
Non si può comprendere l’Ucraina di oggi senza comprendere la lotta per l’indipendenza della nazione che si è tenuta dal 1917 al 1921. Si è trattato – ha detto Tetiana Izehvska, per più di dieci anni ambasciatore di Ucraina presso la Santa Sede – di “uno dei più complessi e drammatici periodi della moderna storia ucraina”, che ha “messo insieme diversi processi, incluso il consolidamento della nazione ucraina, del senso di uno Stato ucrain e della dichiarazione di indipendenza ucraina”.
Dalla “terra delle croci” alla “terra di Maria”, dalle vie commerciali che arrivavano fino a San Pietroburgo al commonwealth polacco, le tre repubbliche baltiche di Lituania, Lettonia ed Estonia vivono insieme i grandi mutamenti che fanno seguito alla Prima Guerra Mondiale, trovano insieme l’indipendenza, sono più o meno gemelle. Eppure sono differenti, e differente è stato l’approccio della Santa Sede sul loro territorio, sebbene da sempre ci sia stato un solo rappresentante che le univa. E tuttora, c’è un nunzio, con sede a Vilnius, che rappresenta la Santa Sede in Lituania, Lettonia ed Estonia.
Per i cento anni della restaurazione delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Polonia, una statua di Pio XI è stata svelata nel cortile della nunziatura di Varsavia. Prima di essere eletto Papa, Pio XI fu infatti il primo inviato papale nella ricostituita Polonia. Dovette avere a che fare con una difficile situazione, nuovi nazionalismi e conflitti e una nazione che faceva del cattolicesimo vanto nazionale. Una nazione che era riuscita appena a riconquistare una indipendenza dopo anni che era stata cancellata dalla mappa geografica.
La diplomazia pontificia al di là della Cortina di Ferro non nasce dopo la Seconda Guerra Mondiale. È, piuttosto, il frutto di un lavoro costante che la Santa Sede ha cominciato a fare dopo la Prima Guerra Mondiale, con la formazione dei nuovi Stati scaturiti dal disfacimento degli Imperi.
Da settembre 2018 a maggio 2019, Papa Francesco ha visitato sei Paesi che erano dall’altra parte della Cortina di Ferro: prima Lituania, Lettonia ed Estonia, quindi, Bulgaria, Macedonia del Nord e Romania. Ognuna di queste nazioni aveva vissuto il giogo comunista. Ognuna di queste nazioni aveva sperimentato l’ateismo di Stato. In ognuna di queste nazioni la Santa Sede aveva operato per salvare ed aiutare il gregge cattolico.
Per i sovietici erano “le spie del Vaticano”. Ma i sacerdoti formati al Russicum erano soprattutto missionari. Il loro scopo era quello di ridare alla Russia sovietica sacerdoti e una gerarchia ecclesiastica. Perché non c’è Eucarestia senza sacerdoti. E non si ordinano sacerdoti senza successione apostolica.
Nella notte tra l’8 e il 9 novembre 1989, il Muro di Berlino fu buttato giù. Era la fine della Cortina di Ferro, l’inizio di una Europa che, nelle parole di San Giovanni Paolo II, era chiamata a respirare con due polmoni. Ma quale fu il contributo della Chiesa Cattolica? E in che modo il lavoro fatto dalla Chiesa ha inciso sulla caduta della Cortina di Ferro?