Budapest, 16 September, 2019 / 2:00 PM
Ci tiene a specificare che il viaggio di Papa Francesco in Iraq nel 2020 non è ancora ufficiale. E sottolinea che l’organizzazione del viaggio sarà una grande sfida. Ma padre Rifat Bader, direttore del Catholic Center for Studies and Media in Giordania, si mostra anche fiducioso. “Se Papa Francesco verrà – dice - sarà un segno di incoraggiamento per tutti”.
Parlando dell’eventuale viaggio di Papa Francesco in Iraq nel 2020, il Cardinale Louis Rafael Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, ha detto che auspica una dichiarazione della Fraternità Umana come quella di Abu Dhabi da proclamare a Najaf. È possibile?
Già prima della visita di Papa Francesco in Marocco, scrivevo e sottolineavo la vicinanza del Papa alle nazioni arabe. Una vicinanza che è diventata maggiore dopo la cosiddetta primavera araba, l’arrivo del sedicente Stato Islamico e tutto quello che ne è conseguito che ha portato i cristiani del Medio Oriente ad emigrare in ogni parte del mondo.
Papa Francesco è atteso in Iraq?
Si tratta di un suo desiderio, e noi lo abbiamo accolto molto bene. Non dico solo le persone dell’Iraq, ma tutte le persone del Medio Oriente. Abbiamo bisogno di essere incoraggiati. Un incoraggiamento che deve venire prima di tutto per i cristiani, perché non sappiamo quante persone sono ancora in Iraq, e né possiamo saperlo, perché il movimento non si è fermato: ci sono ancora persone che vanno via, volano in Giordania, Libano, Australia che è stato un punto di approdo importantissimo per i rifugiati iracheni.
Perché c’è bisogno di un incoraggiamento?
Perché abbiamo bisogno di condividere la speranza per il futuro e ricostruire la fiducia. Speranza e fiducia: chi può incoraggiare gli iracheni più del Papa. È un grande obiettivo, non è facile, ma speriamo che il Papa venga in Iraq e venga a ricostruire.
Alcuni sostengono che la visita di Papa Francesco potrebbe anche creare dei problemi…
Non vedo come… ci sono, è vero, sfide e difficoltà nel pianificare la vista del Papa, e lo abbiamo sperimentato già quattro volte in Giordania. Partiamo dal presupposto che non tutti si renderanno felici. C’è un comitato tra Santa Sede, governo e Chiesa e locale che sta discutendo il programma. Si parla per ora di Baghdad, Mosul, Ur, che è la città di Abramo, ed Erbil, dove sono arrivati quasi tutti i rifugiati.
E Najaf…
Quando il patriarca Sako ha lanciato l’idea di Najaf, non parlava di quello che sarebbe successo. Esprimeva solo il suo desiderio. Io sono stato ad Abu Dhabi, stiamo ora lavorando a rendere concreta la dichiarazione, con tante iniziative di educazione.
L’idea del Cardinale Sako era di avvicinare un mondo sunnita che poteva sentirsi escluso da una sempre maggiore attenzione data ai sunniti…
La vicinanza con il mondo sunnita è recente. Per sette anni quasi non c’è stato dialogo. Io ho potuto partecipare alla prima sessione del dialogo con al Azhar, la più grande istituzione sunnita, al tempo in cui c’era il Cardinale Tauran. Ora credo ci sia una amicizia tra Papa Francesco e il Grande Imam, e la visita di Papa Francesco ha aiutato a enfatizzare l’importanza dello stare insieme.
Cosa c’è da fare ora nel dialogo?
Dobbiamo sentire di più la comunione. I gruppi fanatici come il sedicente Stato Islamico falliscono, e dobbiamo prendere l’opportunità, dopo il fallimento di questi gruppi, di dare una nuova luce per questa generazione, guardando al futuro in nuovi modi. Se andiamo in qualunque aeroporto del mondo, c’è paura. Non avevamo questa paura 30 anni fa. Ormai non si parla più di pace, ma di sicurezza. La sicurezza è un termine negativo. La pace viene con la libertà specialmente con la libertà religiosa, la paura è sempre lì, il tema è come possiamo fare a decrescere la percentuale di paura nel cuore di queste nuove generazioni.
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