Città del Vaticano , 26 January, 2019 / 4:00 PM
Sono stati diciotto i mesi di gestione diplomatica che hanno portato alla Giornata Mondiale della Gioventù di Panama che si sta celebrando in questi giorni. Diciotto mesi di contatti continui, tra l’entourage di Panama, quello dei Paesi limitrofi per gestire l’accesso dei giovani, e la Santa Sede, perché, per quanto si muova per un evento pastorale, Papa Francesco è anche la Santa Sede.
Questi diciotto mesi sono stati raccontati da Mirsolava Rosas Vargas, dal 2014 ambasciatore di Panama presso la Santa Sede. In questa settima, il Cardinale Pietro Parolin ha anche concesso una intervista alla Voce Isontina, delineando ancora una volta le priorità diplomatiche della Santa Sede, mentre riprendono le attività alle Nazioni Unite con un dibattito sulla questione israelo-palestinese.
I 18 mesi di gestione diplomatica del viaggio di Papa Francesco a Panama
Che Panama avrebbe avuto la Giornata Mondiale della Gioventù fu deciso, raccontano, durante un pranzo dall’Osservatore Permanente delle Nazioni Unite, nel corso del viaggio di Papa Francesco negli Stati Uniti nel 2015. Da allora, è cominciato il lavoro diplomatico dietro le quinte.
Un lavoro favorito dai rapporti tra Panama e la Santa Sede, che sono di vecchia data. Dal 1922, c’è una internunziatura dell’America Centrale, da cui dipendevano Costa Rica, Honduras, Nicaragua, El Salvador e (dal 1923) anche Panama. E dal 1933 ci sono pieni rapporti diplomatici e una nunziatura stabilita a Citta di Panama. Nel 2016, l’edificio della nunziatura è stato rinnovato e collocato in un’altra zona, per una nuova storia. La vecchia nunziatura, infatti, era stata anche quella dove si era rifugiato il dittatore Noriega, braccato dagli statunitensi, che lo convinsero ad uscire pompando musica rock con messaggi subliminali finché la sua psiche non cedette. Oggi, il nunzio della Santa Sede a Panama è Miroslaw Adamczyk, polacco: è nell’incarico dal 12 agosto 2017.
Nel corso della preparazione, l’ambasciatore di Panama presso la Santa Sede ha incontrato il Papa molte volte. C’era un altro candidato per la Giornata Mondiale della Gioventù, ed era la Corea del Sud, e l’ambasciatore Rosas Vargas ha raccontato che c’è stato bisogno di insistere molto per convincere che Panama aveva le strutture adeguate per ospitare un incontro di questo genere. In più, era stato fatto notare a Papa Francesco che era già stato in viaggio in Corea, mentre non era stato mai a Panama. E la richiesta di avere Panama come sede è stata avanzata da tutti i sei Paesi dell’America Centrale. “È stata la prima volta che sei Paesi hanno fatto una richiesta del genere a Panama in maniera congiunta”.
La preparazione ha riguardato anche delle organizzazioni pratiche. Lo scorso luglio, la vicepresidente di Panama Isabel de Saint Malo de Alvarado si era incontrata con il Cardinale Pietro Parolin in Vaticano per discutere, tra le altre cose, anche della firma del Regolamento Regionale per la gestione migratoria in eventi di massa di Paesi membri del Sistema di Integrazione Centroamericano, che permetterà di meglio gestire i movimenti di persone e le adunate.
Rosas Vargas ha anche sottolineato che i rapporti tra Santa Sede e Panama sono ora ai massimi livelli, che lo scandalo dei Panama Papers non ha influito e che anzi la Giornata Mondiale della Gioventù può “ripulire il volto del Paese”, e ha sottolineato che il lavoro di preparazione della sicurezza di Papa Francesco è stato “molto discreto”.
La diplomazia vaticana spiegata dal Cardinale Parolin
La Voce Isontina è il settimanale dell’arcidiocesi di Gorizia, ed è stato il mezzo scelto dal Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, per fare una ampia panoramica sulla situazione della Chiesa e sugli obiettivi della diplomazia pontificia.
Intervistato dal direttore Mauro Ungaro, il Segretario di Stato vaticano ha prima di tutto ricordato che i giovani riuniti alla GMG si “attendono dalla Chiesa una testimonianza di santità ordinaria, non spettacolare, ma solida e vivace”.
Parlando dello scenario internazionale, il Cardinale Parolin lo ha definito “per nulla incoraggiante”, ha ricordato lo scenario della “Guerra Mondiale a pezzi” più volte evocato da Papa Francesco, e ha sottolineato che, nell’incontro di Bari con i patriarchi e leader religiosi del Medio Oriente, Papa Francesco “ha fortemente denunciato della guerra”.
Il cardinale Parolin ha parlato anche del ruolo dei cristiani in Medio Oriente, e notato che “nonostante il loro numero stia diminuendo, essi possono ancora svolgere un ruolo significativo”. Vero è – ha aggiunto il capo della diplomazia vaticana – che “la drammatica riduzione della presenza cristiana in Medio Oriente, a causa degli eventi bellici e della diffusione di ideologie islamiste radicali, preoccupa vivamente la Santa Sede, come dovrebbe preoccupare ogni persona che ha a cuore il futuro di quella regione e dell’intera umanità”.
Il Cardinale ha anche ricordato il suo recente viaggio in Iraq, che era inteso come “un incoraggiamento al ritorno nelle terre e nei villaggi di origine”, cosa che “potrà realisticamente realizzarsi se tuti quelli che hanno ruoli e responsabilità contribuiranno a creare le necessarie condizioni di sicurezza e di vita degna”.
Lo scorso anno, il Cardinale Parolin stato anche in Serbia e Montenegro. Ha spiegato che “la Santa Sede guarda con privilegiata attenzione alla realtà globale dei Balcani occidentali e, in tale disposizione, ne segue anche il processo di integrazione nell’Unione Europea”, perché questa può “rappresentare una grande opportunità di pace e di sviluppo per l’intera Regione e contribuire a chiudere il capitolo delle divisioni che l’hanno caratterizzata dagli anni Novanta”. Ma, ha notato, “il dibattito sull’integrazione dei Balcani nell’Unione Europea avviene nel momento in cui le divisioni fra gli Stati del Vecchio Continente paiono mettere in discussione l’esistenza stessa dell’Unione. Come fare per ridare slancio e vita a quell’idea di Europa unita che profeticamente vollero statisti quali Adenauer, De Gasperi, Schumann...?”
Il segretario di Stato vaticano ha poi messo in luce che “Adenauer, De Gasperi e Schuman erano persone che consideravano la politica come una forma di carità, potremmo dire ‘un’arte’ del servizio per il bene comune”. Mentre oggi, il problema è quello del “deficit di politica”, motivo per cui ci si deve adoperare “per formare persone dedite alla politica nel senso più alto della parola. Persone con una solida preparazione culturale, desiderose di favorire la promozione integrale dell’uomo e che abbiano autenticamente a cuore il servizio del bene comune”.
Sul tema delle migrazioni, il Cardinale Parolin ha sottolineato che si deve “rispettare la complessità del fenomeno”, perché “le migrazioni sono l’esito di squilibri presenti sia nelle società da cui partono i migranti, sia in quelle che sono chiamate ad accoglierli”.
L’Europa, alle prese con un inverno demografico, tra l’altro, vive una “percezione pessimistica del futuro, che ha favorito un certo rovesciamento della scala delle priorità”, dice il Cardinale, “per cui, si preferisce ‘investire’ tempo, energie e risorse prioritariamente in cose di più immediata fruibilità, prima che investire sul futuro, sulla nuova vita che sboccia e che richiede amore, cure, dedizione e sacrificio”.
È come, insomma, “se la paura si fosse fatta più forte della speranza”.
I migranti, dal canto loro “ci mettono dinanzi allo specchio: “siamo capaci di compassione e di solidarietà verso il prossimo in difficoltà? Siamo capaci di fidarci del Signore e di non pretendere di controllare tutto, prima di donarci al prossimo, alla società, a Cristo? Siamo capaci di ringraziare Dio per non essere noi nelle condizioni di dover emigrare, come invece hanno dovuto fare le generazioni passate? Sicurezza dei cittadini e bisogno di chi fugge da situazioni di pericolo paiono essere inconciliabili: quali strade deve percorrere la Politica per permettere a queste due esigenze di procedere insieme?”
Il Cardinale Parolin lascia alla politica “il non facile compito di individuare e porre in atto soluzioni equilibrate a situazioni complesse”, con la necessità di portare avanti una “intelligente collaborazione per la sicurezza di tutti”.
“La politica – sottolinea il Segretario di Stato - ha l’onere e l’onore di governare i problemi senza agitare paure che diventano sorgente di odi e violenze e senza rinunciare a confrontarsi con tutte le implicanze del fenomeno migratorio.
Sul tema degli abusi, il Cardinale Parolin ha sottolineato che “la grande maggioranza dei sacerdoti, dei vescovi e degli operatori pastorali compiono con abnegazione il loro lavoro, non risparmiando fatiche e non sottraendosi ai sacrifici. Sarebbe grave se la presenza di un male, seppure orribile come la piaga degli abusi, ci facesse distogliere lo sguardo dalla quotidiana, silenziosa e costante testimonianza di carità e rettitudine che tantissimi uomini e donne di Chiesa offrono. È più che doveroso combattere il male con tutti i mezzi disponibili, a partire da un’attenzione del tutto speciale alla formazione del Clero, ma non possiamo dare l’impressione che esista solo il male, il patologico, come se esso pervadesse ogni cosa”.
I nunzi di Corea e di Ucraina da Papa Francesco
(La storia continua sotto)
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Il 21 gennaio, Papa Francesco ha ricevuto gli arcivescovi Claudio Gugerotti, nunzio apostolico in Ucraina, ed Alfred Xuereb, nunzio apostolico in Corea e Mongolia. I due “ambasciatori del Papa” sono venuti per le regolari visite. Le situazioni dei Paesi in cui rappresentano la Santa Sede sono però oggetto di particolare attenzione per la diplomazia pontificia.
L’arcivescovo Xuereb rappresenta il Papa in Corea del Sud. Più volte, la diplomazia pontificia ha chiesto dialogo e riconciliazione nella penisola coreana, e sono stati molti i passi fatti in questa direzione. L’attenzione per la Corea del Sud è stato particolarmente attestato da un recente viaggio nel Paese dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati. A novembre, poi, il presidente Moon è stato in visita da Papa Francesco, portandogli un invito del leader della Corea del Nord Kim a visitare il Paese.
Possibile che la questione sia stata al centro dei colloqui del Papa e del suo nunzio. Difficile che il Papa possa passare dalla Corea del Nord, nemmeno in caso di una tappa durante la rotta verso il Giappone a novembre. Prima di tutto, manca un invito ufficiale da parte della Corea del Nord, ha spiegato recentemente il vescovo Kim, presidente della Conferenza Episcopale di Corea. E, in secondo luogo, è difficile anche capire quale sia la reale situazione in Corea del Nord, anche perché – come ha segnalato recentemente il rapporto World Watch List di Open Doors – la Corea del Nord è un posto chiuso, dove persino possedere una Bibbia è reato.
Diversa la situazione dell’Ucraina, affrontata dal Papa con l’arcivescovo Gugerotti. Un comunicato della nunziatura di Kiev sottolinea che “nel corso dell’incontro il Santo Padre ha mostrato di seguire quotidianamente e con profonda partecipazione gli eventi che segnano la vita dell’Ucraina, particolarmente a Lui cara”.
Papa Francesco si è poi “soffermato sulla delicata condizione dei rapporti interni all’Ortodossia, sul contributo che le Chiese cattoliche in Ucraina recano al bene del Paese, sul clima politico e sociale, in particolare sulla necessità di compiere ogni tentativo per favorire l’intensificarsi degli sforzi di pace nel dialogo, per il benessere dei cittadini nell’impegno per migliorare le condizioni di tutti e per il pieno esercizio della libertà religiosa”.
La Santa Sede guarda con attenzione la situazione che si è creata in Ucraina, dove l’autocefalia concessa alla Chiesa ortodossa locale ha creato una spaccatura tra il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli e il Patriarcato di Mosca, che considera Kiev suo territorio ecclesiastico. Ovviamente, la Santa Sede considera la questione interna al mondo ortodosso, e non ha intenzione di prendere posizione. Mentre si parla, in generale, di un gesto che Papa Francesco potrebbe fare nei confronti della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, unita con Roma, cui il Papa è unito da un certo affetto dai tempi argentini, sia quando imparò la divina liturgia da padre Chmil, sia quando per un periodo si trovò a collaborare con l’allora eparca di Buenos Aires, l’attuale arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk.
La Santa Sede all'ONU: il dibattito sulla situazione in Medio Oriente
Riprendono le riunioni alle Nazioni Unite. Lo scorso 22 gennaio, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha ospitato un dibattito aperto sulla situazione in Medio Oriente, inclusa la questione palestinese. Anche la Santa Sede ha preso parte al dibattito.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di New York, ha sottolineato che la situazione tra Israele e la Palestina può essere paragonata a “un fiore delicato che lotta per fiorire su un sassoso terreno di violenza”. La Santa Sede ha chiesto sia a Israele e Palestina di far ripartire il dialogo verso una soluzione dei due stati, e sottolineato la “fondamentale importanza” di luoghi santi di Gerusalemme. Nell’intervento, è stata anche affrontata la situazione umanitaria di Gaza, e l’aiuto da dare ai rifugiati palestinesi. L’Osservatore della Santa Sede ha anche lodato Libano e Giordania per la sua generosità nell’accogliere i rifugiati siriani.
La Santa Sede all'ONU: Giornata Internazionale dell’Educazione
Il 24 gennaio è stata celebrata la prima Giornata Mondiale dell’Educazione, stabilita da una risoluzione dell’assemblea generale delle Nazioni Unite votata il 3 dicembre 2018. Papa Francesco la ha menzionata nell’Angelus del 20 gennaio. È una delle 159 giornate internazionali celebrate alle Nazioni Unite
Per l’occasione, l’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, ha rilasciato una dichiarazione per l’occasione. Il nunzio ha detto che la giornata è una “opportunità per celebrare l’educazione come un bene in se stesso, e un elemento cruciale nello sviluppo integrale e nella costruzione e il mantenimento della pace e della sicurezza”.
L’educazione – ha ricordato l’arcivescovo Auza – è uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’agenda 2030, ed è cruciale se si considera che “120 milioni di bambini non hanno accesso all’educazione primaria e secondaria e altri 130 milioni vanno in scuola che a malapena possono essere chiamate tali.
L’impegno della Chiesa è concretamente visibile nelle 220 mila scuole pre-universitarie in tutto il mondo, che educano più di 65 milioni di bambini e giovani, molti dei quali non sono cattolici, e assistono genitori e Stato nell’educare la prossima generazione.
L’arcivescovo Auza ha quindi enfatizzato che l’educazione è più della mera istruzione, perché riguarda anche la formazione del carattere.
La Santa Sede alle Nazioni Unite: il dibattito sul clima
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha tenuto il 25 gennaio un dibattito su come affrontare gli impatti dei disastri relativi al clima nella pace e sicurezza internazionale.
Intervenendo al dibattito, l'arcivescovo Auza ha sottolineato come i disastri del clima colpiscono in eguale misura nazioni ricche e nazioni povere, ma quelle povere pagano i rischi più alti.
L'Osservatore della Santa Sede ha anche messo in un luce una serie di recenti eventi climatici estremi, che hanno causato "perdita di vita e ingenti costi per la ricostruzione", nonché una destabilizzazione dovuta alla "mancanza di accesso al cibo e all'acqua pulita e ai movimenti dei popoli". L'arcivescovo Auza ha quindi messo in luce che il recente Rapporto Speciale del Panel Intergovernativo del Cambamento Climatico ha dato raccomandazioni su cinque elementi essenziali per una risposta globale al cambiamento climati. Cinque punti sui quali si deve agire urgentemente, per seguire quella che Papa Francesco ha chiamato conversione ecologica.
La Santa Sede e la crisi in Venezuela
Di fronte alla crisi in Venezuela, che ha causato fino ad ora 26 vittime, la Sala Stampa della Santa Sede ha fatto sapere il 24 gennaio, con una dichiarazione del direttore ad interim Alessandro Gisotti, che “il Santo Padre, raggiunto a Panama dalle notizie provenienti dal Venezuela, segue da vicino l’evolversi della situazione e prega per le vittime e per tutti i Venezuelani. La Santa Sede appoggia tutti gli sforzi che permettano di risparmiare ulteriore sofferenza alla popolazione”.
Andava in questa direzione la presenza di un addetto della nunziatura alla cerimonia di insediamento del presidente Maduro: monsignor Kovakook non era il nunzio, e questo testimoniava che la Santa Sede non appoggiava il governo, ma allo stesso tempo con la sua presenza teneva aperto un canale di dialogo necessario per potere sostenere la popolazione cattolica in un momento difficile.
La posizione diplomatica della Santa Sede è controbilanciata dalla presenza dei vescovi, che non hanno mancato di dichiarare illegittima l’elezione di Nicolas Maduro e allo stesso tempo hanno incoraggiato le persone a protestare.
Ora, dopo l’autoproclamazione a presidente ad interim di Juan Gaidò, leader dell’assemblea nazionale del Venezuela, avvenuta il 23 gennaio, c’è stata una gigantesca marcia pacifica a Caracas. La situazione si è fatta tesa, perché alcune nazioni hanno riconosciuto la presidenza Gaidò, ma non altre, e l’esercito ha appoggiato Maduro. Gaidò ha giurato sulle basi dell’articolo 233 della Costituzione Nazionale, che dà facoltà all’organo legislativo di prendere le funzioni dell’esecutivo quando la presidenza è vacante, e la presidenza è stata considerata vacante perché Maduro non ha giurato davanti l’assemblea nazionale.
Le proteste hanno creato una repressione, che ha causato vittime. La Commissione Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale del Venezuela ha esortato i diversi corpi di sicurezza dello Stato a rispettare i cittadini che partecipano nelle diverse manifestazioni pubbliche. I vescovi hanno anche sostenuto che l’Assemblea nazionale è l’unica eletta con voto libero e democratico del popolo, e quindi l’unico organismo legittimao ad esercitare il potere. In una nota ancora più recente, diramata il 25 gennaio, la Commissione Giustizia e Pace ha chiesto "in nome di Dio e del popolo che soffre: cessi la repressione".
Verso un viaggio di Papa Francesco in Madagascar?
L’arcivescovo Paolo Gualtieri, nunzio apostolico in Madagascar, ha avuto lo scorso 23 gennaio un incontro con Adnry Rajoelina, presidente del Paese africano. L’agenda dell’incontro - cui hanno partecipato anche l’arcivescovo di Antananarivo Odon Marie Arsene Razanakolona, e il presidente della Conferenza Episcopale locale Marie Fabien Raharilamboniaina – ha riguardato i rapporti tra Santa Sede e Vaticano e la prossima visita di Papa Francesco. Fu il cardinale Desiré Tsarazhana ad annunciare che il Papa avrebbe visitato il Madagascar nel 2019 durante il Sinodo 2018.
L’arcivescovo Gualtieri ha offerto la collaborazione della Chiesa nello svolgere i compiti di presidente, e si è parlato di un consolidamento delle relazioni tra Madagascar e Santa Sede. Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, è stato in Madagascar a gennaio 2017.
La questione cinese
C’è molta attenzione da parte della diplomazia pontificia sulla questione della Cina, e ovviamente tutti gli attori in campo si sentono coinvolti. Taiwan è molto preoccupata che, a partire da questo accordo, la Santa Sede via via sciolga i legami con Taipei, per allacciarli invece con Pechino. La Santa Sede, da parte sua, ha sempre rassicurato Taiwan. Dopo vari eventi vaticani che si sono succeduti nell’isola, e dopo i festeggiamenti per i 75 anni di relazioni ininterrotte tra Taiwan e Santa Sede durante i quali l’arcivescovo Gallagher ha rassicurato Taipei, un ulteriore segno di attenzione è stata la nomina del Cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ad inviato speciale del Papa al Congresso Eucaristico di Taiwan, che si terrà a marzo 2020. Una decisione ben accolta dal ministero degli Esteri di Taiwan, che, in una nota dello scorso 7 gennaio, ha espresso gratitudine per la scelta del Papa, che dimostra “le relazioni forti e cordiali tra Taiwan e la Santa Sede”.
Una recente intervista al professore Liu Guonpeng della Accademia Cinese delle Scienze Sociali (CASS) ha creato terreno per un’altra controversia. Un articolo della Central News Agency di Taiwan ha sostenuto che il CASS è affiliato al Consiglio di Stato, e dunque è una voce ufficiale, e sottolinea che l’accordo confidenziale sulla nomina dei vescovi andrebbe contro la Costituzione cinese, perché, secondo quanto viene detto, garantirebbe al Papa il potere finale sulla scelta dei vescovi, e questo va contro il fatto che lo Stato non ha leadership finale su tutto, come stabilito.
La questione resta aperta, perché l’articolo di Taiwan poneva un problema quasi senza soluzione: se la Santa Sede avesse negato di avere l’ultima parola sui vescovi, questo avrebbe creato ulteriori diatribe nel mondo cattolico, già preoccupati dalla natura dell’accordo; se non avesse detto niente, avrebbe comunque supportato le polemiche cinesi.
Il sostegno dell’Ungheria al progetto “Ospedali aperti”
Lo scorso 22 gennaio, il Cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, è stato a Budapest, dove ha ricevuto dal Primo Ministro Viktor Orban il contributo dell’Ungheria al programma “Ospedali Aperti”, una somma di 1 milione 500 mila euro.
Il contributo fa parte dell’impegno dell’Ungheria per le famiglie bisognose e le comunità del Medio Oriente. Il 21 gennaio, il Cardinale Zenari ha illustrato la situazione della Siria in un convegno organizzato nell’Aula Magna dell’Università Cattolica Peter Pazmany di Budapest. Il convegno è stato organizzato in collaborazione con la Segreteria per l’Aiuto ai Cristiani perseguitati e il programma Hungay Helps del governo ungherese. Presenti, tra gli altri, l’arcivescovo Michael August Blume, nunzio apostolico in Ungheria, Tristan Azbej, segretario di Stato per l’Aiuto ai Cristiani perseguitati, e Balazs Orban, segretario di Stato alla presidenza del Consiglio ungherese. Azbej ha sottolineato che “nell’aiutare la Siria il Governo ungherese persegue due obiettivi: contribuire a salvare vite e dare un futuro alle persone.”
Da parte sua, il Cardinale Zenari ha ricordato l’esodo dei cristiani dalla Siria: erano il 25 per cento dopo la Seconda Guerra Mondiale, poi sono diventati il 5 – 6 per cento e ora sono il 2 per cento. Il Cardinale ha notato che le Chiese del Medio Oriente rischiano di morire non per la mancanza di chiese, ma perché gli uomini vanno all’estero.
Il Segretario Generale della Fondazione AVSI Giampaolo Silvestri, che ha accompagnato il Cardinale Zenari a Budapest, nell’ambito del convegno ha presentato l’operato della Fondazione e, in particolare, il programma “Ospedali Aperti” da essa gestito. La delegazione è stata ricevuta, inoltre, dal Cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Esztergom-Budapest e dal Vice Primo Ministro Zsolt Semjén.
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