venerdì, novembre 22, 2024 Donazioni
Un servizio di EWTN News

Libano, un progetto per i bambini rifugiati perché riprendano in mano il futuro

Libano, due bambini si tengono per mano durante un momento di ricreazione in una delle scuole sostenute dal progetto "Back to the future"

Nelle case di Beirut, ci sono ancora le cicatrici della guerra che negli Anni Ottanta ha imperversato nella città. Se oggi il Libano è un laboratorio di convivenza, con una vita sociale e politica cadenzata e caratterizzata da una precisa suddivisione dei compiti politici tra maroniti, cattolici e musulmani. Ma l’equilibrio fragile è segnalato proprio dai fori dei proiettili che si trovano ancora nelle serrande di alcune case, o nei muri dei quartieri centrali.

È in questa situazione che sono arrivati più di 1,2 milioni di rifugiati, in fuga dal conflitto in Siria. La popolazione del Libano è cresciuta così di un quarto. I campi rifugiati esistono, ma non vengono mostrati. Sono illegali, perché i rifugiati non vengono registrati.

Il Libano si è trovato ad affrontare praticamente da solo questa grande ondata di rifugiati. Incontrando la Fondazione Maronita lo scorso novembre, e nel 2017 il presidente del Libano Michel Aoun, Papa Francesco ne ha lodato l’impegno per l’accoglienza. Ma come può il Libano portare avanti tutto questo impegno?

C’è un gruppo di Ong, in Libano, che ha lanciato il progetto “Ritorno al Futuro”. Si tratta di un consorzio, costituito dalla Fondazione AVSI, da Terres des Hommes Italia e Terres des Hommes Netherlands e War Child Holland, e il progetto è finanziato dal Madad Trust Fund dell’Unione Europea.

Back to the future è un progetto destinato ai bambini e ragazzi, quelli che sono rimasti più colpiti dalla guerra. Secondo le statistiche, 450 mila rifugiati in Libano hanno tra i 3 e i 18 anni, e il 60 per cento di loro non va a scuola.

Il progetto Back to the Future si compone di molte attività. Prima di tutto, i bambini che sono partiti a causa della guerra non hanno potuto frequentare la scuola per uno, due o tre anni. Un primo passo è quello di reinserirli nel sistema scolastico. In particolare, devono imparare inglese e francese, perché sono queste le lingue in cui si insegna, in Libano.

Non solo. Molte scuole sono fatiscenti, molti edifici utilizzati per una educazione informale dei rifugiati non possono sostenere il peso. Mancano sussidi. Mancano trasporti. Manca cibo per la scuola.

Poco fuori Tripoli, nel Nord del Libano, quasi al confine, c’è l’Anwar Minieh Center. I bambini siriani possono seguire corsi nel pomeriggio, trasportati lì da volontari.

Manar ha tre bambini che frequentano il centro. “Vivo in un campo rifugiati, ed è stato lì che ho incontrato dei volontari – racconta – Questi mi hanno chiesto dei miei bambini, e ho raccontato loro che i miei bambini sono stati rifiutati dalle scuole. E allora mi hanno spiegato che c’era la possibilità di portarli in questa scuola. Ora, i bambini hanno frequentato corsi per circa tre mesi, e ne traggono molto beneficio. Hanno cambiato il loro umore e il loro approccio verso gli altri”.

Il percorso non è semplice, ovviamente. Moltissimi sono i bambini che hanno abbandonato la scuola. In molti hanno cominciato a lavorare giovani, alcuni hanno vissuto anche matrimoni infantili.

Il progetto si porta avanti anche con l’aiuto del governo libanese. Sonia Khoury è capo dell’Unità Speciale del Ministero dell’Educazione per la Crisi Siriana. Spiega che “la grande sfida è data dal grande numero di bambini rifugiati distributi in tutta la nazione. Non è facile trovarli, e convincerli della necssità di proseguire il loro percorso educativo”.

Aldakour ha sottolineato che il governo ha potuto includere nel sistema educativo 220 mila bambini nelle scuole pubbliche e circa 60 mila nelle scuole private, e negli altri casi ci sono bambini in educazione non formale, che sono circa 100 mila”.

Sono cifre che colpiscono, e che fanno comprendere il grande lavoro fatto per fare fronte all’esigenza.

Nel centro di Tripoli, poco lontano dal suk, che è il mercato centrale, c’è una scuola chiamata Al Takaddom. Anche lì è arrivato il progetto back to the Future. La scuola è frequentata da bambini dai 4 ai 13 anni, e per Diana Bahjat Sarry, la preside, il problema non è solo dare educazione, perché – spiega – “c’è bisogno prima di tutto di dare supporto psicologico per aiutare i bambini ad integrarsi a scuola. Non è facile. Alcuni di loro vivono ancora nei campi rifugiati”.

Si nota, questo, dagli occhi dei bambini. Per i quali progetti come Back to the Future sono cruciali. Lo spiega bene Ruhyia, che ha sei bambini, due dei quali impegnati nell’Anwar Minieh center.

“Durante il primo anno di guerra – racconta Ruhyia – siamo rimasti in Siria, nonostante i bombardamenti Poi, siamo fuggiti, e abbiamo passato illegalmente il confine con il Libano. Sono in Libano dal 2013. Uno dei miei bambini ha 13, ma non ha mai potuto partecipare alle attività del centro- Ha un forte trauma a causa della guerra, ha persino paura di venire a scuola con lo scuolabus”.

Ma quale è l’impatto del progetto Back to the Future? Ci sono 22 centri di educazione comunitaria in tutto il Libano, e le attività coprono dalla educazione infantile alla alfabetizzazione di base, fino al supporto linguistico, l’aiuto per i compiti, le classi di recupero.

Fino ad ora, il progetto ha raggiunto il 70 per cento dei 10.915 bambini che sono fuori da scuola e il 50 per cento dei bambini che sono invece inseriti nel sistema scolastico. In più, si è lavorato per la ristrutturazione di alcune scuole. Ne sono state individuate otto, quattro nelle regioni del Sud e nel Sabatieh, e quattro in Nord Libano. La ristrutturazione delle ultime quattro scuole è ancora da completare.

Il consorzio è finanziao dal Madad Fund.

Christina Lassen, capo della delegazione dell’Unione Europea in Libano, spiega ad ACI Stampa che l’UE è da sempre presente in Libano, ma che la sua presenza, con lo scoppiare della crisi siriana, è aumentata, e che ora “si fanno 6, 7 giorni di assistenza in più al mese di quelli che si facevano nel 2011, perché i bisogni sono enormi, e l’impatto economico è stato ‘soft’, per così dire, soprattutto grazie all’assistenza che è arrivata dall’Unione Europea”.

Certo, i rifugiati libanesi sono lontani dalla Kornish, il quartiere centrale di Beirut sul Mar Mediterraneo, dove vengono costruiti palazzi modernissimi e praticamente disabitati. C’è un Libano a due velocità, probabilmente preoccupato dall’arrivo dei rifugiati.

Eppure, questi hanno bisogno di poco. Tutti dicono che vorrebbero tornare in Siria. Tutti dicono che chiedono solo di dare i bambini una possibilità di studiare. È in questo modo che possono restituire ai loro figli il futuro.

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