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Papa Francesco in Sudamerica, per lui la musica e la storia delle reducciones

Reduccion de San Ignacio

Si chiamavano Ignacio Paica e Gabriel Quinì, e divennero grandi costruttori ed esecutori di strumenti musicali. Venivano dal popolo guaranì, e fino a poco tempo prima non avevano nemmeno l’idea che potessero esistere strumenti come l’organo. Ma impararono nelle reducciones dei Gesuiti. Vere e proprie comunità che i padri arrivati in missione nei territori del Paraguay, e parzialmente di Brasile e Argentina, avevano costruito per civilizzare il popolo guaranì. Non una storia di mera evangelizzazione, ma una storia di progresso. Che terminò brutalmente con la cacciata dalla Compagnia dal Sudamerica. Ci sarà tutto questo nelle orecchie di Papa Francesco, quando ascolterà, il 10 luglio, arrivato in Paraguay la musica composta nelle reducciones.

I maestri del popolo guaranì furono figure come Domenico Zipoli (Prato1688 – Córdoba 1726), il celebre compositore toscano fattosi anche lui gesuita e missionario, o padre Antonio Sepp (Caldaro 1655 – San José 1733), il quale arrivò con un carico di strumenti musicali alla reduccion de los Santos Reyes de Yapeyù (che contava 3 mila indios musicisti tra i 30 villaggi che la formavano) e si mise a costruire un organo con pedaliera, per il quale  non avendo stagno a sufficienza – utilizzò legno levigato per le canne maggiori.

“Questi indios Paraguaiani – scrisse padre Sepp  in una lettera – sono, di natura, come creati per la musica, in modo che apprendono   la tecnica di suonare tutti i tipi di strumenti con sorprendente facilità e destrezza e questo in un   tempo brevissimo”.

Forse perché la musica è il miglior contatto verso il cielo, e il popolo guaranì, in fondo, aveva lo sguardo rivolto verso il cielo. Nomadi, erano continuamente in cerca della “terra priva di male”, Ywy-mara-ey, una sorta di paradiso terrestre. Ma vivevano praticamente all’età della pietra. Per raggiungere il loro paradiso, sterminavano le tribù con i quali erano in guerra, praticavano il cannibalismo, e vivevano in uno stato di guerra costante e senza progettare il futuro. Non c’erano raccolti, non c’era una semina. C’era il presente, e basta. A loro, i padri gesuiti rivolsero la loro predicazione quando arrivarono in Sudamerica, nel XVII secolo.

La storia delle reducciones non va intesa come una storia di evangelizzazione. I gesuiti, appena arrivati, si guardano bene dal mettere in discussione le tradizioni degli indios, anche su indicazioni di Propaganda Fide, che oggi si chiama Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e che nel 1659 chiede ai padri di guardarsi “da qualsiasi progetto inteso a far abbandonare a quelle popolazioni i loro riti, le loro usanze ed i loro costumi”.

Le prime “Riduzioni” erano così molto vaste, costruite in legno e paglia, per lasciare i guaranì il più possibile vicini al loro modo di vivere. All’inizio, si cerca solo di insegnare gli indios a vivere in una casa singola, invece che nella grande capanna comune in cui erano soliti dormire e ripararsi. Un passaggio importante, che i gesuiti vivono con preoccupazione: lo accetteranno? I guaranì guadagnano senza difficoltà le loro abitazioni personali.

Così il modello fu modificato, man mano che crebbero le nuove generazioni nate all’interno delle missioni, fino all’adozione della struttura definitiva, che troviamo consolidata a partire dalla fine del XVII secolo.

Piano piano, le reducciones assumono una struttura organizzata, i gesuiti  mettono in piedi un modello di vita che si basa sul Vangelo, con l’obiettivo di creare una società nuova, senza i vizi della società occidentale, e predicano Gesù Cristo, nel quale i guaranì trovano un po’ di paradiso in terra, in quel Sudamerica pieno di avventurieri e approfittatori, che arrivano da ogni parte d’Europa per sfruttarne gli immensi terreni vergini.

La schiavitù è quasi un approdo naturale per le popolazioni indigene. Eppure, la Chiesa da almeno un secolo predica i diritti umani e la totale eguaglianza degli abitanti delle “Indie”, bolle ed encicliche papali hanno imposto la liberazione degli schiavi e l’uguaglianza totale di ogni uomo.

Di questo lavoro per lo sviluppo umano integrale, le reducciones sono un esempio. Gradualmente, i padri insegnano un modo diverso di vivere. Per due anni – scrivono – chiudono un occhio “sul sesto e sul nono comandamento”. La poligamia è una pratica diffusa, e pure l’alcolismo è un’abitudine che è molto difficile far perdere.  

L’alcolismo viene superato con la produzione del mate, la bevanda amarognola che è ancora un simbolo di amicizia e comunità in America Latina. Anche la poligamia viene assorbita gradualmente, anche grazie a un Papa illuminato, Urbano VII, il quale risponde ai gesuiti che gli chiedono se è lecito permettere agli indigeni di sciogliere il matrimonio e trovarsi una nuova moglie come vorrebbero di assecondare le loro inclinazioni, valutando volta per volta.

Così venivano organizzate le reducciones: ogni famiglia dei Guaraní riceveva un appezzamento di terra da coltivare per uso privato denominato nella lingua dei nativi “abani-mbaé” (la terra dell’indio). Due giorni alla settimana erano tuttavia dedicati alla coltivazione del “tuba-mbaé” (la terra di Dio), proprietà comune i cui proventi erano destinati al sostentamento dei poveri e dei malati. I missionari favorirono uno sviluppo progressivo e non traumatico del sistema di vita degli indios che, da cacciatori, divennero agricoltori ed allevatori. Il sistema di governo era di tipo democratico. La scuola obbligatoria per tutti dai 5 ai 12 anni, mentre in Europa studiare era un lusso. 

I padri gesuiti furono anche grandi maestri d’artigianato, che veniva portato fuori dalle missioni. Ad esempio, nella chiesa dell’Università Montserrat di Córdoba (la seconda città dell’Argentina), fondata dai Gesuiti nel 1613, si può notare  la bellezza delle opere in legno intagliato dagli artigiani indigeni e trasportato per una distanza di 1,600 Km, a dorso di mulo, dalla foresta pluviale fino alla pampa.

Mentre i guaranì pensavano al cielo, ma avevano ormai una organizzazione che faceva loro tenere i piedi ben saldati in terra, ci pensò padre Buenaventura a tenere gli occhi fissi sul cielo. Arrivato missionario nelle terre del Guaranì, si procurò legno, ferro, vetro e quant’altro per costruire un osservatorio astronomico. E da lì, con gli occhi rivolti al cielo, fece mappe astrali, disegnò calendari e fece studi che divennero diffusissimi in Europa.

Non c’era solo l’Osservatorio astronomico. C’era anche la prima tipografia dell’America Latina, da cui uscirono stampati il martirologio in latino, ma anche opere nella lingua locale. Perché i gesuiti avevano appreso l’idioma locale, impararono a scriverlo traslitterandolo in caratteri latini e insegnarono ai guaranì a scriverlo a loro volta. E questi erano scrittori, stampavano libri. Di tutte le lingue indie, il guaranì è l’unica sopravvissuta: Benedetto XVI l’ha usata nel 2007, salutando un gruppo proveniente dal Paraguay nel messaggio Urbi et Orbi di Natale.

E poi, si sviluppò il commercio e l’agricoltura. La raccolta del mais, del grano e del riso vi si alternava anche quattro volte all’anno. Il cotone veniva coltivato in tre varietà e prodotto secondo una media annua di duemila balle di undici chili e mezzo per ogni riduzione. Il vino dei vigneti paraguaiani era esportato a Buenos Aires e in tutta la zona del Plata, e il tabacco locale, oltre a essere anch’esso esportato in quantità, godeva di stima pari a quello dell’Avana.

Dopo la cacciata dei Gesuiti, nel 1768, le attività agricole, l’allevamento e l’artigianato furono abbandonate nel giro di una manciata di anni, ed i Guaraní si ridussero ai meno di quarantamila censiti nel 1802.

Contrariamente a quel che si crede comunemente, l’indipendenza dei paesi latino-americani non favorì più di tanto la causa delle comunità indigene. Le nuove classi dirigenti erano espressione del ceto medio dei Criollos interessato ad esercitare il commercio e lo sfruttamento delle proprietà senza più obblighi (e vincoli) nei confronti della corona.

Non poche volte si affermarono interessi commerciali stranieri, soprattutto britannici. L’adesione a qualche loggia massonica di importazione, il comando di qualche reparto militare, il nudo possesso dei latifondi si imposero fin da subito come gli unici criteri di selezione delle classi dirigenti delle ex colonie, dando così inizio a quella tormentata vicenda di pronunciamientos militari ecaudillos privi di legittimazione politica e culturale, che ha caratterizzato da sempre la vita politica delle nazioni latino-americane fino alle epoche più recenti.

E dire che invece i gesuiti della Reducciones si batterono con forza per salvare i guaranì dalla schiavitù.

Tra il 1628 e il 1631 i capi bandeirantes arrivarono a cercare manodopera e fecero diverse incursioni. I gesuiti si attivarono: Antonio Ruiz de Montoya e Francisco Diaz Tano partirono per la Spagna per informare re Filippo IV delle incursioni nelle missioni, e il sovrano permette loro di addestrare i guaranì ad usare armi da fuoco. Dal canto suo, Papa Urbano VII emise una bolla che condanna duramente le bandeiras e il traffico di indigeni. In Brasile non la presero bene, espulsero i gesuiti dalla nazione e organizzarono altre spedizioni.  I missionari crearono un esercito ancora più numeroso, attrezzato ed organizzato. Le forze bandeirantes attaccarono l’11 marzo 1641, nella cosiddetta battaglia di Mbororé, ma si trovarono di fronte un esercito enorme. Si ritirarono definitivamente e la vittoria consolidò le riduzioni gesuite e frenò l’avanzata colonialista portoghese

Quando nel 1750 il Trattato di Madrid assegnò al Portogallo la gran parte dei territori della República Guaraní, la sopravvivenza stessa delle missioni risultò a rischio come non mai,data la forte influenza sulla politica portoghese esercitata a quel tempo dalla massoneria e da uno dei suoi più significativi esponenti: Sebastião José de Carvalho e Melo, Marchese de Pombal.

Ciò significò l’espulsione della Compagnia di Gesù da tutti i territori di quel vasto impero coloniale che ora comprendeva anche la regione in cui si trovavano le Reducciónes. I cacciatori di schiavi non aspettavano altro: venuta meno, anche formalmente, la protezione del re di Spagna, organizzarono vere e proprie spedizioni militari per cancellare del tutto le missioni e restituire gli indios al loro destino servile. Alcune spedizioni sarebbero state finanziate da quella “Companhia Geral de Comércio do Grão-Pará e Maranhão” della quale il tanto celebrato filosofo Voltaire fu uno degli azionisti.

Così fu sradicato il nuovo cristianesimo nato in Paraguay, nonostante gli indigeni avessero chiesto –  in una commovente lettera al governatore spagnolo – di non essere ceduti ai portoghesi, né agli spagnoli, dei quali non piaceva “il modo di vivere senza solidarietà”. Quella solidarietà che era loro garantita dai padri gesuiti.

(La storia continua sotto)

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