Poznan, 20 September, 2018 / 9:00 AM
Tra Chiesa e Stato ci sia una “collaborazione onesta e leale”, non una “separazione ostile”, con la consapevolezza che la Chiesa serve l’uomo, e non può tacere la verità: è l'appello del Cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee. Il Cardinale delinea con ACI Stampa il rapporto tra Chiesa e Stato al termine della plenaria dei vescovi europei, che si è tenuta a Poznan dal 13 al 16 settembre. Tema principale dell’assemblea era la solidarietà.
Su cosa vi siete confrontati durante questi giorni a Poznan?
Abbiamo parlato di solidarietà, che si esprime e si concretizza nel volontariato. Una indagine che abbiamo commissionato ci ha mostrato che la Chiesa cattolica è attualmente l’organismo che ha il più alto numero di volontari in tutto il continente. Non è un motivo di vanto, per noi. Piuttosto, ci fa sentire una responsabilità maggiore Riteniamo che il volontariato non sia soltanto un servizio a tante necessità, ma anche un modo per far crescere la persona, sia i volontari che la società, che trova nel volontariato una ricchezza.
In che modo il volontariato va a toccare i rapporti tra Chiesa e Stato?
Nel rispetto reciproco dei due enti, Stato e Chiesa, c’è una collaborazione, onesta e leale, diversa dalla separazione netta, e a volte antagonista e ostile. La Chiesa parla alle anime, indica la via della salvezza delle anime, indica la vita eterna come ci insegna Gesù. Nella misura in cui la persona segue Cristo, diventa più persona. Vale a dire, non un qualcosa di isolato e chiuso in se stesso, ma qualcosa di aperto agli altri, in un rapporto di relazione, collaborazione e solidarietà.
C’è il rischio che lo Stato usi la Chiesa per la solidarietà e poi invece la silenzi nel dibattito pubblico?
È un rischio vero, realissimo. Ed è un rischio che riguarda soprattutto la cultura, perché la cultura dominante, almeno in Occidente, sembra dica alla Chiesa: “Voi fate la carità, ma non parlate d’altro”. E questo perché parlare d’altro – cioè di valori, di principi, di ordine spirituale e morale – significa parlare di una visione di società che non corrisponde a quella del profitto, del mercato, e una certa cultura liberista ed economicista e diffusa in occidente non è d’accordo. La Chiesa, però, non può sottomettersi. È un soggetto libero, deve essere fedele alla verità che Cristo è, e quindi fedele all’uomo. È chiamata non solo a fare opere di misericordia e solidarietà. La prima forma di amore che ci ha insegnato Gesù, infatti, è quello di dire la verità delle cose: il bene è bene, il male è male. Questo non significa condannare le persone, ma amarle e indicare la strada giusta.
Il tema dell’assemblea, come già l’anno scorso, è stato comunque permeato dall’idea di portare avanti l’annuncio del Vangelo. Perché c’è bisogno di evangelizzare l’Europa?
Perché vediamo questa esigenza già a partire dal fatto che l’Unione Europea non ha voluto riconoscere le sue radici cristiane. E questa non è una ‘frasetta’, non sono solo due parole. È una visione. Riconoscerle significa rispettare la storia dell’Europa, perché sappiamo che l’Europa nasce nell’alveo del cristianesimo. La sua cultura, la sua storia è ispirata proprio dal cristianesimo, da quei tre grandi mondi che erano Atene, Gerusalemme e Roma. Ma non in modo esclusivo. Le radici giudaico-cristiane sono state come un alveo che ha raccolto ed elevato tutti gli altri contributi e culture, dalla cultura araba alle culture nord-germaniche. Il Vangelo non è mai stato esclusivo, ma inclusivo in modo armonico. Come un alveo che raccoglie molti fiumi e ruscelli e dà loro forma.
Perché riconoscerlo è così importante?
Perché non riconoscerlo significa diminuire la fede. La fede non è negata, ma si vuole confinare nel perimetro privato, individuale delle singole persone. Lo vediamo tutti i giorni: alla fede si nega il diritto pubblico di esserci, di parlare e di operare. E questo non può essere accettato, non per interessi particolari, ma per il bene della persona. La persona non si può dividere in se stessa. Se è cattolica, non le si può chiedere che quando lavora faccia finta di non essere cattolica, e quando è in Parlamento metta tra parentesi la coscienza cristiana. Questo non è possibile, è spaccare la persona.
La fede reclama dunque un posto nello spazio pubblico…
C’è anche un altro motivo per cui urge riannunciare il Signore, ed è rappresentato dalla visione consumistica della vita che promette di soddisfare tutta la felicità dell’uomo e delle persone verso i beni materiali, attraverso i beni sensibili. È una grande tentazione, e non è una cosa nuova. Ma oggi è una tentazione strategica, insistita. Laddove l’uomo vive questa illusione perde il senso della trascendenza, perde il suo contatto con Dio e perde la visione del cielo. Si limita alla visione della terra, rincorrendo i beni materiali. Questo non solo indebolisce la fede, ma rende l’uomo infelice. I beni materiali sono certamente necessari, e soddisfano bisogni anche veri, ma non soddisfano l’anima, non riempiono il cuore. Quindi se uno vive per raggiungere dei beni materiali, per avere soddisfazioni immediate, è soddisfatto sul momento, ma non lo sarà mai del tutto. Lo vediamo nella storia di molte persone note. Avevano tutto: bellezza, soddisfazione, carriera, successo, denaro. Eppure si sono tolte la vita. È il segnale che c’è un vuoto interiore che i beni materiali da soli non possono riempire.
E questa visione consumistica può essere scardinata dal volontariato?
Il volontariato è certamente un segno concreto, visibile, di una visione della vita che implica che tutti abbiamo bisogno di tutti, che nessuno è un’isola e abbiamo bisogno dei rapporti umani. Ed è il segno che, nella misura in ci servo gratuitamente il prossimo, e quindi mi faccio dono, raggiungo anche me stesso, e sono più uomo. Mentre quando sono chiuso in me stesso, sento che anche la mia dignità umana diminuisce. Gesù sula croce ci dice che l’umanità vera si raggiunge solo donandosi.
Si parla tanto di crisi degli abusi, ma forse questi sono la spia di un malessere più grande della Chiesa. Forse di un cristianesimo che non sembra più essere cristiano, che ha perso il suo insegnamento…
Come dice San Paolo, la fede e la speranza avranno fine, perché quando saremo in cielo resterà solo la carità, l’amore. Ma è anche vero che per arrivare alla carità è necessario percorrere la via della fede. Come faccio a conoscere e sperimentare che Dio mi ama se non attraverso la fede di cui mi parla Gesù? La fede resta la questione centrale dell’uomo, della vita e del nostro continente. C’è però il rischio di far entrare la fede come una piccola ideologia. Gli Stati e le società possono concepire la fede come religione civile, come un serbatoio di valori che servono alla società e agli Stati. E questa è una strumentalizzazione.
E per quanto riguarda le persone?
C’è un rischio simile. Ognuno di noi può, strada facendo, di concepire la fede come un credere asettico. Vale a dire che si crede alla divinità di Gesù Cristo, magari anche al mistero della Pasqua. Si crede nella Chiesa, nei sacramenti, nella Parola di Dio. Ma resta un credere che rimane esterno al cuore e alla vita concreta. La fede non è solamente credere in Dio, ma vivere con Dio. Qui si può creare una frattura non piccola. E io questo rischio della frattura lo vedo in modo particolare. Perché magari le preoccupazioni terrene, la voglia di successa, di carriera, delle soddisfazioni materiali, del consumismo dilagante mi possono distogliere facilmente dal vivere con Dio. Resta solo il mio credere in Dio.
È un rischio che anche i sacerdoti corrono?
È possibile per tutti, perché viviamo tutti dentro questa realtà e tutti respiriamo l’aria che vi circola. Ma bisogna non dimenticare, lo ricordo spesso, che sotto la schiuma del mare c’è l’oceano, c’è la profondità e lo splendore e la trasparenza del mare. Fuori dall’immagine, sotto la cronaca della vita e della storia che riporta in genere ciò che non va, sotto questa superficie vi è un’altra realtà. È la realtà della vita della gente comune, semplice, che vive la propria famiglia con fedeltà e vive il proprio lavoro onestamente. Gente che si dedica ai propri figli, agli anziani, ai malati, al vicino di cosa. Sono comunità cristiane anche piccole, ma sono delle piccole oasi di fede e di benevolenza. Io uso molto questa parola: benevolenza. Mi sembra che esprima molto bene quella che dovrebbe essere una piccola comunità cristiana per presentarsi ed essere vista come una piccola zattera in mezzo ad un oceano un po’ sconquassato. Una zattera su cui ognuno sa di potersi aggrappare, essere riconosciuto, benvoluto, amato, accompagnato. Una zattera dove c’è un’aria che porta più in alto, che è l’aria della fede e della preghiera.
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