Città del Vaticano , 26 May, 2018 / 4:00 PM
La nomina del nuovo nunzio a Singapore conclude in qualche modo il giro di nomine degli “ambasciatori del Papa” in sedi particolarmente importanti. La sede di Singapore ha un peso diplomatico perché è anche quella da cui si curano le relazioni con il Vietnam, che non ha rapporti diplomatici con la Santa Sede, ma che sta trattando per aprirli.
A livello multilaterale, la Santa Sede ha proseguito in maniera riservata i negoziati sul global compact (l’accordo globale) sulle migrazioni. Nella settimana, la Santa Sede ha fatto due interventi presso le Nazioni Unite di New York ed uno alla 71esima Assemblea Sanitaria Mondiale.
Il nuovo nunzio a Singapore
Lo scorso 21 maggio, l’arcivescovo Marek Zalewski è stato nominato da Papa Francesco come nunzio a Singapore e rappresentante non residente della Santa sede in Vietnam La nomina chiude una vacanza dell’incarico di circa 8 mesi, dopo che il nunzio Leopoldo Girelli è stato inviato a rappresentare il Papa come nunzio in Israele e Cipro e delegato apostolico a Gerusalemme e in Palestina.
La nomina è stata particolarmente ben accolta dalla Conferenza Episcopale del Vietnam. L’arcivescovo Linh, presidente dei vescovi vietnamiti, ha sottolineato in un nota di ringraziare Dio “per aver creato, attraverso il rappresentante della Santa Sede, le condizioni per la Chiesa in Vietnam di rimanere in stretta comunione con il Papa, il Vaticano e le Chiese del mondo, sebbene la libertà religiosa resti ristretta”.
Nato nel 1963 ad Augustow, in Polonia, l’arcivescovo Zalewski parla polacco, italiano, inglese, francese, tedesco e spagnolo, ed è stato nunzio in Zimbabwe prima della nomina a Singapore.
Tra i suoi compiti, quello di sviluppare ulteriormente le relazioni con il Vietnam. Dal 2011, dopo molti anni di negoziazioni, la Santa Sede ha potuto inviare un rappresentate pontificio non residente ad Hanoi, e la speranza è che presto si arrivi ad un rappresentante ad Hanoi. È in attivo un gruppo congiunto di lavoro Santa Sede – Vietnam, che ha cominciato i colloqui nel 2009, e si è riunito alternativamente in Vietnam o Santa Sede.
Uno dei nodi stringenti è quello della libertà religiosa. La nuova legge su credi e religioni, in effetto dall’1 gennaio 2018, ha aspetti positivi e negativi. Gli aspetti positivi riguardano lo status legale delle organizzazioni religiose. Tra gli aspetti negativi, la Chiesa è messa al di fuori dal sistema scolastico nazionale e da quello educativo, e include molti articoli di regolamento per controllare molti tipi di attività della Chiesa.
Si guarda al Vietnam anche per il modello delle ordinazioni episcopali, da applicare su un possibile accordo tra Santa Sede e Cina per le nomine dei vescovi.
Il modello Vietnam funziona così: c’è un periodo di consultazione, al termine del quale il rappresentate pontificio invia i risultati alla Congregazione alla Congregazione dell’Evangelizzazione dei Popoli, che ha ancora competenza sul Vietnam. Quest’ultima finalizza la lista dei tre candidati, che viene presentata al Papa, il quale fa la sua scelta. Solo dopo la scelta del Papa, la Santa Sede si confronta con il governo vietnamita riguardo il candidato selezionato. Il governo vietnamita vaglia la candidatura, e poi accetta eventualmente il candidato. Quindi, la Santa Sede rende nota la nomina del vescovo.
Sarà questo un modello percorribile?
Un nuovo nunzio in El Salvador
Papa Francesco ha nominato l’arcivescovo Santo Gangemi nunzio apostolico in El Salvador. La nomina è stata resa ufficiale il 25 maggio. L’arcivescovo Gangemi proviene dall’incarico di nunzio in Guinea e Mali, e prende il posto dell’Arcivescovo Leon Kalenga Badikebele, che Papa Francesco aveva inviato nunzio in Argentina a prendere il posto dell’arcivescovo Emil Tscherrig, chiamato – primo non italiano – all’incarico di ambasciatore del Papa presso l’Italia.
Classe 1961, di Messina, l’arcivescovo Gangemi è sacerdote dal 1961, ed ha cominciato la carriera diplomatica nel 1991. Nel 1991 è stato destinato alla nunziatura apostolica in Marocco, e po in Italia. Ha svolto il proprio servizio nelle Rappresentanze Pontificie come Segretario di Nunziatura presso le Nunziature Apostoliche in Romania dal 1994 al 1997, a Cuba dal 1997 al 2000, in Cile dal 2000 al febbraio 2002; come Consigliere di Nunziatura presso le Nunziature Apostoliche in Cile dal 2002 al 2003, in Francia dal 2003 al 2007, in Spagna dal 2007 al 2010, ove è stato anche Delegato del Commissario del Padiglione della Santa Sede all’Esposizione Internazionale di Zaragoza nel 2008. Il 1º marzo del 2010 è stato trasferito alla Nunziatura Apostolica in Egitto e il 23 aprile dello stesso anno è stato nominato Delegato Aggiunto della Santa Sede presso l’Organizzazione della Lega degli Stati Arabi. Dal 2012, era nunzio in Guinea e in Mali.
I negoziati per le migrazioni
Non ci sono state dichiarazioni ufficiali sul negoziato sull’accordo globale sulle migrazioni, che comunque proseguono. A inizio giugno dovrebbe essere consegnata già la seconda bozza dell’accordo globale, e sarà discussa paragrafo per paragrafo.
A metà giugno, intanto, ci sarà in via riservata a Roma un secondo dialogo tra Messico e Santa Sede sulle migrazioni, che dovrebbe essere aperto da un messaggio del Santo Padre.
Possibile che il Santo Padre menzioni nel messaggio anche il lavoro delle organizzazioni religiose. È un tema spinoso. Molti Stati resistono all’idea di includere qualcosa sulle faith based organizations nell’accordo, per evitare qualunque implicazione di tipo religioso. Da sempre, la Santa Sede fa però notare che solo le organizzazioni di tipo religioso hanno possibilità di raggiungere il massimo numero di persone possibili.
La Santa Sede insiste in particolare su alcuni temi: il primario diritto dei migranti a rimanere dove sono; il fatto che i migranti godono di diritti umani e deve essere loro garantito accesso a servizi sociali di base; la necessità di affrontare la realtà delle migrazioni internazionali attraverso la cooperazione internazionale, e con una cornice comune a tutti gli Stati.
Gli interventi della Santa Sede all’ONU di New York
Lo scorso 22 maggio si è tenuto presso l’ONU di New York un dibattito aperto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla “Protezione dei civili nei conflitti armati”.
L’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha sottolineato che la protezione dei civili è al cuore della legge umanitaria internazionale e che “non è mai stato così pericoloso per un civile trovarsi al centro di un conflitto armato come è oggi”, perché l’attacco su scuole e strutture civili è diventata una “comune tattica di guerra”.
La Santa Sede ha fatto notare che anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha parlato di una “crisi della protezione globale”, e che c’è una risoluzione del Consiglio di Sicurezza del 2016 che ha condannato attacchi o minacce contro personale medico e umanitario. La “volontà politica” deve però “tramutarsi in azioni concrete”, e quanti sono implicati nei conflitti armati sono chiamati a “affermare inequivocabilmente” che questo personale non può essere toccato, e che quanti violano la loro integrità devono essere criminalmente perseguiti. Lo stesso trattamento deve essere riservato a quanti “negano ai civili accesso a cibo, acqua e cure mediche”.
Il 17 maggio, la Santa Sede è invece intervenuta al dibattito del Consiglio di Sicurezza su “Sostenere la legge internazionale nel contesto del mantenimento di pace e sicurezza internazionale”.
(La storia continua sotto)
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L’arcivescovo Auza ha sottolineato che gli sforzi delle Nazioni Unite nel promuovere lo Stato di diritto sono essenziali per la pace e sicurezza internazionale, e che il Consiglio di Sicurezza ha la “responsabilità cruciale di essere chiaro e imparziale nell’applicare lo stato di diritto attraverso decisioni legalmente vincolanti, e assicurandosi che gli Stati membri perseguano legalmente i seri crimini internazionali e le violazioni dei diritti umani”, mettendo in luce come la definizione delle responsabilità sia fondamentale.
“No all’aborto”, dice la Santa Sede a Ginevra
Lo scorso 25 maggio, l’arcivescovo Ivan Jurkovic, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di Ginevra, ha tenuto un intervento alla 71esima Assemblea Mondiale della Salute.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Jurkovic ha sottolineato che la delegazione della Santa Sede condivide “molte delle preoccupazioni e osservazioni” del direttore generale, inclusi gli sforzi per “raggiungere una copertura sanitaria globale” e per migliorare un database specific sulla “salute delle donne, dei bambini e degli adolescenti” e per porre fine alla violenza su donne e bambini, nonché di rivedere le politiche sanitarie per bambini e i programmi per estenderli dall’infanzia ai 18 anni di età.
La Santa Sede ha però “serie preoccupazioni” riguardanti l’inclusione nel rapporto del tema sul cosiddetto “aborto sicuro”, perché “la Santa Sede non considera l’aborto o i servizi abortive come una dimensione della salute riproduttiva e della cura della salute riproduttiva”.
Non solo: la Santa Sede si dice anche preoccupata dal fatto che ci si riferisca all’impegno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, insieme a quello con altri Dipartimenti e programmi ONU, per lanciare “Global Abortion Policies Database”.
La Santa Sede – sottolinea l’arcivescovo Jurkovic – “non può appoggiare alcuna forma di legislazione che dà riconoscimento legale all’aborto” e per questo “si oppone fermamente ad ciascuno e tutti gli sforzi delle Nazioni Unite o delle sue agenzie specializzate nel promuovere la legislazione nazionale che permetta di togliere la vita di un bambino non nato”.
La Santa Sede non accetta quindi “la contradditoria pretesa” di promuovere il cosiddetto “aborto sicuro” come strumento per proteggere “i diritti umani di donne e ragazze”, mentre, in realtà, l’aborto nega al bambino non nato il suo diritto basico alla vita stessa”.
Papa Francesco, incontro con l’ex presidente spagnolo Zapatero
Il 22 maggio, Papa Francesco ha ricevuto in udienza privata José Luis Rodriguez Zapatero, già presidente del Consiglio spagnolo. Ne ha dato la notizia la Sala Stampa vaticana, in un comunicato molto breve, senza spiegare le motivazioni dell’incontro.
Che risiederebbe nella volontà di Papa Francesco di ricevere informazioni sulla crisi del Venezuela: Zapatero si era infatti accreditato come mediatore internazionale sulla crisi. Niente è trapelato dei colloqui, né delle impressioni che i due si sono scambiati. Papa Francesco ha fatto l’ennesimo appello per il Venezuela al Regina Coeli del 20 maggio, riferendosi anche alle rivolte nelle carceri che avevano mietuto vittime.
Dopo le elezioni che hanno sancito un’altra vittoria di Nicolas Maduro, la Santa Sede è interessata a comprendere il futuro nello Stato, cui aveva anche inviato un rappresentante speciale per mediare nella persona dell’Arcivescovo Claudio Maria Celli.
La pressione del Kosovo per essere riconosciuto dalla Santa Sede
Ramush Haradinaj, primo ministro del Kosovo, è stato ricevuto lo scorso 22 maggio dal Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano: la notizia è stata data nel profilo twitter ufficiale dello stesso Primo Ministro. Sempre il premier ha fatto sapere di aver descritto i risultati raggiunti da Pristina in campo interno, regionale e internazionale, e di aver “espresso l’impegno del Kosovo per avanzare nelle relazioni bilaterali e per il riconoscimento da parte della Città del Vaticano”, considerando il riconoscimento vaticano come “un passo necessario”.
La visita di Haradinaj fa seguito a quella del ministro degli Esteri kosovaro Behgjet Pacolli, che aveva incontrato lo scorso 25 gennaio il suo omologo vaticano, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher. Anche in quella circostanza, le relazioni bilaterali furono discusse.
Attualmente, il Kosovo intrattiene relazioni diplomatiche con 115 Paesi. L’arcivescovo Gallagher, invitato in Kosovo per le celebrazioni dei 10 anni di indipendenza, aveva fatto sapere che il Papa segue con attenzione gli eventi del Kosovo.
Ancora, comunque, la Santa Sede non si è pronunciata sul riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, anche perché il riconoscimento dello Stato significherebbe, per la Santa Sede, aprire un altro fronte con il mondo ortodosso serbo, dopo quello già aperto riguardo la canonizzazione del Cardinale Alojzie Stepinac.
Cardinale Zenari, “difficile una soluzione per la Siria”
Il Cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, è tornato a casa, a Verona, per le celebrazioni di San Zeno, patrono della città. Da lì, lo scorso 21 maggio, ha sottolineato che “la via di una soluzione positiva per la Siria è ancora molto in salita”, dato che “non si tratta più di una guerra tra siriani”, ma è diventata “in sette anni di conflitto una guerra per procura, con in campo le varie potenze regionali”.
Il Cardinale Zenari ha anche citato momenti delicati come “gli scontri di due settimane fa tra Israele e le installazioni militari dell’Iran”, per un conflitto che “è andato complicandosi di anno in anno”. Quindi, l’accusa: “L’ONU poteva sicuramente fare di più. Se avete assistito in questi ultimi sette anni, ci sono state molte divisioni in seno al Consiglio di Sicurezza, che ha il compito per la pace”.
Iraq, assegnati cinque seggi ai cristiani
Come il Cardinale Zenari ha ricevuto la berretta rossa in segno di attenzione del Papa per la Siria, così anche l’Iraq ha avuto il suo segno di attenzione: nel prossimo concistoro, Papa Francesco creerà cardinale il Patriarca Louis Raphael Sako di Babilonia dei Caldei.
Mentre si prepara il Sinodo caldeo – dal 7 dal 13 giugno – si sono tenute le elezioni politiche in Iraq. Nel Parlamento, ci sono cinque seggi riservati ai cristiani. Due dei seggi sono stati conquistati dal movimento Brigate Babilonia (Aswan Salem Sawa e Burhanuddin Ishak Ibrahim). Gli altri seggi sono stati appannaggio di Rihan Hanna Ayoub, del Consiglio Popolare caldeo assiro; di Immanuel Koshap, della coalizione Rafidain; e di Hoshyar Karadag Yeld, della coalizione caldea. Quattro dei cinque candidati appartengono alla coalizione caldea.
Il Patriarcato Caldeo ha quindi riferito che il Patriarca Sako ha telefonato negli scorsi giorni al leader sciita Muqtada al Sadr per congratularsi con lui per la vittoria elettorale, e che questi avrebbe ribadito il suo impegno a difendere i cristiani.
Alla fine di agosto 2017, era circolata voce di una possibile visita di Muqtada al Sadr in Vaticano. Nessuna richiesta ufficiale era stata però effettivamente inoltrata.
Un nuovo ambasciatore di Colombia presso la Santa Sede
Dopo la morte improvvisa dell’ambasciatore Guillermo Leon Escobar Erran, che aveva rappresentato la Colombia presso la Santa Sede dal 1998 al 2007 e dal 2014 alla morte nel 2017, la Colombia ha nominato Julio Anibal Riano Velandia come nuovo ambasciatore presso la Santa Sede. Questi ha presentato al Papa le lettere credenziali lo scorso 24 maggio.
Classe 1949, sposato con due figli, laureato in diritto internazionale e diplomazia, è stato editorialista per questioni inerenti l’Amazzonia, e ha fatto un po’ di carriera accademica prima entrare al servizio del Ministero degli Affari Esteri Colombiano. Tra i suoi passati incarichi, anche quello di ministro consigliere di Ambasciata in Argentina. Dal 1999 al 2006 è stato ambasciatore in Costa Rica, dal 2011 al 2013 ministro di ambasciata in Messico, e dal 2013 al 2018 ambasciatore in Salvador.
Dialogo interreligioso, l’Osservatore all’UNESCO parla in occasione di Vesak
Monsignor Francesco Follo, Osservatore Permanente della Santa Sede, ha partecipato lo scorso 24 maggio alla Giornata Internazionale del Vesak, che celebra la nascita, l’illuminazione e il parinirvana del Buddha storico.
Nel suo discorso, monsignor Follo ha citato il messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2017, basato sulla non violenza, e sottolineato che “la nostra tradizione religiosa ispira la convinzione che le relazioni amichevoli, il dialogo aperto e lo scambio rispettoso e armonioso di vedute porta ad una attitudine di gentilezza e amore che genererà relazioni fraterne e autentiche”.
Monsignor Follo ha affermato che “come buddisti e cristiani, viviamo in un mondo che troppo spesso è dilaniato dall’oppressione, l’egoismo, il tribalismo, la rivalità etnica e il fondamentalismo religioso”, e in cui “l’altro è trattato come un essere inferiore, una non persona” o come “qualcuno di cui avere paura e da eliminare”.
L’Osservatore della Santa Sede all’UNESCO ha quindi richiamato tutti a “rispettare e difendere la nostra comune umanità” in contesti religiosi, politici e socioeconomici”, rimanendo “onesti e franchi nel denunciare tutte le malattie sociali che mettono a rischio la fraternità”, di essere “guaritori che permettono agli altri di crescere in generosità senza egoismo”.
Monsignor Follo ha affermato poi che “per raggiungere il nostro comune obiettivo di costruire un mondo di fratellanza, è cruciale unire le nostre forze a educare persone, in particolare le giovani generazione, a cercare fraternità, vivere in fraternità e osare a costruire fraternità”.
Il dialogo da cui deve partire tutto è “diverso dalla semplice chiacchierata”, ma è piuttosto un “evento di verità”, ovvero non solo un ascolto dell’altro ma “un concreto impegno con l’altro per la verità e la pace”, e per questo deve essere concepito come una opportunità “non solo per essere conosciuto e tollerato”, ma anche per andare incontro all’altro e migliorare l’umanità”.
Dialogo – ha aggiunto monsignor Follo – “non significa abbandonare le proprie posizioni”, né accettare “un minimo comun denominatore”. Si tratta di un “incontro esistenziale”, che è “continuo” e infinito perché “nessuna formulazione di verità può mai essere considerata ultima definitiva, ben conclusa”.
L’Osservatore della Santa Sede all’UNESCO aggiunge anche di essere “veramente convinto che abbiamo bisogno di allargare le opportunità di dialogo oltre i gesti simbolici se vogliamo che il dialogo tra culture sia efficace”, e per questo chiede all’UNESCO, ma anche alle ONG, di far crescere il loro supporto al dialogo tra culture, incluse le loro radici culturali, in particolare quelle dei giovani.
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