Manama, 22 March, 2018 / 1:00 PM
Non c’è una cattedrale in Bahrein. Ma il progetto della Cattedrale di Nostra Signora d’Arabia, che sorge a 20 chilometri dalla capitale Manama, è molto di più: oltre alla chiesa, un edificio collegato, che funge da Curia Episcopale, casa di accoglienza, centro di formazione per il lavoro. A raccontarlo ad ACI Stampa è il vescovo Camillo Ballin, da 49 nel Golfo, che è Vicario Apostolico dell’Arabia Settentrionale e cura il gregge di Bahrein, Qatar, Kuwait, Arabia Saudita.
Come ha preso il re del Bahrein l’iniziativa di costruire una nuova cattedrale?
Il re è stato molto contento, soprattutto, quando ha saputo che avremmo dedicato la Cattedrale a Nostra Signora di Arabia, un titolo che riguarda la terra dove la Cattedrale viene costruita. C’è, a Manama, una chiesa, ma non è la cattedrale e avevamo bisogno di un’altra chiesa nel sud del Paese. Poiche’ il vescovo risiede proprio in questa zona, sara’ la Cattedrale di tutto il Nord del Golfo Arabo
Come sarà questa nuova cattedrale?
Potrà contenere 2.300 persone, e il progetto prevede anche una costruzione a fianco la Cattedrale, un edificio per la formazione civile e anche spirituale. Ci saranno gli uffici del Vicariato, ma anche stanze ed aule per ritiri spirituali di sacerdoti, catechisti, ragazzi, e una parte di formazione professionale. Speriamo ci siano i fondi anche per questa seconda costruzione.
Quando sarà terminata la costruzione della cattedrale?
La costruzione inizierà ad aprile, e l’intero progetto – cattedrale ed edificio annesso – dovrebbe essere finito nel gennaio del 2021. Ma per ora ci sono i soldi solo per la costruzione della Cattedrale.
Nostra Signora di Arabia avrà un rito particolare?
C’è una Messa, già approvata dalla Santa Sede, dedicata a Nostra Signora di Arabia. Abbiamo anche definito la festa, che si celebra la seconda domenica del Tempo Ordinario, la prima domenica dopo la festa del Battesimo di Gesù. Per questa festa, la Santa Sede ha fatto una eccezione per il mio vicariato, perché nessuna festa non dedicata al Signore può avere luogo di domenica, dedicata – appunto – solo a Dio. Il mio Vicariato ha però ottenuto di celebrare la Madonna in una domenica.
Il suo vicariato comprende Paesi molto diversi, come Qatar, Bahrein, Arabia Saudita e Kuwait. Quale è la situazione in questi quattro Paesi?
Riscontro ottima tolleranza e apertura. Risiedo in Bahrein, che non solo ha concesso il terreno per costruire la cattedrale, ma anche il passaporto della nazione, che mi permette di viaggiare senza visto nei Paesi Arabi. Nel Senato del Re, c’è una donna cattolica come membro, mentre il re Hamad ha deciso di creare un Centro per la Convivenza Pacifica, con responsabile uno dei suoi figli, e mi è ha nominato tra i dieci membri della Direzione del Centro. L’Arabia Saudita è in una situazione particolare e in via di cambiamento.
Quanti sono i fedeli cattolici nelle terre del Golfo?
In Bahrein ci sono circa 80 mila cattolici, in Kuwait ce ne sono circa 200 mila, e lo stesso numero c’è in Qatar, dove c’è una ottima apertura e vogliono concedere altri terreni per costruire chiese. La comunità del Kuwait è molto forte, ma è una situazione un po’ più difficile: non vengono concessi terreni per la costruzione di nuove chiese, e abbiamo le stesse strutture che avevamo 60 anni fa, quando i cattolici erano 400.
Come mai questa crescita esponenziale dei cattolici?
Il petrolio ha portato moltissima emigrazione, proveniente soprattutto dal Sud dell’Asia (India e Filippine) che ora si sta fermando perché gli Stati si stanno orientando sempre più verso l’impiego di personale locale. Una trasformazione lenta, perché non c’è così tanto personale locale per poter andare avanti senza gli stranieri. Oggi, i locali sono il 30 per ceno in Kuwait e meno del 20 per cento in Bahrein e Qatar.
Sotto il suo Vicariato rientra anche l’Arabia Saudita, dove non è nemmeno consentito costruire chiese. Recentemente, però, è stato invitato nel Paese il Cardinale Bechara Rai. Sono segni di apertura?
Il cardinale è stato accolto molto gentilmente come sanno fare gli arabi, e ho avuto anche modo di incontrarlo all’ambasciata libanese a Riyadh. Ma, dopo l’invito a lui, non c’è stato un seguito nei rapporti tra l’Arabia Saudita e la Chiesa.
Lei è nei Paesi arabi da quasi 50 anni, ha studiato l’arabo in Siria e Libano, ha prestato servizio pastorale in Egitto e Sudan, ed è arrivato come vescovo della Penisola Arabica nel 2005. Come è cambiato il panorama dei Paesi arabi in tutti questi anni?
Nei Paesi arabi tutto è provvisorio: le aperture, le chiusure, certi giudizi, e certi atteggiamenti. Tutto cambia secondo i tempi.
Ma lei come è finito nei Paesi arabi?
Sono missionario comboniano, e ho chiesto di andare nei Paesi arabi con moltissima insistenza. Ero interessato a conoscere l’Islam, a comprendere la lingua araba. Volevo introdurmi in questo mondo nuovo. Un mondo nuovo e molto complicato. Ma che fosse cosi’ complicato, l’ho scoperto solo dopo.
Come si dialoga con l’Islam nei Paesi arabi?
Con molta discrezione e pazienza. I musulmani non conoscono nemmeno la struttura della Chiesa, ed è importante spiegarlo, far loro capire. Fondamentale è creare un clima di amicizia. Il dialogo si fa senza esigere mete precise e tempi precisi.
Ma da Occidente lei creda comprendano la vostra situazione?
(La storia continua sotto)
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L’Occidente ritiene che nel Golfo ci siano solo musulmani, e invece ci sono milioni di cattolici. In più, vengono confuse le situazioni di Medio Oriente e Golfo, che non possono essere assimilate. In Medio Oriente, i cristiani sono cittadini del Paese, hanno il passaporto. Nel Golfo no: i cristiani sono tutti emigrati, e tutti devono andarsene quando arriva l’età della pensione o quando un progetto cui partecipano viene cancellato.
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