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Un confessore eccezionale: Padre Felice Cappello

Tracciare la vita di un uomo non è sempre un'impresa semplice. Ciò per una duplice serie di fattori: il primo in quanto si perdono spesso le tracce di quell'esistenza; il secondo in quanto nel cuore dell'uomo vi sono tanti pensieri, atti sconosciuti. Quest'affermazione vera non la si può applicare alla vita di padre Felice Cappello, in quanto la sua parabola terrena è stata tutta consacrata alla linearità ed alla coerente aderenza nella ricerca della  volontà di Dio. E Dio nel cuore di chi lo ama non si fa attendere.

Felice Cappello nasce il 9 ottobre 1879 a Caviola, frazione di Falcade, in provincia di Belluno. Vide la luce in una famiglia profondamente religiosa e giovanissimo segue il fratello Luigi in seminario. Ordinato sacerdote il 20 aprile 1902, il primo incarico ottenuto fu quello di coadiutore in una parrocchia della diocesi di Belluno. 

Viste le sua particolari doti intellettuali fu chiamato a ricoprire la carica di professore al seminario Gregoriano di Belluno. Durante questi anni, don Felice, non solo conseguì tre lauree (in Teologia, in Filosofia, ed in Diritto canonico e civile), ma venne apprezzato come docente attento, preparato e scrupoloso. In questi stessi anni, alcuni docenti del Gregoriano vennero sospettati di modernismo e pertanto venne mutato l'intero corpo docenti, fra cui, senza colpa, anche don Felice. Il sacerdote bellunese, però, non si perse di animo ma raggiunse Roma dove alloggiando al collegio Leoniano, si organizzò assumendo alcuni incarichi presso il Vicariato di Roma, in qualità di esperto in materia giuridiche. Durante tale periodo, però, nella mente e nel cuore di questo sacerdote, si agitava qualcosa di più grande: consacrarsi come religioso in una vita di maggior ascesi spirituale. Così, dopo una notte passata in preghiera a Lourdes nella grotta che aveva visto lo sguardo attento e materno di Maria, il 30 ottobre 1913 fece ingresso nel noviziato della Compagnia di Gesù.

Questo ordine religioso spicca per profondità di apostolato, preparazione culturale e per un forte attaccamento al Pontefice. Ignazio di Loyola, il fondatore, aveva voluto una compagine unita e compatta di uomini sotto un unico vessillo: quello della Croce di Cristo. Anche oggi nella Formula istituti, che precede le costituzioni dell'ordine, si legge che lo scopo dell'istituto ignaziano è quello di militare, sotto il nome di Cristo e del Pontefice, ad majorem Dei gloriam. Ieri come oggi, il gesuita è tenuto, in virtù dei propri voti religiosi, a portare Cristo dove la sua professionalità lo pone.

Gesuita professo, dal 2 febbraio 1924, ininterrottamente sarà professore di diritto canonico all'Università Gregoriana. Di lui ancora vi è forte il ricordo nei sacerdoti che lo hanno incontrato come docente apprezzato e serio ricercatore del mondo giuridico. Oltre all'attività di studio in cui si contano, ben oltre 200 tra opere ed  articoli in materia di diritto canonico ed ecclesiastico, tra cui il De matrimonio (giunto alla settima edizione), passava la sua giornata in preghiera.

Ma più di tutto lo si ricorda per essere il confessore di Roma. Padre Cappello, per oltre trent'anni, fino alla morte avvenuta il 25 marzo 1962, è stato soprattutto un autentico testimone del Cristo ed ha espresso tutta la sua ricchezza interiore in questo sacramento. Vi dedicava molte ore al giorno e bisognava attendere per potersi confessare da lui. Di lui scrisse il cardinale Pietro Palazzini: “Nonostante la petulanza della gente, non l'ho mai veduto innervosire, cercava di districarsi per recarsi ai suoi doveri, ma sempre dolce rispondendo a questo o a quello con qualche parola tranquillizzatrice e di conforto oppure invitando a recarsi a Sant'Ignazio; ma non mai che alzasse la voce od uscisse in parole o gesti di fastidio , di depressione o simili” ( V. Bondani, Padre Felice Cappello, portatore di pace, pag.18).  A tale testimonianza non bisogna aggiungere altro, se non profonda ammirazione.

Religioso autentico di forte vita interiore aveva una regola di vita molto austera: dormiva poche ore per notte-come riferì il fratello coadiutore della comunità in cui viveva- probabilmente passava la notte su una poltrona vicino al letto, per una maggiore mortificazione personale. Da tutti è ricordato per la generosità con la quale accoglieva i penitenti, i poveri e quanti, provati da un dolore, vedevano in lui un amico ed un padre. Il giorno della sua morte si racconta che prima di lasciare questa terra per il cielo si sia illuminato il suo volto. E certamente avrà ricevuto la visita del Signore dicendogli: “servo buono e fedele prendi parte alla gioia del tuo Signore”.

 

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