Cagliari, 24 October, 2017 / 9:00 AM
“Le Settimane sociali, cominciate 110 anni fa da Giuseppe Toniolo, sono sempre state un momento decisivo nella vita del Paese. Vogliamo proporre qualcosa di concreto agli italiani. Certo, non saremo noi a risolvere i problemi del lavoro con le Settimane sociali. Non vogliamo sostituirci alla politica. Ma, come dice Papa Francesco, possiamo aprire dei percorsi”: così ha affermato mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e presidente del Comitato organizzatore delle Settimane sociali.
Allora, come si può definire il lavoro?
“Quando facciamo il punto sul lavoro che vogliamo, dobbiamo sempre tenere presenti le facce delle persone: non teorie economiche, ma persone in carne e ossa. Il lavoro in tutte le sue tinte: disoccupazione, precariato, caporalato, sfruttamento della criminalità organizzata, infortuni sul lavoro... Quindi il lavoro deve essere un’occasione di sviluppo per la dignità della persona. E’ questa la prospettiva nella quale ci muoviamo come Settimane sociali”.
Come la Chiesa vuole un lavoro libero?
“Innanzitutto richiamando il senso del lavoro, che è la realizzazione della persona; quindi un lavoro degno. Quindi riprendere l’origine del lavoro per la persona. Poi la settimana sociale deve essere un momento di denuncia e di proposta di buone pratiche; un momento di attenzione nell’innovazione del lavoro ed anche un momento di intervento nella realtà politica, perché quanto indicato si possa realizzare”.
Quali implicazioni nella società ha le proposte della Chiesa?
“Implica tutta l’esperienza della Chiesa, perché nella sua esperienza siamo chiamati a recuperare l’origine della novità, che è poi quella che suggerisce nuovi, quale la diversità del percorso che valorizza la creatività dei nostri giovani e la orienta a costruire per il bene, perché il lavoro degno è quello che costruisce per il bene. Quindi ben venga l’innovazione proprio per la crescita della società e della famiglia”.
E nell’immediato come dare una risposta alle richieste del lavoratore?
“Sulla crisi economica e la povertà che avanza la risposta è l’incentivo alla cultura dell’impresa: non la massimizzazione del profitto, ma il bene dei lavoratori. Ben venga l’innovazione tecnologica, i robot, l’economia 4.0, ma siano al servizio della cultura della vita e dell’incontro”.
Anche mons. Fabiano Longoni, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, ha spiegato il lavoro che i giovani vogliono: “I giovani vogliono che in Italia siano presenti condizioni di lavoro libero, cioè non fondate sullo sfruttamento e sull’incapacità di dare loro un giusto valore, cioè quello di essere soggetti del lavoro. Molte volte il giovane è trattato secondo logiche padronali, retaggio di un passato secondo il quale il giovane era considerato non secondo qualità che sapeva esprimere, ma secondo un’ottica puramente di strumento. I giovani non vogliono essere strumenti, ma persone. Credo che sia questo il lavoro libero. Poi il lavoro del giovane è creativo, perché ha capacità che possono proiettarlo fuori dalle logiche funzionali del modello novecentesco, dove il giovane entrava in fabbrica e si impratichiva del lavoro. Però oggi il lavoro è destinato ad essere quello dell’ ‘industria 4.0’. Quindi il lavoro dell’immediato futuro riguarda anche la cultura, l’ambiente e la cura delle persone. Abbiamo bisogno di menti creative ed i giovani sanno risolvere i problemi. Poi il giovane desidera un lavoro partecipativo e solidale, anche se è più difficile perché la nostra società è fondata su schemi di tipo egoistico, per cui l’individuo prevale sulla persona. Però molti giovani sono capaci di partecipazione e di relazione; capaci di costruire cooperazione intorno ad idee condivise. Quindi il giovane è capace di aprirsi alla solidarietà diversamente dall’adulto, che chiede di conservare il dato acquisito, cercando di creare un ambiente inclusivo ed un lavoro solidale”.
Alle Settimane Sociali si presenteranno anche i progetti di ‘Cercatori di lavOro’: “Cercatori di lavOro propone un cambiamento di ‘sguardo’ (anche alla luce dell’enciclica ‘Laudato sì’), la ricerca delle buone pratiche. L’obiettivo è offrire ai vescovi e alle comunità ecclesiali locali, spesso alle prese con problematiche drammatiche e quasi irrisolvibili di povertà e assenza di lavoro da cui rischiano di essere travolte emotivamente, la gioia e l’ancoraggio a riferimenti di soluzioni possibili, elementi concreti di speranza, spunti per ulteriori sviluppi creativi in direzione di soluzioni adatte anche al proprio territorio. Esistono nel nostro Paese persone (amministratori, imprenditori, educatori) che hanno trovato nelle difficoltà delle soluzioni originali. In questo modo si vogliono stimolare le realtà ecclesiali a conoscere il proprio territorio e a identificare pratiche eccellenti in materia di lavoro (come la creazione di posti e anche in termini di qualità e senso del lavoro stesso alla luce della dottrina sociale della Chiesa)”.
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