Roma, 21 September, 2017 / 2:00 PM
È stata la prima nazione a proclamarsi cristiana, ma la Santa Sede ha potuto allacciare le relazioni diplomatiche solo 25 anni fa, quando l’Armenia era definitivamente uscita dal blocco sovietico. Sono “nozze d’argento”, che vanno celebrate. E lo fa il Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione delle Chiese Orientali, in una Messa alla presenza dell'ambasciatore Mikayel Minasyan, durante la quale definisce le relazioni tra le due nazioni “un dono di Dio”.
È la storia la protagonista dell’omelia del Cardinale Sandri. Non potrebbe essere altrimenti. L’Armenia è una nazione antichissima, dalla forte tradizione cristiana radicata in una particolare predilezione per il libro, con una fede che si è preservata grazie a 36 soldati, le lettere dell’alfabeto che il geniale monaco Mashtoz codificò per dare al popolo una tradizione e una storia.
Il Battesimo dell’Armenia, celebrato da Giovanni Paolo II nel suo viaggio, costituì per la nazione una “identità nuova” e una eredità – racconta il Cardinale Sandri – “ben lungi dall’essere solo un vanto del passato”, perché “è la potenza stessa di Dio ricevuta nel Battesimo che ci spinge, ci mette fretta”.
Insomma, Caritas Christi urget nos, e non è un caso che il Cardinale ricordi, tra queste opere di carità, l’ospedale di Ashots, al confine con la Georgia e al limite della città di Gyumri martoriata dal terremoto del 1988. È chiamato “l’ospedale del Papa”, e fino all’ultimo, durante la visita di Papa Francesco in Armenia nel giugno 2016, si era sperato che il Papa potesse vedere questa struttura tra le montagne. Una struttura che è arrivata molto prima delle relazioni diplomatiche, a testimonianza che la carità sempre precede.
Il Cardinale Sandri ripercorre, nell’omelia, i “punti luminosi” del rapporto diplomatico tra Santa Sede e Armenia, citando “i Viaggi Apostolici di San Giovanni Paolo II nel 2001 e di Papa Francesco lo scorso anno, le sette visite dei Presidenti della Repubblica in Vaticano, inaugurate con S.E. Ter Petrosyan nel 1992, poi le due, nel 1999 e nel 2005 di S.E. Kocharyan, e infine le quattro (2011,2013,2014,2015) dell’attuale Presidente, S.E. Sargsyan; la grande celebrazione dell’aprile 2015 e la proclamazione di San Gregorio di Narek Dottore della Chiesa Universale, l’invio di un Rappresentante Speciale del Santo Padre alla consacrazione del Santo Myron a Ethchmiadzin, ogni sette anni, le visite dei Catholicos Vasken, Karekin I e II ai Papi, senza dimenticare la creazione dell’Ordinariato per i fedeli Armeno cattolici in Europa Orientale, con sede in Armenia, a cui tanto contribuì la stima e l’amicizia tra san Giovanni Paolo II e il Catholicos Vasken”.
Sono passi “preparati in incontri e dialoghi” che hanno consentito “di stabilire legami profondi di stima e di amicizia e che hanno reso più bello e più ricco, umanamente e spiritualmente, il rapporto diplomatico”.
Il Cardinale Sandri guarda a Echmiadzin, la sede del Patriarcato Apostolico di Armenia, che è “cuore irradiante della fede e del popolo armeno”. Significa “Discese l’unigeto” e la sua costruzione “è quasi una rappresentazione plastica della professione di fede ascoltata dall’apostolo Paolo”.
L’Armenia terra cristiana, l’Armenia terra di incontro, dove si cerca di costruire la pace nella Regione, e a tal proposito il Cardinale cita l’incontro tra il Patriarca Kiril di Mosca, il Catholicos Karekin II e lo Sheikh dell’Islam azero che si è svolto qualche giorno, e che porta a dire con forza “che non c’è alternativa alla pace, e va posto termine ad ogni dolore e sofferenza, a maggior ragione quando essa colpisce la popolazione civile inerme”.
E allora – conclude il Cardinale – “idealmente sogniamo e desideriamo che le colombe lanciate da Papa Francesco e dal Catholicos Karekin II al monastero Khor Virap - che significa letteralmente 'prigione in profondità', rievocando la prigionia patita da san Gregorio l’Illuminatore - attraversino le profondità delle divisioni, degli odi e delle guerre, si librino nel cielo alto di Dio, e tornino recando in bocca un ramoscello di pace per tutte le popolazioni del Caucaso e dell’Anatolia”.
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