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Un servizio di EWTN News

Terremoto, nelle Marche non si è perso l'umanesimo cristiano dice il presidente della CEI

Con la celebrazione eucaristica a Macerata in onore del santo patrono Giuliano ospitaliere si è conclusa la visita nelle zone terremotate delle Marche del presidente della Cei, card. Gualtiero Bassetti, salutando i fedeli: “Fratelli e figli carissimi sono lieto di concludere la mia visita ai luoghi terremotati delle Marche davanti alla Cattedrale di San Giuliano Ospitaliere anch’essa ferita dal terremoto…

Dopo la visita nel territorio reatino e nell’ascolano eccomi a Macerata per constatare di persona la vastità della distruzione portata dal terremoto, portando il messaggio di conforto e l’aiuto concreto della CEI alle tante persone che ho potuto incontrare attraversando l’Appennino: non si può non rimanere impressionati dalla dimensione di questa terribile calamità”. Infine ha affermato che dalla visita si è portato via ‘una profonda esperienza di umanità’: “Più si condivide quello che siamo e quello che abbiamo, più ci si arricchisce. Io ho cercato di dire qualche parola di consolazione alla gente, ma è stata più la ricchezza e il conforto che ho ricevuto. Non si può non rimanere impressionati dal terremoto, dalla dimensione di questa terribile calamità”.

Durante l’omelia il card. Bassetti aveva espresso un concetto già espresso durante la visita alle popolazioni dei paesi colpiti dal terremoto: “I nostri paesi e le nostre città sono i simboli autentici della fragile bellezza dell’Italia, simboli che un terremoto può però trasformare in luoghi di morte e disperazione: come Chiesa abbiamo partecipato a questo dolore ma anche sperimentato i segni di una carità operosa. Occorre, ora, uno sforzo maggiore che riconosca con assoluta priorità nell’agenda pubblica la messa in sicurezza del meraviglioso territorio italiano”.

Secondo il presidente della CEI, la salvezza può provenire dalla riscoperta della solidarietà, verso una società che non si ripieghi su se stessa e ritrovi la speranza ‘tenendosi per mano e camminando insieme nella condivisione’, chiedendo alle Istituzioni di avere uno ‘sguardo lungimirante’: “L’Italia è una terra, forse unica al mondo, dove vita, fede e cultura, intrecciate in un unico sentimento di operosità, hanno creato una civiltà impareggiabile. Se perdiamo questa eredità, alla fine perderemo anche la nostra identità di popolo e di nazione… Dopo il tempo del pianto e del dolore, dopo il tempo delle discussioni e delle lamentazioni, è opportuno che arrivi dunque il momento di una ricostruzione efficace e veloce, prima che i danni umani e materiali diventino irreparabili".

Quindi ha chiesto di superare tutti gli ‘eccessi’ burocratici e di attivare una solidarietà concreta, che “può essere tradotta in una volontà ricostruttiva che coinvolga tutti in una semina di speranza e di azione per un futuro migliore e un tempo di rinnovato benessere per questa terra benedetta. In questi mesi abbiamo partecipato con commozione al dolore delle popolazioni colpite dal sisma, ma abbiamo anche sperimentato la carità operosa della popolazione italiana che si è fatta volontaria per aiutare chi aveva perso tutto e che ha accolto le persone che non avevano più una dimora. Da questi gesti di solidarietà può rinascere, senza dubbio, la vita futura di una comunità”. Ha richiamato all’azione tutti i cittadini di buona volontà: “Occorre uno sforzo maggiore di cui debbono farsi promotori tutti quegli uomini e le donne di buona volontà che perseguono autenticamente il Bene comune.

Uno sforzo che, per esempio, come ho già avuto modo di dire in passato, riconosca come assoluta priorità, nell’agenda pubblica del Paese, la salvaguardia e la messa in sicurezza del meraviglioso e difficile territorio italiano, dei suoi borghi, delle sue città e anche di tutte le sue opere d’arte”. Nel giorno precedente il card. Bassetti nella celebrazione eucaristica nella chiesa prefabbricata di Pescara del Tronto aveva spiegato il motivo della visita: “Sono venuto perché avevo bisogno di venire. Nel mio cuore c’era tanto spazio per voi, per chi ha rischiato di morire, per chi rischia di smarrire la fede o la speranza, per esprimervi la paternità di Dio e la maternità della Chiesa. I vostri morti mi appartengono perché voi mi appartenete in quanto Chiesa”. Ed ha espresso il proprio ringraziamento ai molti sacerdoti, sindaci e cittadini che non hanno perso la speranza: “Sono rimasto edificato dai preti e dai vescovi che ho incontrato oggi. Vi siamo vicini, vi vogliamo bene, perché ci sentiamo Chiesa. Sentiamo nei vostri confronti di esercitare la maternità e la paternità di Dio.

I vostri morti mi appartengono perché voi mi appartenete in quanto Chiesa… Dopo il mio giro nelle zone terremotate, saluto in particolare i carissimi sindaci. Mi sembra, qui, che coi nostri sacerdoti vi siate scambiati i compiti. Fate quasi le stesse cose. Ed è giusto così. Mai come quando ci troviamo in emergenze come questa, ci rendiamo conto di quanto l'autorità sia un servizio, a tutti… Il terremoto è stato il momento del Calvario, della morte di tanti innocenti. Questo che viviamo adesso è il momento del Sepolcro che va verso la Resurrezione. Ho visto tanti semi di resurrezione, i giovani, gli anziani, tante persone ricche di speranza e di dignità”. Ed a conclusione della visita il presidente della Cei ha tratteggiato un sunto di ciò che ha visto: “Attraversando l’Appennino non si può non rimanere impressionati dalle dimensioni di questa calamità. C'è chi ha perso i familiari, specie nel Reatino.

Mi ha colpito un uomo di 49 anni, in una casetta. Sono entrato e mi ha detto: ‘Ecco, questa è la mia famiglia’, indicava un poster alla parete con la moglie e i due figli. ‘Ero a fare il pane, mi sono messo a correre ma non ce l'ho fatta, la casa ormai era caduta’. E nell’Ascolano le fotografie dei bambini. Quanti bambini. Tanti. Fa impressione vedere distrutti interi paesi, luoghi bellissimi ora ridotti a macerie e posti chiusi, il terremoto può trasformare i luoghi di una popolazione solare in luoghi di morte”. Ed ha ricordato la forza dell’ ‘umanesimo cristiano’ delle popolazioni: “Sono venuto dall’Umbria e ho lambito Amatrice e Accumoli, e poi le Marche, e qui ho rivisto l’umanesimo cristiano che ho imparato a Firenze. Io sono toscano, le Marche sono così simili alla Toscana, per bellezza naturali e per solidarietà. Se hai bisogno, non ti scanso, perché sei un altro me stesso”.

Ed anche i vescovi delle zone terremotate hanno ringraziato il presidente della Cei della visita. Il vescovo della diocesi di Macerata, mons. Nazzareno Marconi, aveva ricordato l’esempio della laboriosità dei marchigiani: “Il nostro patrimonio culturale era stato già profondamente ferito dal terremoto del ’97 ed i lavori fatti allora, anche se non hanno potuto impedire altri danni, hanno comunque evitato vittime e crolli irrimediabilmente distruttivi. Questo dimostra che il modello allora adottato, che dava ampia fiducia alle competenze locali ed all’operosità dei marchigiani, garantendo anche una ripresa dell’occupazione, potrebbe ispirare positivamente anche la nuova ricostruzione…

Le chiediamo di farsi voce del fatto che gli Italiani sono brava gente davvero e su questa fiducia si deve costruire il vivere civile, non sulla cultura del sospetto e del controllo burocratico asfissiante”. Il vescovo della diocesi di Ascoli Piceno, mons. Giovanni D’Ercole, aveva invece sottolineato i ‘miracoli dell’amore e della generosità’: “ Se il terremoto ha distrutto paesi e borghi storici carichi di tradizioni, il post-sisma ha lavorato per ricostruire relazioni e tessere di amicizie apportatrici di coraggio e di condivisione fraterna… Un lungo elenco di gemellaggi fra comunità d’ogni regione d’Italia e le frazioni dei comuni terremotati ha favorito la ripresa di alcune attività in loco e la ripartenza d’una timida ma incipiente economia di sopravvivenza… Molto resta da fare; la lentezza degli interventi pubblici in molti l’hanno più volte sottolineata; la fatica che ci attende è chiara a tutti, ma il coraggio e l’impegno hanno ripreso a camminare sulle gambe della speranza”. 

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