Città del Vaticano , 26 June, 2017 / 2:00 PM
Della situazione dei Rohingya, Papa Francesco ha parlato più e più volte. Si tratta di una minoranza musulmana, che vive tra Birmania, Bangladesh, Pakistan, Malesia, Thailandia e Arabia Saudita, e la cui ondata migratoria tocca anche l’India. Ed è di questa situazione che il vescovo indiano Oswald Jaipur Lewis ha parlato al seminario sul Global Compact organizzato il 12 e 13 giugno dalla sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio allo Sviluppo Umano Integrale.
Eccellenza, quali sono i problemi dell’india sul fronte immigrazione?
L’India è una nazione vasta, e conta 2,1 miliardi di persone, che ne fanno la seconda nazione per numero di abitanti al mondo. Ci sono molti problemi: disoccupazione, povertà, malattie, analfabetismo. Carestia. Affrontiamo questi problemi, e diamo una particolare cura ai rifugiati e i migranti che vengono in India. Il governo è piuttosto silente sul tema dei migranti e rifugiati.
Ci può dare qualche numero?
Abbiamo circa 300 mila rifugiati documentati in India. Vengono soprattutto da Pakistan, Bangladesh, Tibet e Myanmar, ma anche dall’Afghanistan e altre parti del Medio Oriente. Abbiamo rifugiati e migranti provenienti da 28 nazioni. In generale, le zone di confine accolgono le nazionalità al confine, e restano in quegli stati: gli srilankesi sono nel Tamil, i pakistani in Gujarat, i bengalesi nel West Bengala. Sono tutti situati in campi nelle aree di confine. Il governo ha una politica doppia: se sono hindu, buddhisti o cristiani, hanno facile accesso all’India. Se sono musulmani, sono da considerarsi infiltrati.
È questo il caso dei Rohingya?
Vengono dal Myanmar e sono musulmani, dunque l’India non gli considera rifugiati. Recentemente, 40 mila Rohingya sono stati rimandata in Myanmar, mentre ce ne sono circa 1000 mila in India. Secondo le nuove politiche indiane dello scorso novembre, i Rohingya sono considerati occupanti illegali dell’India.
Ma perché questo accanimento?
Circa il 70 per cento degli indiani sono sotto il livello di povertà. Se ci sono altri rifugiati – bengalesi, pakistani – i problemi si aggravano. Da questo punto di vista, si può comprendere la posizione del governo.
E cosa fa la Chiesa cattolica?
È molto cosciente che, nel momento in cui si prende cura dei migranti nelle aree di confine, viene considerata un nemico politico. Così, cerca di essere cauta, di non mischiarsi nelle aree di lavoro. Le diocesi delle aree interessate danno attenzione al problema, ma non a livello nazionale. Altrimenti, viene considerata anti-nazionalista. Ma la Chiesa è sempre in prima linea, dà cura pastorale, si occupa dell’educazione dei bambini, di famiglia e questioni sociali.
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