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Un servizio di EWTN News

“Un patto per la pace in Corea, con la benedizione del Papa”

Il vescovo Kim in visita presso la Santa Sede

Igino Kim Hee-jong, arcivescovo di Gwangju, è presidente della Conferenza Episcopale Coreana. Ma è arrivato a Roma con una missione particolare: inviato speciale per conto del neo-eletto presidente Moon Jae-in, per chiedere alla Santa Sede di fare da mediatore. Lo scopo finale? Un “patto per la pace”, una mediazione diplomatica che permetta alla penisola coreana di cominciare il percorso di riunificazione.

Quale è il motivo della sua visita a Roma in questi giorni?

Il nuovo presidente mi ha mandato come “inviato presidenziale” per chiedere al Santo Padre una opera di mediazione, di intercessione direi, tra Corea del Nord e Corea del Sud, per far calare la tensione nella penisola coreana. Una opera di mediazione simile a quella che ha compiuto quando ha favorito il ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Cuba e Stati Uniti.

Ma questa mediazione è possibile? La situazione sembra tesa, la Corea del Nord continua a lanciare missili…

Noi crediamo sia possibile.

In che modo sarebbe possibile? Cosa può fare la Santa Sede?

Per esempio, favorire un dialogo sincero tra Nord e Sud Corea. La Corea del Nord, al momento, non ha la fiducia dei Paesi occidentali. Ma pensiamo che se, ad esempio, si aprissero sentieri di dialogo con il presidente statunitense Donald Trump, che visiterà il 24 maggio il Santo Padre, questo potrebbe aiutarci nel percorso della riconciliazione.

Il mondo cattolico in Corea del Sud ha portato alla rivoluzione delle candele. Che cosa era?

Molti preti, anche suore, hanno voluto cambiare il nostro Paese. Così anche abbiamo celebrato la Messa in strada, per chiedere giustizia e pace nel nostro Paese. I cittadini volevano dimostrare le loro opinioni, e guardando sacerdoti e suore hanno cominciato a rimanere in strada con le candele.

Lei ha parlato di ristabilire la giustizia e la pace nel Paese. In che modo? Non c’erano giustizia e pace prima?

C’era giustizia e pace, ma noi pensiamo ce ne voglia ancora di più. Puntiamo ad una democrazia più matura.

Chi sono i cattolici in Corea del Sud? Che impatto hanno sulla società?

Molti coreani hanno fiducia nella Chiesa Cattolica. Se c’è qualche problema nazionale serio, guardano alla Chiesa cattolica come punto di riferimento, e ne aspettano le parole e le raccomandazioni.

Lei è stato in Corea del Nord? Quanti fedeli ci sono?

Sì, ci sono stato. Ma non si può calcolare quanti fedeli ci sono, chi sono veri cattolici e chi no. Ma non possiamo giudicare.

Ma quali sono i problemi della Corea del Nord?

La Corea del Nord manca di tante cose, specialmente dal punto di vista economico. Noi vogliamo aiutarli, anche attraverso scambi commerciali. La Corea del Nord rifiuta l’idea dell’aiuto economico, ma accetta quella dello scambio commerciale.

Lei parla di una possibile riconciliazione tra le due Coree. Ma questo è possibile fin quando c’è in uno dei due Stati un dittatore che ha creato un culto della personalità?

La politica della Corea del Nord è il prolungarsi di un tipo di dinastia. In Nord Corea, loro pensano ad un re, è il loro modo di sopravvivere, la loro identità politica.

E un re accetterebbe di perdere parte del suo potere?

Quello non lo so. La mentalità dei nordcoreani è differente da noi.

Che impatto ha avuto la visita di Papa Francesco nel 2014?

Ci ha portato molto cambiamento, specialmente nella Chiesa Cattolica. Noi continuiamo a rinnovare la Chiesa, una Chiesa povera per i poveri. Anche il Santo Padre ci ha chiesto di avvicinarci agli emarginati sociali, handicappati, anche vecchi, allora la Chiesa Cattolica in Corea lavora molto per handicappati, anziani, emarginati sociali. Poi i vescovi destinano una parte dei loro profitti per i poveri, e la Conferenza Episcopale invia aiuti anche alle chiese più povere. È un lavoro che ottiene anche la fiducia del governo.

A livello dottrinale, come è la Chiesa coreana? Come vive la fede?

(La storia continua sotto)

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La Chiesa coreana è stata iniziata da laici, e l’attività dei laici è molto dinamica in Corea. Adesso, vogliamo lanciare un movimento della Bibbia, per far conoscere a tutti le Sacre Scritture. E poi, vogliamo sviluppare l’idea di carità, non solo come concezione astratta.

Cosa dirà al Papa se lo vedrà?

Gli dirò che ancora molti coreani, cattolici e non cattolici, hanno una grande fiducia nel Santo Padre. Se c’è qualche problema sociale, sia cattolici che non cattolici guardano alle parole di Papa Francesco.

E alla Segreteria di Stato cosa chiederà?

Chiederò di aiutarci per la riunificazione tra Nord e Sud. Io spero che le due parti di Corea stipulino un patto per la pace. Noi vescovi lo chiediamo continuamente al governo. Vogliamo diffondere questa idea nei fedeli e nei cittadini coreani. La Corea ha un ministero della Riunificazione, che non c’è in altri Paesi. E questo ministero ha un senso profondo.

Perché ci tenete tanto che la Santa Sede intervenga?

Perché la Santa Sede c’è stata in ogni momento importante della storia della Corea. Per esempio, nel 1881 ha stabilito il vicariato della Chiesa coreana, e così la Chiesa cattolica si è potuta sviluppare più velocemente. Quando la Corea del Sud si è costituita come nazione indipendente, la Santa Sede è stato il primo Paese a riconoscerlo. E durante la guerra coreana, la Santa Sede ci ha aiutato molto attraverso gli Stati Uniti. San Giovanni Paolo II è stato in Corea in visita, in un momento molto difficile, quando era appena finita la dittatura militare, e ci ha aiutato, incoraggiato molto. Poi anche Benedetto XVI ha chiesto pace nella penisola, e Papa Francesco ci ha aiutato molto, nominando ogni anno, nell’Urbi et Orbi di inizio anno, la situazione della penisola coreana. La Santa Sede ha sempre accompagnato la Corea in ogni momento importante.

È il momento che accompagni di nuovo…

Sì. Noi speriamo in un aiuto di Papa Francesco per la penisola. Se si riuscisse, poi, ad ottenere pace e riunificazione tra le due Coree, vogliamo lavorare poi per la pace nell’Est Asia e poi per la pace nel mondo. Vogliamo essere strumento di pace.

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